Per un sindacato dei dirigenti scolastici, il decreto legislativo sulla valutazione degli alunni è l’occasione giusta per 'abolire il valore legale del titolo di studio in quanto non più rispondente al titolo stesso'. Anief si oppone: il titolo non può essere sminuito, ma va valorizzato, a iniziare da quello relativo alla licenza media, sino alla maturità, che secondo l’Anief dovrebbe rappresentare anche la fine dell’obbligo scolastico, anziché gli attuali 16 anni di età dell’alunno, assieme all’inizio anticipato a 5 anni anziché 6 in classi di compresenza materna-primaria. Giusto, invece, dare il maggior peso possibile al percorso formativo che ha condotto agli esami finali, frutto delle decisioni collegiali intraprese.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): l’Esame di Stato è modello di verifica ben diverso dalla semplice valutazione delle competenze, la quale può essere attuata certamente anche al di fuori dalla scuola. Confondere o plasmare i due livelli non ha senso. Inoltre, la scuola statale produce titoli utili all’accesso ai concorsi pubblici e per diventare dipendenti della P.A., oltre che a svolgere la libera professione e operare nel privato. Come si può dire che tutto questo d’ora in poi si potrà verificare solo attraverso delle semplici prove di certificazione delle competenze? Significherebbe portare l’Italia indietro di 900 anni. Il pericolo è conferire dei diplomi con peso specifico diverso. Così, solo gli allievi delle scuole e degli atenei più prestigiosi potranno aspirare all’ingresso di determinati posti di lavoro. Si mettono sotto il tappeto principi costituzionalmente protetti, come la parità d’accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza.
Si dice tutto e il contrario di tutto sulla riforma del sistema di valutazione degli alunni, previsto dalla delega alla Buona Scuola Atto 384, su cui a breve esprimeranno il loro giudizio le commissioni parlamentari: c’è anche chi rivendica, come ha fatto in questi giorni un sindacato dei dirigenti scolastici, “ancora una volta la necessità di abolire il valore legale del titolo di studio in quanto non più rispondente al titolo stesso”. Anief si oppone fermamente a una modifica di questo genere.
I motivi sono diversi. Rimanendo alla delega alla L. 107/15, considerando la novità dell’accesso meno difficoltoso agli Esami di Stato, dovendo l’alunno possedere non più almeno la sufficienza in tutte le discipline ma solo la media del sei, lo spirito del legislatore sembrerebbe orientato a dare maggiore rilevanza al valore dell’Esame di Stato finale e al valore legale del titolo di studio che ne consegue. Inoltre, viene da chiedersi come mai questa richiesta provenga proprio da una parte del corpo dirigente, poiché proprio i capi d’istituto presiedono le commissioni d’esame e attraverso la riforma della Buona Scuola sono stati indicati come la figura garante dell’autonomia scolastica.
Il titolo di studio, “anello” chiave e finale di questo processo, non può pertanto essere sminuito o ridotto ai minimi termini. Va invece valorizzato, a iniziare da quello relativo alla licenza media, sino alla maturità, che secondo l’Anief dovrebbe rappresentare anche la fine dell’obbligo scolastico, anziché gli attuali 16 anni di età dell’alunno, assieme all’inizio anticipato a 5 anni anziché 6 in classi di compresenza materna-primaria.
“L’Esame di Stato e le prove che lo compongono – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – servono proprio a verificare la consistenza di questo processo formativo. A sincerarsi di ciò, sono dei docenti esperti delle discipline e un dirigente scolastico responsabile della procedura. Si tratta di un modello di verifica ben diverso dalla semplice valutazione delle competenze, la quale può essere attuata certamente anche al di fuori dalla scuola. Confondere o plasmare i due livelli non ha senso”.
“Va anche ricordato – continua Pacifico – che la scuola statale produce titoli di studio utili all’accesso ai concorsi pubblici e, in generale, per diventare dipendenti della pubblica amministrazione. Inoltre, utili anche a svolgere libera professione, per l’accesso agli albi professionali, come anche per operare nel privato. Come si può dire che tutto questo d’ora in poi si potrà verificare solo attraverso delle semplici prove di certificazione delle competenze? Significherebbe portare l’Italia indietro di 900 anni, al magister itinerante. Poi, arrivò Federico II, che nel XIII secolo fondò l’Università di Napoli, con il preciso scopo di preparare la classe dirigente e gli amministratori del Regno di Sicilia”.
“Negare il valore legale del titolo di studio, cancellando di fatto l’attuale modello valutativo, significherebbe conferire dei diplomi, di licenza media e superiori, con peso specifico diverso. Così, solo gli allievi delle scuole e degli atenei più prestigiosi potranno aspirare all’ingresso di determinati posti di lavoro, a iniziare dalla pubblica amministrazione. Si mettono così sotto il tappeto diversi principi costituzionalmente protetti, come la parità di accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Perché, senza valore legale di un diploma – conclude il sindacalista Anief-Cisal - avremo giovani diplomati e laureati già etichettati prima ancora di aver conseguito il titolo, pari a carta straccia”.
Il giovane sindacato reputa invece positiva la decisione, contenuta sempre nel decreto legislativo sulle “norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato”, di incrementare il punteggio del credito scolastico degli Esami della secondaria di secondo grado fino a 40 punti complessivi. Perché è questa la strada da percorre: dare il maggior peso possibile al percorso formativo che ha condotto agli esami finali, frutto delle decisioni collegiali intraprese nel corso del quinquennio, prodotte in primis da docenti e dirigenti scolastici.
A questo proposito, proprio il professor Marcello Pacifico, ha di recente chiesto prima al Senato e poi alla Camera, davanti alle commissioni parlamentari congiunte, che tra i passaggi ineludibili di una valutazione efficace vi sia quello del forte coinvolgimento del Collegio Docenti, nel rispetto della sua autonomia didattico-docimologica. Sugli Esami di Stato, il sindacato ha rivendicato maggior peso all’esame finale e la salvaguardia della libertà di valutazione di ogni singolo docente. Infine, si è chiesto di ridurre l’attendibilità docimologica dei test, metodo di valutazione che può certificare solo le conoscenze ma non le competenze, in contrasto con quanto previsto da questo atto e dalla Circolare Ministeriale n. 3 del 2015.
Per approfondimenti:
Tra ricorsi, ritardi e bocciature la scuola al via senza un prof su sei (La Stampa del 29 agosto 2016)
Inizia l’anno, peggio di così non si poteva: la Buona Scuola ha aumentato incognite e disagi
L’anno scolastico è partito: Collegi dei docenti a ranghi ridotti e tanti prof con la valigia
La scuola al via con 100mila supplenti. La riforma non ha cambiato nulla (Corriere della Sera del 5 settembre 2016)
Miur pubblica le priorità per il 2017, Anief: si parta da sostegno, stipendio e precari
Da lunedì il decreto sotto la lente del Senato: per Scuola e Università servono modifiche urgenti
Gli studenti e il valzer delle cattedre. In 2,5 milioni hanno cambiato prof (Corriere della Sera del 9 gennaio 2017)
Precari, non è bastata la Buona Scuola: è record, 3 su 4 della PA sono docenti e Ata
Graduatorie precari sbagliate e da rifare: la linea del Miur frana davanti ai giudici
Miur avanti tutta sulle leggi delega della “Buona Scuola”, ma senza modifiche l’autogol è sicuro
Buona Scuola, CdM approva 8 decreti attuativi: per Anief è l’inizio di un percorso da completare