Ieri il CdM ha approvato, in via definitiva, il nuovo sistema selettivo che cambia radicalmente l’attuale modello selettivo. I concorsi, che avranno cadenza biennale, prevedono due scritti (tre per il sostegno) e un orale. Chi lo passa entra in un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio (FIT), terminato il quale si potrebbe entrare in ruolo. Giustamente, le laureate e i laureati potranno partecipare alle prove, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari specifici. Come mai, invece, lo scorso anno a chi ha presentato lo stesso titolo di studio è stata sbarrata la porta? Perché l’amministrazione ha difeso strenuamente quella decisione anche in Tribunale, che oggi deve ancora esprimere l’ultima parola sulla diatriba giudiziaria? Perché nel 2012 la laurea bastava, nel 2016 non più e nel 2018 sarà invece di nuovo ritenuta valida?
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): un titolo di studio fino a prova contraria non può ‘scadere’ come se fosse un alimento. Ha valore legale, anche se qualcuno vorrebbe far venire meno la preziosa peculiarità. Non può essere sospeso ad tempus: o è valido oppure non è valido. Per una volta, l’amministrazione scolastica ci stupisca, con una lezione di onestà intellettuale: riapra il concorso a cattedre dello scorso anno, dando la possibilità di parteciparvi anche ai quei laureati che ha ingiustamente escluso. In ballo, ci sono tanti giovani che vogliono fare l’insegnante, che hanno studiato per farlo e non meritano questo trattamento ambivalente. Si tratterebbe di una decisione saggia, di cui gli sarebbero grati anche gli studenti, che oggi si ritrovano davanti il corpo docente più vecchio dell’area Ocse. Largo ai giovani, largo al buon senso.