Il giovane sindacato si schiera con gli insegnanti che oggi hanno protestato contro il Ministro dell’Istruzione, perché il Miur ha effettuato delle operazioni di mobilità che non hanno rispettato il fondamentale principio del merito e della professionalità. Sull’alto numero di alunni che lasciano i banchi prima del tempo, Fedeli ha detto che 'essendoci dati così alti sulla dispersione non è possibile non avere politiche dedicate'.
Marcello Pacifico (Cisal-Anief): sono diverse le operazioni da attuare. Come l’assunzione in ruolo su tutti i posti vacanti, rilevati tali dopo un apposito monitoraggio e una vera individuazione dell’organico di diritto; l’anticipo di un anno dell’obbligo scolastico; il potenziamento degli organici, sia di docenti che di personale Ata, proprio in quelle regioni dove le difficoltà territoriali rendono la dispersione e la disaffezione dalla scuola particolarmente accentuate.
Due sentenze ottenute dai legali Anief riconoscono il diritto dei precari a percepire le medesime progressioni stipendiali dei docenti di ruolo. A Bologna una docente risarcita con 15.000 euro. In tribunale l'Anief continua a tutelare i diritti dei lavoratori precari della scuola e ottiene altre due sentenze che riconoscono l'illegittimità dell'operato del Miur che nega ai precari le progressioni stipendiali in base all'anzianità di servizio. Presso il Tribunale di Bologna, poi, la sentenza riconosce anche l'illegittimità della serie di contratti a termine stipulati con una precaria 'storica' e condanna il Ministero a risarcirla con ulteriori 12.000 euro oltre accessori.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): 'Siamo sempre in prima linea per la tutela dei diritti dei lavoratori della scuola e la nostra battaglia si prefigge, ora, di ottenere le dovute rettifiche al Ccnl non solo nella parte economica, ma anche per quanto riguarda i permessi e le altre prerogative. Necessita, inoltre, l'immediata stabilizzazione dei tanti docenti abilitati ancora precari'.
Per un sindacato dei dirigenti scolastici, il decreto legislativo sulla valutazione degli alunni è l’occasione giusta per 'abolire il valore legale del titolo di studio in quanto non più rispondente al titolo stesso'. Anief si oppone: il titolo non può essere sminuito, ma va valorizzato, a iniziare da quello relativo alla licenza media, sino alla maturità, che secondo l’Anief dovrebbe rappresentare anche la fine dell’obbligo scolastico, anziché gli attuali 16 anni di età dell’alunno, assieme all’inizio anticipato a 5 anni anziché 6 in classi di compresenza materna-primaria. Giusto, invece, dare il maggior peso possibile al percorso formativo che ha condotto agli esami finali, frutto delle decisioni collegiali intraprese.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): l’Esame di Stato è modello di verifica ben diverso dalla semplice valutazione delle competenze, la quale può essere attuata certamente anche al di fuori dalla scuola. Confondere o plasmare i due livelli non ha senso. Inoltre, la scuola statale produce titoli utili all’accesso ai concorsi pubblici e per diventare dipendenti della P.A., oltre che a svolgere la libera professione e operare nel privato. Come si può dire che tutto questo d’ora in poi si potrà verificare solo attraverso delle semplici prove di certificazione delle competenze? Significherebbe portare l’Italia indietro di 900 anni. Il pericolo è conferire dei diplomi con peso specifico diverso. Così, solo gli allievi delle scuole e degli atenei più prestigiosi potranno aspirare all’ingresso di determinati posti di lavoro. Si mettono sotto il tappeto principi costituzionalmente protetti, come la parità d’accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza.
Dopo l’approvazione di ieri dell’ordine del giorno in Senato, sono giunte le conferme dalla senatrice Francesca Puglisi, responsabile Scuola Pd: stiamo lavorando, ha detto, ‘a soluzioni per la stabilizzazione dei precari di seconda e terza fascia di istituto con 36 mesi di servizio’. Anief conferma il suo sostegno all’iniziativa, a patto che non si limiti alle buone intenzioni. Perché se si vuole cancellare la piaga del precariato scolastico non esiste altra soluzione che quella dell’utilizzo del doppio canale di reclutamento.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): la maggioranza politica si è resa conto che il nuovo sistema previsto dalla Legge 107/2015 e dalla delega sulla formazione iniziale sul nuovo reclutamento entrerà a regime solo nel 2024. Quindi, nei prossimi sette-otto anni, bisognerà svuotare GaE e graduatorie di merito. Le quali, tuttavia, sappiamo bene che per certe classi di concorso sono senza più candidati. Mentre chi è stato già selezionato e formato continua a essere stoppato dalla chiusura delle GaE, risalente a quasi 10 anni fa, che però non ha mai avuto motivo di esistere. Per questo occorre approvare prima possibile un decreto ad hoc del quale possano beneficiare, prima di tutto, proprio quei docenti che la Buona Scuola ha ignorato. Lo stesso va fatto per altre categorie, come educatori e Ata, non incluse nel piano straordinario d’assunzioni della L. 107/15.
Più di mille dirigenti di istituto in difficoltà. Si sono ritrovati a dover rendere, anche a rate, le somme ricevute per errore
di CORRADO ZUNINO
ROMA. Ci sono mille presidi in Italia che devono restituire, o già stanno restituendo, pezzi del loro stipendio. La cifra di 8.592 euro (lordi) è stata chiesta indietro a una dirigente scolastica di Cosenza, 10.790 (sempre lordi) al collega di Catanzaro. La restituzione al lordo, di fronte a uno stipendio pagato al netto anni prima, incide per un 40 per cento. Sono soldi da versare in più: “Uno scippo”, scrive il sindacato Udir. E l’ammontare della richiesta in Veneto è arrivata a quota 12.000 euro, a Vicenza e Padova segnatamente.
Alcuni dirigenti scolastici hanno trovato la lettera della Ragioneria dello Stato in cassetta: “Paga tutto insieme o vuole rateizzare?”. Ci sono trenta giorni per decidere. Altri si sono trovati la trattenuta direttamente in busta paga. Diverse persone avvisate sono ex presidi, oggi in pensione. Il Veneto, con i suoi 608 plessi scolastici, e la Calabria, con 378, sono le regioni dove la richiesta delle ragionerie territoriali è partita prima e a tappeto, ma né il ministero delle Finanze né quello dell’Istruzione escludono che via via altre realtà regionali possano essere coinvolte nella restituzione.
Le ragioni della vicenda affondano nel rinnovo del contratto dei dirigenti scolastici del 2011. Meglio, nei ritardi dell’applicazione del rinnovo del contratto integrativo regionale. In diverse regioni – perché, sì, le buste paga dei presidi italiani sono differenziate a livello territoriale – i nuovi contratti sono stati fatti al ribasso (ritoccando all’ingiù le voci di “risultato” e “posizione”). Eppure, la burocrazia ministeriale dal 2012 al 2015 ha continuato a versare i vecchi stipendi. Quando i funzionari degli uffici scolastici regionali, la Calabria e il Veneto nell’ordine, se ne sono accorti, prima hanno ritoccato a perdere le buste paga e poi hanno chiesto ai pubblici funzionari gli arretrati. L’Associazione nazionale presidi ora minaccia ricorso, l’Udir – costola dei dirigenti scolastici del sindacato Anief – ha già preparato il suo modello.
L’applicazione della Legge Tremonti tra il 2012 e il 2016 ha tagliato ai presidi italiani 35 milioni di euro. Uno stipendio che ancora in tempi recenti arrivava a tremila euro il mese, oggi viaggia sui 2.400: le ultime contrattazioni, infatti, non riconoscono più l’anzianità accumulata nel periodo in cui il dirigente scolastico è stato docente. Spesso, tra l’altro, il preside sottopagato ha diverse reggenze in atto, scuole sotto la sua giurisdizione oltre a quella dove è stato nominato.