A sostenerlo è stata la sezione terza bis del Tar laziale, esprimendosi sul ricorso, portato avanti dall'avvocato Michele Ursini del foro di Bari della rete dei legali Anief (si ricorda che in 3 anni ha ottenuto ben 17 sentenze dal Tar del Lazio e una sentenza dal Consiglio di Stato, permettendo a circa 400 docenti di rinetrare nelle rispettive province), presentato da due insegnanti pugliesi immessi in ruolo nel 2016 in provincia di Milano, “invece che presso gli ambiti 0012 o 0011 della Regione Puglia” dove erano inseriti nelle graduatorie dei precari e dove operavano come supplenti”. Secondo i giudici, nel 2016, sulla base delle indicazioni previste dalla Buona Scuola approvata l’anno prima, l’assegnazione delle sedi di immissione in ruolo dei docenti ricorrenti, e per estensione di migliaia di insegnanti assunti quell’anno attraverso il sistema dell’algoritmo secretato, è avvenuta “ostando alla deleteria prospettiva orwelliana di dismissione delle redini della funzione istruttoria e di abdicazione a quella provvedimentale, il presidio costituito dal baluardo dei valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo”.
L’Anief aveva ragione: l’assegnazione automatica alle sedi, tramite un meccanismo automatico secretato, non ha garantito i diritti dei precari immessi in ruolo a centinaia di chilometri, peraltro in presenza di posti vicino casa. Marcello Pacifico (Anief): “Alla luce di questa ulteriore espressione dei giudici, non è più ammissibile procrastinare ancora la norma che faccia tornare i danneggiati nelle province da dove sono stati spostati in modo illegittimo. Per questo, il nostro sindacato conferma i ricorsi per far tornare quei docenti a casa”.
Il piano straordinario di assunzioni di 85 mila docenti del 2015/16 fu attuato dal Governo Renzi in modo così maldestro e improvvisato da calpestare più articoli della Costituzione italiana e anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ora lo dicono pure i giudici.
LA SENTENZA DEL TAR
L’adesione al piano di immissioni in ruolo, previsti dall’articolo 1, comma 98, lettera C della Legge 107/15, regolata dall’O.M. 241/2016, prevedeva la collocazione degli aspiranti docenti di ruolo in ambiti territoriali non richiesti attraverso un sistema automatizzato di ricerca dei posti vacanti, dalle modalità mai rivelate ma sicuramente inique. Perché quello che comunemente è stato apostrofato come “l’algoritmo impazzito”, nel 2016 ha assegnato l’immissione in ruolo decine di migliaia di docenti a centinaia di chilometri dalla provincia di partenza pur in presenza, in molti casi, di posti vacanti molto più vicini.
“Il Collegio – si legge nella sentenza n. 10963 del 2019 prodotta dalla Camera di Consiglio del 10 settembre scorso - è del parere che le procedure informatiche, finanche ove pervengano al loro maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non possano mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere”.
PERIZIE TECNICHE E STAMPA NAZIONALE
Del meccanismo di assegnazione delle sedi rovina-carriera per un numero altissimo di docenti si sono occupati anche altri professionisti: due anni fa, nel 2017, una perizia tecnica ha definito “confuso, lacunoso, ampolloso, ridondante, elaborato in due linguaggi di programmazione differenti, di cui uno risalente alla preistoria dell’informatica, costruito su dati di input gestiti in maniera sbagliata”.
La scorsa primavera, in un’intervista alla rivista nazionale “Panorama”, l’allora ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, parlando dell’algoritmo impazzito, disse: “Sa quanto ho impiegato a capire che non funzionava?…. Dieci secondi”). Subito dopo, si sono accavallati i pronunciamenti giudiziari sulla richiesta di annullamento dei provvedimenti conclusivi di quella procedura di mobilità nazionale straordinaria, come quelle del Tar Lazio n. 05139/2019 e n. 9224/2018.
LE PERCENTUALI RISIBILI
Preso atto del sicuro danno procurato, il Miur non è voluto andare oltre a delle quote allargate sui trasferimenti fuori provincia dei docenti, introdotte con il contratto sottoscritto a dicembre sulla mobilità del personale: per l’anno scolastico 2019/20 sono stati infatti previsti il 40 % di trasferimenti interprovinciali e il 10% di passaggi di ruolo; per il 2020/21, il 30% di trasferimenti interprovinciali e il 20% di passaggi; per il 2021/22, il 25% di trasferimenti interprovinciali e il 25% di passaggi. L’introduzione di quelle percentuali risibili sui trasferimenti ha portato il M5S, attraverso il primo firmatario Marilotti, ad avviare un’interrogazione all’allora ministro dell’Istruzione.
IL COMMENTO DI MARCELLO PACIFICO
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, reputa incomprensibile l’atteggiamento sterile dell’amministrazione scolastica italiana: “Dinanzi ad un chiaro errore, che ha calpestato anche la Costituzione e la Convenzione UE dei diritti dell'uomo, come confermato dal ministro dell’Istruzione e dalle perizie tecniche svolte, il Miur aveva il dovere di correre ai ripari risanando migliaia di errori commessi. Ancora di più, perché mai come quest’anno, anche al Sud, vi era un altissimo numero di posti vacanti e disponibili, con oltre 200 mila supplenze annuali”.
Per tutti questi motivi, l’Anief rilancia e conferma il ricorso contro il mancato trasferimento nelle sedi richiesti proprio a seguito dell’errore dell’algoritmo del Miur nel 2016: per informazioni cliccare qui.
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