Varie

Gli accorgimenti introdotti non cambiano la sostanza: è un errore pensare di valutare il complesso percorso di apprendimento di oltre due milioni di alunni e le performance di migliaia di scuole prendendo come unico riferimento i risultati forniti da test in larga parte nozionistici. Una valutazione seria dovrebbe tenere conto di diversi fattori, ad iniziare da uno studio preliminare del territorio e delle famiglie degli studenti.

Prendono il via domani le prove Invalsi: i primi a cui verranno somministrati i quesiti, 20 domande a cui rispondere in 45 minuti, saranno gli alunni delle seconde e quinte classi della scuola primaria; il 14 maggio sarà la volta degli iscritti alla prima media (30-35 test con un'ora e 15 minuti di tempo a disposizione); il 16 maggio di tutte le classi del secondo superiore (50 domande, un'ora e mezza di tempo). Il 17 giugno, infine, quasi 600mila alunni saranno chiamati ad affrontarli all'interno dell'esame di Stato per conseguire la licenza media (con l’esito che varrà per un sesto del voto d'esame finale).

Le novità introdotte dai responsabili delle prove - più spazio alle domande aperte di matematica per dare la possibilità di rispondere in modo più articolato, per l’italiano quesiti che richiedono una maggiore comprensione complessiva dei testi, in generale test più mirati sulle competenze e meno sulle conoscenze scolastiche – non cambiano il giudizio negativo sull’operazione ministeriale. Anief ritiene che queste verifiche, ereditate dalla tradizione docimologica di altri Paesi, per come sono predisposte e somministrate non servono: non aiutano gli studenti e nemmeno le scuole a migliorarsi. Non si può, infatti, valutare il percorso di apprendimento di un alunno e le performance di una scuola prendendo come riferimento delle variabili fortemente soggettive e tutt’altro che standardizzabili.

Costruire un sistema di valutazione è cosa ben più complessa. E di più ampio respiro. I risultati delle prove Invalsi sarebbero utili solo se “incrociati” con altri descrittori, peraltro ben pregni di significato rispetto agli esiti derivanti dai asettici risultati di test a risposta multipla: questi descrittori, al momento non considerati dall’Invalsi, servirebbero infatti per verificare il punto di partenza delle conoscenze del gruppo classe, gli effettivi strumenti operativi a disposizione di docenti e discenti. Ma anche il grado di cultura delle famiglie di provenienza, le risorse e i servizi offerti dal territorio circostante (in diverse zone d’Italia inesistenti) e il grado di integrazione. Ci fermiamo qui, non perché siano terminati, solo per rimanere ai più importanti.

Solamente attuando una verifica di questo genere, di tipo multi-variabile, di cui la mera didattica è solo una parte del tutto, si consentirebbe dunque di realizzare un sistema di valutazione degno di questo nome. Per il sindacato, insistere invece sul genere di prove riproposte dall’Invalsi, che rimangono in larga parte di tipo nozionistico, non offre quindi quelle indicazioni chiare e sicure che servirebbero a migliorare le nostre scuole e l’apprendimento dei nostri alunni: se non si esce da questo equivoco significa voler insistere su un inutile spreco di energie, soldi e tempo.

Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico “quella di valutare il rendimento dei nostri alunni con test standardizzati è una scelta che contraddice la filosofia educativa approntata e sposata in Italia negli ultimi due decenni, sempre più orientata al ‘saper fare’ e alla centralità dell’alunno nel suo percorso educativo. Anche dopo le modifiche adottate quest’anno, la sostanza e lo spirito dei test rimangono in forte antitesi con il terreno normativo e le tante esperienze didattiche e progettuali percorse per anni nelle scuole. Ci riferiamo al Portfolio delle competenze e delle abilità, oltre che alla creazione della carta d’identità dello studente e dell’istituto scolastico”.

Se si eludono queste ed altre verifiche preliminari, l’esito dei test di valutazione, anche se ben fatti e sempre più sofisticati - apprendiamo che per i prossimi anni sono in arrivo prove di lingue e l’uso del computer - è necessariamente destinato a rimanere deficitario. Ancora di più se, come sembra, questi risultati alla lunga avranno la loro influenza sulla definizione dei meriti degli istituti e sui fondi da assegnarvi. Con il risultato, davvero incredibile per un Paese che tra le sue priorità dovrebbe porre l’istruzione aperta a tutti, che le scuole e gli alunni più in difficoltà per motivazioni oggettive, come la provenienza da luoghi o famiglie svantaggiate, non solo non saranno adeguatamente sostenuti, ma verranno affossati.

“Per tali motivi – conclude Pacifico - questo genere di attività di verifica, tra l’altro affidate a decine di migliaia docenti, sottoposti ad un lavoro supplementare e gratuito, non può essere considerata seria e attendibile per lo sviluppo e il miglioramento della scuola. Per l’Anief, in definitiva, non si può affidare alle sole prove Invalsi la verifica del grado di sviluppo degli apprendimenti dei nostri alunni. È bene che il nuovo ministro dell’Istruzione lo sappia. E prenda appena possibile i provvedimenti che ne conseguono”.

 

I sindacati falliscono anche per il prossimo anno: arrivano altre 550 scuole in reggenza e 500 soppressioni. Ora tocca all'Anief entrare in campo per salvare Dirigenti Scolastici e Dsga attraverso l’unica strada percorribile: il ricorso. L’obiettivo è duplice: assicurare l’autonomia a queste scuole e salvare il personale scolastico coinvolto dall’ingiusta condizione di soprannumerarietà.

Ancora una volta sul dimensionamento siamo costretti a costatare il fallimento dell’operato dei sindacati più rappresentativi, che già per il corrente anno scolastico non erano stati capaci di fare fronte comune per evitare di lasciare quasi 2mila istituti scolastici privi dei loro dirigenti scolastici: ignorando la pronuncia della Corte costituzionale sulla materia, a partire dal prossimo mese di settembre altre 550 scuole, diffuse su tutto il territorio nazionale, avranno la loro autonomia solo sulla “carta” e verranno, invece, private dei loro capi d’istituto. Per essere dirette da un dirigente reggente. Inoltre, come se non bastasse, altri 500 istituti perderanno la loro autonomia, a causa dell’adozione da parte del Miur di parametri legati all’elevazione del numero minimo di studenti iscritti.

A fronte di questo andamento peggiorativo, che porterà all’ulteriore sparizione di tanti istituti scolastici e al trasferimento coatto di un numero considerevole di Dirigenti Scolastici e Dsga, l’Anief ha deciso che il tempo dell’attesa è terminato. E che quindi è giunto il momento di intervenire contro questi provvedimenti già dichiarati incostituzionali. L’obiettivo è duplice: assicurare l’autonomia a queste scuole, salvando nel contempo il personale scolastico coinvolto dall’ingiusta condizione di soprannumerarietà.

Marcello Pacifico, presidente Anief, ricorda che “come nel settembre scorso l’Anief ha salvato la cancellazione di tutte le Rsu coinvolte nel dimensionamento e parallelamente ha avviato i ricorsi per evitare la mobilità coatta, anche intercompartimentale, di docenti e Ata finiti in sovrannumero, oggi il sindacato ha deciso che tutelerà i diritti di quei dirigenti scolastici che si ritroveranno costretti a presentare domanda obbligatoria di trasferimento. Oltre che dei diversi direttori dei servizi generali ed amministrativi individuati come perdenti posto, i quali saranno anche costretti a subire una ingiusta regressione economico-professionale perché collocati coattivamente nel ruolo di normali impiegati”.

A tal proposito, vogliamo anche ricordare che il Miur continua a dare credito all’art. 19 comma 4 della Legge sul dimensionamento n. 111/11, che ha cancellato circa 2.000 scuole autonome, ignorando che è stata dichiarata incostituzionale l’anno successivo dalla sentenza n. 147 della Consulta. Ma anche che l’espressione dei giudici superiori è stata confermata dal Consiglio di Stato, il quale valutando il ricorso di un raggruppamento di genitori di Castrovillari ha annullato l’accorpamento di 10 scuole autonome di Castrovillari, in provincia di Cosenza, scongiurando di conseguenza il taglio dei posti di dirigenti, Dsga, docenti a Ata titolari in quegli istituti.

“Appare evidente – continua il presidente Anief – che in mancanza di una legislazione adeguata, soltanto la via del ricorso può essere quella giusta per salvaguardare una didattica di qualità e i posti di lavoro. Lo sanno bene i dirigenti scolastici e i Dsga di Castrovillari. Come le Rsu rimaste in piedi nelle scuole dimensionate, malgrado le iniziali indicazioni contrarie dell’amministrazione”.

Tutti i dirigenti scolastici che hanno perso la titolarità a partire dall’anno scolastico 2010/2011 e i Dsga che dall’anno scorso sono incappati nello stesso destino, possono chiedere quindi di essere assistiti dall’Anief. Per ricevere le istruzioni operative per ricorrere e avviare eventuali azioni giudiziarie contro il dimensionamento e la salvaguardia del posto di lavoro, è possibile inviare sin d’ora una e-mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. indicando nell’oggetto la rispettiva voce: dsga, ata, docente, dirigente.

 

Rivedere le regole di gestione dl personale scolastico iniziando ad assumere tutti gli 80mila precari che operano su posti liberi, alzare l’obbligo scolastico da 16 a 18 anni e le ore di tempo scuola, riformare i programmi di studio. Sono le tre richieste che l’Anief rivolge a Giorgio Napolitano, dopo che il Parlamento italiano gli ha rinnovato il mandato a Presidente della Repubblica.

Il sindacato, nell’augurare al Presidente della Repubblica un secondo mandato proficuo e ricco di soddisfazioni, soprattutto in chiave di rinascita del Paese, intende sottoporre alla sua attenzione il problema dell’istruzione dei nostri alunni: sebbene dovesse costituire un obiettivo nazionale primario e imprescindibile, da alcuni anni sta accusando un evidente decremento qualitativo. Tanto che stiamo perdendo terreno pure a livello internazionale: le ultime rilevazioni, di livello Ocse e europeo, indicano la scuola italiana in caduta libera. Con risultati deludenti in tutte le materie, in particolare in quelle scientifiche, abbandoni che calano ovunque meno che in Italia e investimenti ormai così modesti da essere paragonati a quelli della Grecia. Inutile sottolineare che tutto ciò non può essere casuale, ma è frutto di una dissennata politica dei tagli e del ricorso a norme che hanno danneggiato gli alunni, le loro famiglie, i docenti e tutto il personale che opera nella scuola.

“Se si vuole tornare ad avere delle scuole di primordine e degli alunni competenti e preparati alle sempre più difficili sfide del lavoro – dichiara Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, rivolgendosi al Capo dello Stato – è giunto il momento di cambiare pagina. Per questo ci rivolgiamo al presidente della Repubblica appena rieletto. La prima istituzione dello Stato italiano, che dall’alto della sua responsabilità e sensibilità saprà indicare al Parlamento le scelte che portano verso una scuola sana e finalmente competitiva”.

Anief è convinto che per fare questo occorre ripartire anche da una diversa gestione del personale, cominciando ad abbattere il precariato attraverso l’assunzione a titolo definitivo degli 80mila precari della scuola italiana, in servizio su altrettanti posti vacanti. La necessità è garantire il rispetto delle più moderne direttive comunitarie, sia ai fini della stabilizzazione professionale dei precari che hanno svolto più di 36 mesi di servizio per lo Stato negli ultimi 5 anni, sia per trovare delle rinnovate soluzioni a proposito della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti.

Vale la pena ricordare che è anche interesse dello Stato italiano provvedere alla stabilizzazione di queste decine di migliaia di docenti e Ata precari su posti liberi. Diverse sentenze emesse nelle ultime settimane, infatti, hanno tutte indicato la necessità di far sborsare alle casse statali centinaia di milioni di euro per compensare l'abuso dei contratti a tempo determinato, i mancati scatti di anzianità, le mensilità estive non corrisposte per gli anni passati e per quelli futuri fino all'età pensionabile degli attuali precari di lungo corso. I tre recenti indennizzi record di oltre 150mila euro netti, più accessori e interessi, decisi nelle ultime settimane dai giudici del lavoro di Trapani costituiscono infatti dei precedenti che convinceranno migliaia di precari a ricorrere in tribunale per opporsi sia al trattamento economico diversificato rispetto ai colleghi di ruolo, sia alla stipula di contratti al 30 giugno, anziché al 31 agosto, anche quando il posto è vacante.

Ma riformare la gestione del personale significa anche rivedere dei lavoratori della scuola in uscita. Come accade in Belgio, dove per questo stesso personale, che svolge un lavoro altamente logorante, sono previste delle “finestre” per uscire anticipatamente ed evitare, come accade per tanti docenti della scuola, di incorrere nel ‘burnout’.

Per coloro che hanno alle spalle oltre due decenni di insegnamento e non intendono lasciare il servizio, è poi sempre più indispensabile prevederne l’utilizzazione come “tutor professionali” da mettere a disposizione delle nuove leve di insegnanti. Come è necessario introdurre una reale formazione in servizio di tutto il personale scolastico, sia per l’approfondimento/aggiornamento di ogni disciplina, sia per l’adozione delle procedure scientificamente più adeguate nel campo del sostegno agli alunni disabili.

A proposito del secondo punto, l’elevazione sino alla maggiore età della soglia di obbligo scolastico e il prolungamento del tempo scuola, Anief sostiene che diventa sempre più cogente l’esigenza di garantire l’istruzione obbligatoria sino all’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado. Nel contempo, appare fondamentale approvare con urgenza una seria riforma dell’apprendistato, che colleghi la scuola con il mondo del lavoro. Come avviene da tempo in Germania, dove un milione e mezzo di giovani hanno potuto aver un riscontro occupazionale. Come diventa indispensabile tornare a detenere un’istruzione universitaria di qualità, cui garantire adeguate risorse e alla quale va restituita la preziosa opera del ricercatore. Tali manovre, inoltre, dovranno essere sempre accompagnate da un’adeguata riprogrammazione della produzione economica ed industriale del Paese, che poggi sul rilancio dell’enorme patrimonio culturale che il nostro Paese detiene.

A proposito, infine, della revisione dei programmi scolastici, è evidente che è oramai anacronistico parlare di contenuti da “calare” a livello locale, regionale o nazionale: facendo parte di un contesto europeo, l’Italia deve necessariamente collocare le competenze da trasmettere alle nuove generazioni su un livello di più ampio respiro. A tal fine, è imprescindibile l’adozione della seconda lingua straniera per l’intero percorso di studi. Come non può essere più procrastinata la decisione di introdurre lo studio comunitario e delle radici europee come materia trasversale.

Presidente Napolitano, è questa la strada da indicare al legislatore.

 

Scarseggiano i fondi che lo Stato fornisce agli Enti locali per il pagamento delle utenze. A Savona già è stato chiesto a tutti i dirigenti scolastici di non svolgere lezioni il sabato. Pacifico (Anief): come si fa a dire ad un liceale di rimanere a scuola otto ore per studiare matematica, latino e greco, perché così lo Stato risparmia sulle bollette? Occorre opporsi a questa deriva, ne va di mezzo la qualità dell’istruzione pubblica italiana.

La scarsità di fondi per le scuole italiane sta raggiungendo livelli record. Al punto che le province, da cui dipende la gestione e la manutenzione degli istituti superiori, stanno cominciando a mettere le mani avanti in vista dell’organizzazione del prossimo anno scolastico. Come a Savona, dove per risparmiare sulle bollette elettriche e del gasolio da riscaldamento i responsabili della giunta provinciale hanno scritto ai dirigenti scolastici del loro territorio chiedendo loro esplicitamente di predisporre le condizioni per l’introduzione la settimana corta. Che significa far quadrare i conti cancellando un giorno di scuola, il sabato.

“Ora, a parte il fatto che questo genere di decisioni – l’allargamento o la riduzione del piano di lezioni settimanali – sono di competenza degli organi collegiali, è evidente – dice Marcello Pacifico, presidente Anief – che le mutazioni scolastiche degli ultimi tempi stanno sempre più spesso condannando gli studenti a usufruire di una formazione a mezzo servizio. Anche perché oggi si chiede di ridurre la settimana scolastica da 6 a 5 giorni. Il passo successivo, già peraltro tentato dal ministro Profumo, sarà quello di anticipare la maturità a 18 anni, cancellando addirittura di un anno il tempo scuola”.

Un sindacato serio, come l’Anief, non può rimanere in silenzio di fronte a questa tendenza formativa al ribasso. Semplicemente perché incide negativamente sull’organizzazione scolastica e di chi vi opera, oltre che sulle competenze che devono acquisire gli allievi. Soprattutto quando fa parte di un sempre più chiaro progetto di smantellamento del settore: basti solamente pensare al taglio di un terzo del Fondo d’istituto da utilizzare per tutte le attività collaterali e progettuali alla didattica; alla volontà del Governo, poi sfumata solo per la forte protesta di piazza, di ricondurre a 24 ore l’insegnamento settimanale di tutti i docenti; alle classi “pollaio”, con un numero di alunni per aula che si aggira ormai mediamente sulle 28-30 unità; alla chiusura incostituzionale di quasi 2mila istituti.

Si tratta di decisioni, inoltre, che vanno tutte a confluire verso quanto rilevato appena pochi giorni fa dall’istituto europeo di statistica. Attraverso un dettagliato studio, Eurostat ha messo a confronto gli investimenti di spesa pubblica per cultura e scuola. Per quanto riguarda la prima, l’Italia si colloca in fondo alla classifica europea, con appena l’1,1% di investimenti rispetto al Pil, a fronte di una media Ue pari al doppio. Scarso anche l'investimento a favore dell’istruzione, per la quale in Italia si spende solo l'8,5% del Pil: se confrontato con la media Ue del 10,9%, non ci collochiamo all’ultimo posto solo per la presenza della Grecia.

“E noi che facciamo? Anziché cambiare rotta, continuiamo su questa strada”, sostiene il presidente dell’Anief. Che poi aggiunge: “la richiesta formulata dalla Provincia di Savona, di accorpare le ore di lezione indistintamente in tutte le scuole non può trovarci d’accordo. Perché non si può chiedere ad un ragazzo che studia in un importante istituto tecnico o in un liceo di rimanere sui banchi per 7-8 ore, magari affrontando nella stessa giornata materie complesse come matematica, latino e greco. È una soluzione didatticamente inaccettabile. Che, sempre secondo il sindacato, i capi d’istituto non possono nemmeno prendere in considerazione. Qualora, invece, i dirigenti la presentassero al Collegio dei Docenti, spetterà al corpo insegnante bocciarla sul nascere”.

“Vale la pena ricordare – continua Pacifico – che le scuole italiane sono ormai abituate ad andare avanti tra mille difficoltà. Tanto è vero che da anni devono fare i conti con mancanze di ogni genere: dalla carta igienica, ai gessetti per le lavagne, dai toner per le stampanti all’assenza di manutenzione ordinaria e straordinaria. Sino a sorteggiare i supplenti per decidere quali pagare con i pochi fondi a disposizione. Se l’indicazione delle province dovesse realizzarsi – conclude il presidente dell’Anief - vorrà dire che si stavolta si organizzeranno per sopravvivere anche al freddo e alla mancanza di luce”.

 

Il nostro è l’unico Paese dove il numero dei giovani che lasciano in età di obbligo scolastico non si riduce: la situazione più critica in Sicilia, Sardegna e Campania e nel biennio delle superiori. Pacifico (Anief): è scientificamente provato che il taglio di finanziamenti è strettamente correlato al successo formativo, questi dati purtroppo non sorprendono. Ma ora basta, i nostri giovani non meritano questo!

L’Eurostat torna a “bacchettare” lo Stato italiano per i suoi pessimi risultati in ambito scolastico. Stavolta l’istituto statistico dell’Ue ha messo in evidenza un dato di cui il nostro Paese dovrebbe vergognarsi: siamo l’unico nell’Europa a 27 dove gli abbandoni scolastici non si riducono. Mentre l’Ue ci chiede di far anticipare l’uscita dal sistema scolastico a meno del 10% di giovani, noi ne continuiamo a perdere prima del termine dell’obbligo formativo quasi il doppio. Con punte del 25% in Sicilia, Sardegna e Campania. E facciamo rilevare una situazione da allarme rosso nel biennio delle superiori.

Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, quanto rilevato dall’Eurostat è una conseguenza della politica dei tagli ad oltranza adottati negli ultimi anni: “negli ultimi sei anni – spiega il sindacalista - sono stati cancellati 200mila posti, sottratti 8 miliardi di euro ed ultimamente si è pensato bene di far sparire quasi 2mila scuole a seguito del cosiddetto dimensionamento, anche se poi ritenuto illegittimo dalla Consulta. Ora, siccome è scientificamente provato che i finanziamenti sono strettamente correlati al successo formativo, questi dati non sorprendono. Ma sicuramente amareggiano”.

Con gli istituti ridotti allo stremo, tanto che alcuni dirigenti sono arrivati a chiedere ad ogni famiglia fino a 300 euro l’anno di contributi, è una conseguenza inevitabile che le scuole non possano organizzare un adeguato orientamento scolastico e universitario. Anche nel canale d’istruzione terziario, infatti, ci distinguiamo. E sempre in negativo. Il numero di giovani iscritti all’università che raggiunge la laurea è infatti il più basso di tutti. Tanto che l’Italia si posiziona, in alcune fasce d’età, oltre 15 punti percentuali sotto la media europea.

“Il problema – continua Pacifico - è che invece di investire nella formazione, in professionalità, in tempo scuola, in competenze, ad iniziare da quelle nell’Ict, in Italia si continua a considerare l’istruzione un comparto da cui sottrarre risorse. Anche a livello universitario, si è pensato che eliminare la figura (fondamentale!) del ricercatore non avrebbe avuto contraccolpi. Invece eccoci ancora una volta a tirare delle somme clamorosamente in perdita. Per il nuovo governo, quando arriverà, quello dell’istruzione e della formazione dovrà per forza diventare un settore centrale: con artigianato, turismo e nuove tecnologie a supporto. Il tempo sta scadendo: il baratro è dietro l’angolo”.