Varie

Il Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, pubblicato dall’Aran in queste ore, conferma quanto il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale: dal 2001 anche il settore privato è andato meglio, con le buste paga del manifatturiero che hanno sovrastato il costo della vita di ben 15 punti; chi lavora per la formazione e la crescita dei nostri giovani è invece andato sotto di 2 punti.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): quella dei nostri insegnanti è la categoria più maltrattata d’Europa. Non stiamo parlando dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline degli inglesi: dal 2007 per colpa del blocco dei contratti nella PA lo stipendio medio di quelli italiani (meno di 30.000 euro lordi) è sceso di ulteriori mille euro. E se il Governo riuscirà nell’intento, già dichiarato, di cancellare gli scatti d’anzianità andrà sempre peggio. L’ultima speranza è la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Non solo sul breve, ma anche sul lungo periodo le retribuzioni medie dei docenti e del personale della scuola sono cresciute meno dell’inflazione e di tutti gli altri comparti pubblici e privati: tra il 2001 e il 2012 gli stipendi di docenti e Ata si sono innalzati appena del 29,2%, meno del tasso di inflazione effettivo del periodo (31%) e degli altri settori della PA. Basti pensare che nello stesso periodo le busta paga dei dipendenti in forza a Regioni e Autonomie locali sono state incrementate del 41,6%. E quelle di chi opera per le amministrazioni pubbliche centrali del 40,3%. Addirittura nel settore privato manifatturiero hanno fatto riscontrare un aumento del 45,6%.

I dati sono contenuti nell’ultimo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, relativo al secondo semestre 2013, pubblicato dall’Aran in queste ore. E rappresentano la conferma di quanto il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale. Nel registrare i rapporti retributivi dei salari pubblici, aggiornati a tutto il 2012, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale per le PA, “conferma il quadro di sostanziale staticità delle retribuzioni su tutti i settori della Pubblica amministrazione, dovuto alle misure di sospensione della contrattazione nazionale e di congelamento delle retribuzioni, introdotte dal 2010 e vigenti anche per l’anno 2014”.

“La dinamica delle retribuzioni pro-capite di fatto, rilevate dall’Istat, riporta per l’intero aggregato relativo alle Amministrazioni pubbliche una crescita sostanzialmente nulla. Il settore privato registra, invece, un andamento in crescita (+1,2%), con importanti differenze al suo interno fra i Servizi vendibili (+0,6%) e le Attività manifatturiere (+2%). Questo quadro – continua l’Aran - è confermato peraltro da tutte le fonti statistiche disponibili, ivi compresi i dati rilevati dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso il conto annuale, pure citati nel Rapporto”.

Tutte queste nuove indicazione danno forza a quanto l’Anief sostiene da tempo: la depauperazione dei dipendenti della scuola ha origine lontane, risale ad oltre 20 anni fa. Tutto ha inizio con il “piano” avviato con il D.lgs. 29/1993, poi ribadito con il D.lgs. 165/01 e con il più recente D.lgs. ‘brunettiano’ 150/09: tutti provvedimenti orientati a disinnescare i diritti previsti dai contratti di comparto. E finalizzati a fare spazio, per ragioni di finanza pubblica, alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Ma l’equiparazione ai contratti privati non c’è mai stata. Non ha nemmeno “retto” l’aumento del costo della vita degli ultimi 12 anni.

Come degli ultimi 5: tra il 2007 e il 2013 l’inflazione è salita al 12%, mentre gli aumenti disposti dall’ultimo Ccnl 2006-2009 della scuola si sono fermati all’8%. Con 4 punti, quindi, sotto il costo della vita ed uno in meno di tutto il pubblico impiego (9%). Con il contratto ormai bloccato dal 2009 dalla legge Tremonti (122/2010) e dalla proroga voluta dal Governo Letta (DPR 122/2013), nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio 2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50.000 posti di lavoro e alla riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).

Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, chiede di compensare questo gap stipendiale rispetto al costo della vita con un indennizzo proporzionale: “se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 – sostiene il sindacalista - bisognerebbe assegnare 93 euro lorde al mese dall’anno 2010. Altro che 80 euro dal prossimo mese di maggio, come ha annunciato il governo: questo comporterebbe un credito in media di 5.000 euro lordi di arretrati a dipendente”.

“Tuttavia, se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei docenti Ocde, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, - continua Pacifico - la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro. Ecco perché gli 80 euro promessi dal Governo non bastano. Il credito a dipendente diventa quindi, solo per gli ultimi 5 anni, di 25mila euro. Complessivamente, per pagare anche i soli arretrati servirebbero subito 5 miliardi di euro”.

Ma non è finita. Perché se si considera che il 60% del personale della scuola è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa. Non stiamo parlando dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline degli inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (neanche 30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato nel febbraio 2011 un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di un terzo rispetto al 2010, il merito di qualcuno, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione.

In conclusione, lo stipendio base del personale della scuola non è sufficiente rispetto all’aumento del costo della vita, è inadeguato per come la funzione è percepita negli altri Paesi economicamente sviluppati ed è persino regredito in termini di potere d’acquisto. “Per tutte queste ragioni – conclude Pacifico – Anief ha deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio”.

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Per approfondimenti:

Il Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti 2-2013

Stipendi da fame, altro che pizze. Mentre si aspettano gli 80 euro promessi dal Governo, Anief ne chiede 25.000 di arretrati al netto dell’inflazione e nella media dei Paesi OCDE

Gli stipendi degli insegnanti sono i più bassi di tutta la PA: superati anche dall’inflazione

Gli stipendi più leggeri sono quelli della scuola

 

Se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 bisognerebbe assegnare 93€ lorde al mese dall’anno 2010, altro che 80 euro da maggio 2014: 5.000 euro lordi di arretrati. Ma se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei colleghi OCDE, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro. Ecco perché gli 80 euro promessi dal Governo non bastano. Per pagare anche i soli arretrati, servirebbero subito 5 miliardi.

Di certo non servono regali. Se si fossero applicati i parametri europei nella paga dei nostri insegnanti da quando è stato bloccato il contratto e si fossero adeguati gli stipendi al costo dell’inflazione, il Governo avrebbe dovuto mettere nelle finanziarie, per onorare il contratto, almeno 25.000 euro di arretrati per ciascun insegnante. Se l’inflazione è salita al 12% tra il 2007 e il 2013, gli aumenti disposti dall’ultimo contratto collettivo nazionale 2006-2009 si sono fermati all’8%, un punto in meno di tutto il pubblico impiego (9%): questa la situazione per il comparto scuola, dove il contratto è stato bloccato dal 2009 dalla legge Tremonti (122/2010) e dalla proroga voluta dal Governo Letta (DPR 122/2013) nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio 2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50.000 posti di lavoro e alla riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).

La stessa indennità di vacanza contrattuale - l’anticipo sugli aumenti di stipendio in attesa del rinnovo contrattuale - sarà ancorata al 2017 ai valori del 2009 mentre lo stipendio dei lavoratori privati è aumentato nell’ultimo anno ancora di quasi due punti percentuali, secondo l’ARAN.

Questa la fotografia dell’Anief che spiega come il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale. Stipendi da fame, mentre i nuovi aumenti dovrebbero permettere di mangiare una pizza. Ma gli 80 euro regalati sono inferiori a quanto sarebbe dovuto per contratto (93 euro) al minimo sindacale, cioè ai livelli dell’inflazione certificata, che è sempre più bassa di quella reale, e otto volte inferiore rispetto all’armonizzazione degli stipendi italiani a quelli della media OCDE (615 euro). Se allarghiamo il confronto ai Paesi più economicamente sviluppati dell’area OCDE, un docente italiano guadagna molto di meno a fine carriera: 8.000 euro, e lavora soltanto 30 ore in meno. E se si considera che il 60% del personale è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa. Non si parla dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline dei colleghi inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato nel febbraio 2011 un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di 1/3 rispetto al 2010, il merito di qualcuno, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione. Ma qua sta il punto: lo stipendio base del personale della scuola non è sufficiente rispetto all’aumento del costo della vita, è inadeguato per come la funzione è percepita negli altri Paesi economicamente sviluppati ed è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Per tutte queste ragioni, dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, abbiamo deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio. Per informazioni sul ricorso collettivo, scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 bisognerebbe assegnare 93€ lorde al mese dall’anno 2010, altro che 80 euro da maggio 2014: 5.000 euro lordi di arretrati. Ma se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei colleghi OCDE, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro. Ecco perché gli 80 euro promessi dal Governo non bastano. Per pagare anche i soli arretrati, servirebbero subito 5 miliardi.

Di certo non servono regali. Se si fossero applicati i parametri europei nella paga dei nostri insegnanti da quando è stato bloccato il contratto e si fossero adeguati gli stipendi al costo dell’inflazione, il Governo avrebbe dovuto mettere nelle finanziarie, per onorare il contratto, almeno 25.000 euro di arretrati per ciascun insegnante. Se l’inflazione è salita al 12% tra il 2007 e il 2013, gli aumenti disposti dall’ultimo contratto collettivo nazionale 2006-2009 si sono fermati all’8%, un punto in meno di tutto il pubblico impiego (9%): questa la situazione per il comparto scuola, dove il contratto è stato bloccato dal 2009 dalla legge Tremonti (122/2010) e dalla proroga voluta dal Governo Letta (DPR 122/2013) nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio 2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50.000 posti di lavoro e alla riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).

La stessa indennità di vacanza contrattuale - l’anticipo sugli aumenti di stipendio in attesa del rinnovo contrattuale - sarà ancorata al 2017 ai valori del 2009 mentre lo stipendio dei lavoratori privati è aumentato nell’ultimo anno ancora di quasi due punti percentuali, secondo l’ARAN.

Questa la fotografia dell’Anief che spiega come il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale. Stipendi da fame, mentre i nuovi aumenti dovrebbero permettere di mangiare una pizza. Ma gli 80 euro regalati sono inferiori a quanto sarebbe dovuto per contratto (93 euro) al minimo sindacale, cioè ai livelli dell’inflazione certificata, che è sempre più bassa di quella reale, e otto volte inferiore rispetto all’armonizzazione degli stipendi italiani a quelli della media OCDE (615 euro). Se allarghiamo il confronto ai Paesi più economicamente sviluppati dell’area OCDE, un docente italiano guadagna molto di meno a fine carriera: 8.000 euro, e lavora soltanto 30 ore in meno. E se si considera che il 60% del personale è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa. Non si parla dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline dei colleghi inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato nel febbraio 2011 un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di 1/3 rispetto al 2010, il merito di qualcuno, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione. Ma qua sta il punto: lo stipendio base del personale della scuola non è sufficiente rispetto all’aumento del costo della vita, è inadeguato per come la funzione è percepita negli altri Paesi economicamente sviluppati ed è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Per tutte queste ragioni, dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, abbiamo deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio. Per informazioni sul ricorso collettivo, scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Alla vigilia del rinnovo contrattuale, Anief ricorda al massimo rappresentante dell’istituzione scolastica italiana che riportare i fondi del Miglioramento dell’offerta formativa a 1 miliardo e 400 milioni significa prima di tutto restituire le risorse tolte e ricollocare gli stipendi del personale scolastico all’inflazione. Altre soluzioni, utili a ‘pochi intimi’, sono plausibili solo dopo questo passaggio. L’esperienza degli aumenti accordati dalla Consulta ai magistrati ce lo insegna.

Il personale della scuola non può più tollerare di essere preso in giro dal Ministro Giannini: dire che si vuole riportare il Mof, i fondi destinati al Miglioramento dell’offerta formativa, a 1 miliardo e 400 milioni, la quota del 2010, rappresenta sicuramente un importante passo in avanti. Però quei soldi devono servire prima di tutto a riallineare gli stipendi dei dipendenti, visto che si tratta di risorse che da alcuni anni gli sono state sottratte in modo illegittimo. Solo una volta azzerato il gap rispetto all’inflazione sarà possibile parlare di meritocrazia.

Così risponde l’Anief alle dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che vorrebbero presto il Governo impegnato in un rinnovo contrattuale contenente delle nuove modalità di incremento stipendiale, legate esclusivamente alla meritocrazia professionale. Con larga parte di dipendenti che rimarrebbero esclusi. Forse Giannini non sa, visto che è giunta al Miur da poco più di un mese, che al personale della scuola a partire dal 2010, a seguito dell’art. 9 della Legge 122/2010, è stato bloccato il contratto. E per effetto dell’ultima Legge di Stabilità, l’indennità di vacanza contrattuale è stata ‘sospesa’ sino al 2017. Così il valore degli stipendi fermo a 5 anni fa.

Il precedente sul blocco degli automatismi di carriera dei magistrati, la sentenza n. 223/12 della Corte costituzionale, che ha annullato l’art. 9, c. 21 della L. 122/2010, ci induce però ad andare avanti nella nostra battaglia legale: i giudici hanno spiegato che i sacrifici stipendiali chiesti ai lavoratori dello Stato possono essere attuati, ma a condizione che siano “transeunti, consentanei allo scopo ed eccezionali”. Tutti caratteri che non appartengono al decreto di proroga del blocco degli stipendi dei dipendenti della PA.

“In qualsiasi democrazia moderna – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non si può parlare di merito, da cui far scaturire la carriera lavorativa, se prima non si ripristinano le risorse tolte. È bene che il Ministro si metta in testa che solo dopo aver pareggiato il livello degli stipendi dei dipendenti della scuola a quello dell’inflazione, oggi sotto di 4 punti percentuali, sarà possibile avviare una seria revisione del contratto collettivo nazionale. I lavoratori – conclude il sindacalista Anief-Confedir – hanno pieno diritto ad una vera concertazione utile a tutta la categoria. E non a un aumento riservato a pochi intimi”.

Per approfondimenti:

Gli stipendi degli insegnanti sono i più bassi di tutta la PA: superati anche dall’inflazione

Stipendi docenti e Ata: con la scusa del merito dopo gli scatti addio pure alle indennità

 

Alla vigilia del rinnovo contrattuale, Anief ricorda al massimo rappresentante dell’istituzione scolastica italiana che riportare i fondi del Miglioramento dell’offerta formativa a 1 miliardo e 400 milioni significa prima di tutto restituire le risorse tolte e ricollocare gli stipendi del personale scolastico all’inflazione. Altre soluzioni, utili a ‘pochi intimi’, sono plausibili solo dopo questo passaggio. L’esperienza degli aumenti accordati dalla Consulta ai magistrati ce lo insegna.

Il personale della scuola non può più tollerare di essere preso in giro dal Ministro Giannini: dire che si vuole riportare il Mof, i fondi destinati al Miglioramento dell’offerta formativa, a 1 miliardo e 400 milioni, la quota del 2010, rappresenta sicuramente un importante passo in avanti. Però quei soldi devono servire prima di tutto a riallineare gli stipendi dei dipendenti, visto che si tratta di risorse che da alcuni anni gli sono state sottratte in modo illegittimo. Solo una volta azzerato il gap rispetto all’inflazione sarà possibile parlare di meritocrazia.

Così risponde l’Anief alle dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che vorrebbero presto il Governo impegnato in un rinnovo contrattuale contenente delle nuove modalità di incremento stipendiale, legate esclusivamente alla meritocrazia professionale. Con larga parte di dipendenti che rimarrebbero esclusi. Forse Giannini non sa, visto che è giunta al Miur da poco più di un mese, che al personale della scuola a partire dal 2010, a seguito dell’art. 9 della Legge 122/2010, è stato bloccato il contratto. E per effetto dell’ultima Legge di Stabilità, l’indennità di vacanza contrattuale è stata ‘sospesa’ sino al 2017. Così il valore degli stipendi fermo a 5 anni fa.

Il precedente sul blocco degli automatismi di carriera dei magistrati, la sentenza n. 223/12 della Corte costituzionale, che ha annullato l’art. 9, c. 21 della L. 122/2010, ci induce però ad andare avanti nella nostra battaglia legale: i giudici hanno spiegato che i sacrifici stipendiali chiesti ai lavoratori dello Stato possono essere attuati, ma a condizione che siano “transeunti, consentanei allo scopo ed eccezionali”. Tutti caratteri che non appartengono al decreto di proroga del blocco degli stipendi dei dipendenti della PA.

“In qualsiasi democrazia moderna – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non si può parlare di merito, da cui far scaturire la carriera lavorativa, se prima non si ripristinano le risorse tolte. È bene che il Ministro si metta in testa che solo dopo aver pareggiato il livello degli stipendi dei dipendenti della scuola a quello dell’inflazione, oggi sotto di 4 punti percentuali, sarà possibile avviare una seria revisione del contratto collettivo nazionale. I lavoratori – conclude il sindacalista Anief-Confedir – hanno pieno diritto ad una vera concertazione utile a tutta la categoria. E non a un aumento riservato a pochi intimi”.

Per approfondimenti:

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