Varie

Studio Istat: se tra il 2017 e il 2012 nelle altre Regioni i finanziamenti comunali per le scuole crescono, al Meridione il saldo è negativo e preoccupante. Perché è vero che le iscrizioni sono calate, ma solo del 4,7%. E comunque gli alunni disabili sono in aumento. Si salvano solo i servizi per l'infanzia.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è un dato davvero scoraggiante, perché va a incrementare il gap tra il Centro-Nord  e le Regioni dalla Campania in giù. E si somma ai disinvestimenti statali anche per docenti, normali e di sostegno, strutture per disabili, numero di sedi scolastiche del Sud. Proprio dove imperversano abbandoni dai banchi e Neet. Basta indugi: occorre introdurre parametri diversificati per garantire risorse e organici adeguati alle realtà socio-culturali più deprivate.

Tra il 2007 e il 2012 le amministrazioni comunali  del Sud hanno incrementato la spesa complessiva di oltre il 4%, ma non quella per l'istruzione che si è ridotta del 13%: il risparmio nel settore ha toccato, in particolare, l’assistenza agli alunni disabili, gli scuolabus e le mense scolastiche. Il dato è stato pubblicato in queste ore dall’Istat all’interno di una serie di tavole sui Bilanci consuntivi delle amministrazioni locali, elaborate sulla base dei dati su 7.387 Comuni pervenuti all'Istituto nazionale di Statistica dal Ministero dell'Interno nel mese di gennaio 2014.

Dalle elaborazioni dell'Istat risulta che il disinvestimento delle spese per il supporto all’Istruzione è un fenomeno che riguarda esclusivamente il Sud: per gli stessi capitoli di spesa, infatti, sempre nello stesso quinquennio 2007-2012, i Comuni delle Regioni centrali hanno speso il 4% in più. Al Nord l’incremento è stato ancora maggiore, pari all’8%. L’unica voce scolastica che ha fatto registrare incrementi anche al Meridione è quella dei servizi per l'infanzia. Nel cercare di fornire un’interpretazione logica al gap di investimenti a favore della scuola, l’Istat ha rilevato che la riduzione dei finanziamenti al Sud è solo in parte giustificata dal calo delle iscrizioni scolastiche: queste ultime sono infatti calate del 4,7%, ma i finanziamenti sono stati tagliati tre volte di più.

Quelle dell’Istituto nazionale di Statistica sono indicazioni da prendere in seria considerazione, perché, come ha spiegato proprio l’Istat, “l'elaborazione garantisce un'informazione tempestiva sui conti consuntivi delle amministrazioni locali” e “consente la conoscenza e la valutazione dei flussi finanziari tra livelli di governo e rende informazioni sull'evoluzione dei processi di decentramento amministrativo e fiscale”.

I tagli dei Comuni alle spese per l’Istruzione Meridionale costituiscono un segnale davvero scoraggiante – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché si sommano a quelli denunciati dal nostro sindacato, a seguito dei calcoli ragionieristici dello Stato, per via di una seppure modesta riduzione di alunni. Basta dire che ignorando gli altissimi tassi di dispersione, di disagio sociale e di deprivazione culturale, negli ultimi due-tre anni l’amministrazione ha tagliato su tutti i fronti: docenti, scuole, insegnanti di sostegno, risorse”.

Quando si tratta di ridurre i finanziamenti, i disabili sembrano il “bersaglio” preferito delle istituzioni: solo nell’ultimo biennio, al Sud e nelle Isole sono stati cancellati oltre 4mila posti di sostegno, di cui 2.275 in Sicilia e 900 in Campania. Inoltre, delle 22mila assunzioni di docenti sostegno programmate per il prossimo anno, attraverso il D.L. 104/13, l’80%, quasi 18mila, si effettueranno al Nord: al Centro rimarrà ben poco, con il Sud che rischia di rimanere quasi “a bocca asciutta”. Le regioni più penalizzate, con assunzioni ridotte al lumicino, saranno Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia. Il risultato è che i docenti di sostegno precari continueranno annualmente a cambiare scuola, non garantendo quella continuità didattica che nel caso dell’apprendimento degli alunni disabili è fondamentale. E tutto questo avviene malgrado il numero di alunni disabili sia in continua ascesa.

La carenza è anche nelle strutture di cui fruiscono gli alunni portatori di handicap. A Bologna nei prossimi giorni, dal 21 al 24 maggio, se ne parlerà anche all’Exposanità, l’evento nazionale dedicato alla sanità e all’assistenza in programma: presentando gli ultimi dati pubblicati dall’ufficio di statistica del Miur e dall’Istat sulle strutture scolastiche per alunni disabili, si dirà che “il Mezzogiorno presenta la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici a norma”, strutture indispensabili per favorire un apprendimento migliore e una vera integrazione scolastica.

La tendenza a sfoltire il corpo insegnante del Sud riguarda pure i docenti delle materie curricolari: nel prossimo anno scolastico si perderanno 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna, 504 in Sicilia. Tranne l’Umbria, che perderà comunque appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti. E di recente, la Fondazione Agnelli ha rilevato che, tra il 2009 e il 2012, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Il problema è che si stanno sottraendo docenti proprio dove ce ne sarebbe più bisogno: se si consulta l’ultimo Focus del Miur sulla “dispersione scolastica”, si scopre che le zone dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico prima dei 16 anni sono Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. Anche a livello universitario, quest’anno sono stati registrati picchi di abbandono del 55%. Per chiudere il cerchio, Anief-Confedir ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet, che complessivamente in Italia vi sono 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, 23,9% di quella fascia d’età: il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone, dove il fenomeno riguarda un giovane su due, dove la fuga al Nord e all’estero diventa l’unica soluzione all’appiattimento.

L’incuranza per Comuni e Regioni del Sud è a 360 gradi. Scorrendo l’ultimo rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, è emerso che l’area dove lo “squilibrio socio-economico” maggiore è sempre quella del Mezzogiorno. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre Friuli, Trentino, Veneto, Lombardia e Piemonte fanno da traino.

Indicativo è anche il resoconto sul cosiddetto ‘dimensionamento’ scolastico, la riduzione di istituti autonomi per effetto delle loro soppressione o fusione con altre sedi più grandi. Secondo uno studio dell’Anief, gli effetti dei tagli avviati nel 2000 e culminati con la Legge Tremonti-Gelmini 111/2011, hanno portato il rapporto tra sedi direzionali e plessi decentrati o istituti accorpati da 1 a 5 a 1 a 7. Con il 66,5% dei tagli delle scuole autonome che è avvenuto al Sud-Isole. La ‘mazzata’ finale al progetto di cancellazione di plessi e scuole autonome è arrivata nel 2012, quando sono stati cancellate in maniera illegittima 1.567 scuole autonome, tra circoli didattici, istituti comprensivi e medie: più del 60% riguardano il Sud e le Isole.

Riteniamo che queste dinamiche spiega ancora Marcello Pacifico – vadano esaminate con attenzione, per predisporre adeguate contromisure. Si stanno infatti accumulando in aree del Paese già depresse, dove si registra il più alto tasso di Neet e di disoccupati. Non è un caso se al Sud si continuano a perdere alunni e cattedre in misura doppia, a volte tripla, rispetto alle indicazioni dell’UE. E puntare sui risultati delle prove Invalsi potrebbe rappresentare un’ulteriore penalizzazione: siccome è evidente che nelle condizioni strutturali, sociali e culturali sopra descritte gli alunni di determinate zone del Sud abbiano conoscenze e competenze più basse, che senso ha somministrare loro gli stessi quesiti di chi vive in realtà scolastiche e locali di ben altra caratura?”.

Anziché puntare su prove standardizzate tutte da verificare – conclude il sindacalista Anief-Confedir – l’amministrazione dovrebbe pensare ad introdurre più risorse e organici potenziati, ad iniziare dal numero dei docenti da assegnare al Sud, svincolati dalla quantità di alunni ma legati all’alto grado di difficoltà sociale e culturale”.

Approfondimenti:

Alunni disabili: negli istituti del Sud mancano scale e servizi igienici a norma

Organici di sostegno: ancora una volta confermato il 70% dell’organico complessivamente attivato

Sostegno, il Miur penalizza il Meridione: 80% delle 22mila assunzioni al Nord

Al Sud in 5 anni sparito il 15% di insegnanti di ruolo: così si spiega il boom di abbandoni e disoccupazione

I dati Ocse confermano l’abbandono del Sud

Cresce gap Sud-Nord: nel Meridione record abbandoni, competenze in calo, pochi diplomati

Abituiamoci alle classi pollaio: da settembre +34 mila alunni, ma il numero dei docenti è in caduta libera

Abbandoni, l’Italia tra le peggiori 5 d’Europa: lascia i banchi troppo presto il 17,6% di alunni

Rapporto AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria superiore ad uno, tre e cinque anni dal diploma

Servizio statistico Miur: Focus ‘La dispersione scolastica’ (2013)

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Abi-Censis: Territorio, banca, sviluppo - I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi

E li chiamano Neet: dossier Anief-Confedir sull’evoluzione del quadro formativo e occupazionale dell’ultimo decennio

Università - Iscritti giù del 20%, abbandoni al 55%: colpa del mancato orientamento scolastico

Scuole tagliate: illegittimo per Tar e CdS il dimensionamento operato dalle Regioni negli ultimi due anni

Studio Istat: se tra il 2017 e il 2012 nelle altre Regioni i finanziamenti comunali per le scuole crescono, al Meridione il saldo è negativo e preoccupante. Perché è vero che le iscrizioni sono calate, ma solo del 4,7%. E comunque gli alunni disabili sono in aumento. Si salvano solo i servizi per l'infanzia.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è un dato davvero scoraggiante, perché va a incrementare il gap tra il Centro-Nord  e le Regioni dalla Campania in giù. E si somma ai disinvestimenti statali anche per docenti, normali e di sostegno, strutture per disabili, numero di sedi scolastiche del Sud. Proprio dove imperversano abbandoni dai banchi e Neet. Basta indugi: occorre introdurre parametri diversificati per garantire risorse e organici adeguati alle realtà socio-culturali più deprivate.

Tra il 2007 e il 2012 le amministrazioni comunali  del Sud hanno incrementato la spesa complessiva di oltre il 4%, ma non quella per l'istruzione che si è ridotta del 13%: il risparmio nel settore ha toccato, in particolare, l’assistenza agli alunni disabili, gli scuolabus e le mense scolastiche. Il dato è stato pubblicato in queste ore dall’Istat all’interno di una serie di tavole sui Bilanci consuntivi delle amministrazioni locali, elaborate sulla base dei dati su 7.387 Comuni pervenuti all'Istituto nazionale di Statistica dal Ministero dell'Interno nel mese di gennaio 2014.

Dalle elaborazioni dell'Istat risulta che il disinvestimento delle spese per il supporto all’Istruzione è un fenomeno che riguarda esclusivamente il Sud: per gli stessi capitoli di spesa, infatti, sempre nello stesso quinquennio 2007-2012, i Comuni delle Regioni centrali hanno speso il 4% in più. Al Nord l’incremento è stato ancora maggiore, pari all’8%. L’unica voce scolastica che ha fatto registrare incrementi anche al Meridione è quella dei servizi per l'infanzia. Nel cercare di fornire un’interpretazione logica al gap di investimenti a favore della scuola, l’Istat ha rilevato che la riduzione dei finanziamenti al Sud è solo in parte giustificata dal calo delle iscrizioni scolastiche: queste ultime sono infatti calate del 4,7%, ma i finanziamenti sono stati tagliati tre volte di più.

Quelle dell’Istituto nazionale di Statistica sono indicazioni da prendere in seria considerazione, perché, come ha spiegato proprio l’Istat, “l'elaborazione garantisce un'informazione tempestiva sui conti consuntivi delle amministrazioni locali” e “consente la conoscenza e la valutazione dei flussi finanziari tra livelli di governo e rende informazioni sull'evoluzione dei processi di decentramento amministrativo e fiscale”.

I tagli dei Comuni alle spese per l’Istruzione Meridionale costituiscono un segnale davvero scoraggiante – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché si sommano a quelli denunciati dal nostro sindacato, a seguito dei calcoli ragionieristici dello Stato, per via di una seppure modesta riduzione di alunni. Basta dire che ignorando gli altissimi tassi di dispersione, di disagio sociale e di deprivazione culturale, negli ultimi due-tre anni l’amministrazione ha tagliato su tutti i fronti: docenti, scuole, insegnanti di sostegno, risorse”.

Quando si tratta di ridurre i finanziamenti, i disabili sembrano il “bersaglio” preferito delle istituzioni: solo nell’ultimo biennio, al Sud e nelle Isole sono stati cancellati oltre 4mila posti di sostegno, di cui 2.275 in Sicilia e 900 in Campania. Inoltre, delle 22mila assunzioni di docenti sostegno programmate per il prossimo anno, attraverso il D.L. 104/13, l’80%, quasi 18mila, si effettueranno al Nord: al Centro rimarrà ben poco, con il Sud che rischia di rimanere quasi “a bocca asciutta”. Le regioni più penalizzate, con assunzioni ridotte al lumicino, saranno Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia. Il risultato è che i docenti di sostegno precari continueranno annualmente a cambiare scuola, non garantendo quella continuità didattica che nel caso dell’apprendimento degli alunni disabili è fondamentale. E tutto questo avviene malgrado il numero di alunni disabili sia in continua ascesa.

La carenza è anche nelle strutture di cui fruiscono gli alunni portatori di handicap. A Bologna nei prossimi giorni, dal 21 al 24 maggio, se ne parlerà anche all’Exposanità, l’evento nazionale dedicato alla sanità e all’assistenza in programma: presentando gli ultimi dati pubblicati dall’ufficio di statistica del Miur e dall’Istat sulle strutture scolastiche per alunni disabili, si dirà che “il Mezzogiorno presenta la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici a norma”, strutture indispensabili per favorire un apprendimento migliore e una vera integrazione scolastica.

La tendenza a sfoltire il corpo insegnante del Sud riguarda pure i docenti delle materie curricolari: nel prossimo anno scolastico si perderanno 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna, 504 in Sicilia. Tranne l’Umbria, che perderà comunque appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti. E di recente, la Fondazione Agnelli ha rilevato che, tra il 2009 e il 2012, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Il problema è che si stanno sottraendo docenti proprio dove ce ne sarebbe più bisogno: se si consulta l’ultimo Focus del Miur sulla “dispersione scolastica”, si scopre che le zone dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico prima dei 16 anni sono Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. Anche a livello universitario, quest’anno sono stati registrati picchi di abbandono del 55%. Per chiudere il cerchio, Anief-Confedir ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet, che complessivamente in Italia vi sono 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, 23,9% di quella fascia d’età: il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone, dove il fenomeno riguarda un giovane su due, dove la fuga al Nord e all’estero diventa l’unica soluzione all’appiattimento.

L’incuranza per Comuni e Regioni del Sud è a 360 gradi. Scorrendo l’ultimo rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, è emerso che l’area dove lo “squilibrio socio-economico” maggiore è sempre quella del Mezzogiorno. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre Friuli, Trentino, Veneto, Lombardia e Piemonte fanno da traino.

Indicativo è anche il resoconto sul cosiddetto ‘dimensionamento’ scolastico, la riduzione di istituti autonomi per effetto delle loro soppressione o fusione con altre sedi più grandi. Secondo uno studio dell’Anief, gli effetti dei tagli avviati nel 2000 e culminati con la Legge Tremonti-Gelmini 111/2011, hanno portato il rapporto tra sedi direzionali e plessi decentrati o istituti accorpati da 1 a 5 a 1 a 7. Con il 66,5% dei tagli delle scuole autonome che è avvenuto al Sud-Isole. La ‘mazzata’ finale al progetto di cancellazione di plessi e scuole autonome è arrivata nel 2012, quando sono stati cancellate in maniera illegittima 1.567 scuole autonome, tra circoli didattici, istituti comprensivi e medie: più del 60% riguardano il Sud e le Isole.

Riteniamo che queste dinamiche spiega ancora Marcello Pacifico – vadano esaminate con attenzione, per predisporre adeguate contromisure. Si stanno infatti accumulando in aree del Paese già depresse, dove si registra il più alto tasso di Neet e di disoccupati. Non è un caso se al Sud si continuano a perdere alunni e cattedre in misura doppia, a volte tripla, rispetto alle indicazioni dell’UE. E puntare sui risultati delle prove Invalsi potrebbe rappresentare un’ulteriore penalizzazione: siccome è evidente che nelle condizioni strutturali, sociali e culturali sopra descritte gli alunni di determinate zone del Sud abbiano conoscenze e competenze più basse, che senso ha somministrare loro gli stessi quesiti di chi vive in realtà scolastiche e locali di ben altra caratura?”.

Anziché puntare su prove standardizzate tutte da verificare – conclude il sindacalista Anief-Confedir – l’amministrazione dovrebbe pensare ad introdurre più risorse e organici potenziati, ad iniziare dal numero dei docenti da assegnare al Sud, svincolati dalla quantità di alunni ma legati all’alto grado di difficoltà sociale e culturale”.

Approfondimenti:

Alunni disabili: negli istituti del Sud mancano scale e servizi igienici a norma

Organici di sostegno: ancora una volta confermato il 70% dell’organico complessivamente attivato

Sostegno, il Miur penalizza il Meridione: 80% delle 22mila assunzioni al Nord

Al Sud in 5 anni sparito il 15% di insegnanti di ruolo: così si spiega il boom di abbandoni e disoccupazione

I dati Ocse confermano l’abbandono del Sud

Cresce gap Sud-Nord: nel Meridione record abbandoni, competenze in calo, pochi diplomati

Abituiamoci alle classi pollaio: da settembre +34 mila alunni, ma il numero dei docenti è in caduta libera

Abbandoni, l’Italia tra le peggiori 5 d’Europa: lascia i banchi troppo presto il 17,6% di alunni

Rapporto AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria superiore ad uno, tre e cinque anni dal diploma

Servizio statistico Miur: Focus ‘La dispersione scolastica’ (2013)

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Abi-Censis: Territorio, banca, sviluppo - I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi

E li chiamano Neet: dossier Anief-Confedir sull’evoluzione del quadro formativo e occupazionale dell’ultimo decennio

Università - Iscritti giù del 20%, abbandoni al 55%: colpa del mancato orientamento scolastico

Scuole tagliate: illegittimo per Tar e CdS il dimensionamento operato dalle Regioni negli ultimi due anni

Proposta al Governo da parte dell’associazione sindacale nei primi giorni di scadenza per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi: è un’esigenza ormai non più rinviabile, la situazione degli istituti è drammatica e questa soluzione non comporterebbe alcun nessun aggravio di spesa. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): le nostre scuole che non hanno più soldi per pagare i progetti e le attività di rinforzo della didattica, lo sanno bene i contribuenti italiani che così eviterebbero di arrivare al collasso.

Inserire anche la ‘scuola pubblica’ tra i destinatari della quota di 8 per mille dell’Irpef: a chiederlo al Governo, in corrispondenza dei primi giorni di scadenza per la presentazione di una parte delle dichiarazione dei redditi, è l’Anief. Secondo l’associazione sindacale si tratta di un’esigenza ormai non più rinviabile, alla luce della sottrazione sistematica di fondi all’istruzione pubblica che sta mettendo i nostri istituti scolastici sempre più in difficoltà.

“Siamo convinti – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che sia giunto il momento di dare la possibilità ai contribuenti italiani di poter indicare nell’8 per mille, attribuibile allo Stato, anche l’opzione della scuola pubblica. Una soluzione di questo genere non comporterebbe nessun aggravio di spesa, ma si rivelerebbe estremamente preziosa per le nostre scuole che non hanno più soldi per pagare i progetti e le attività di rinforzo della didattica”.

L’emergenza educativa è ormai palpabile. Ai tagli draconiani decisi dal duo Tremonti-Gelmini, con la scuola sacrificata per oltre 8 miliardi di euro, negli ultimi anni si sono aggiunti continui sacrifici al settore. Esemplari sono le sempre maggiori riduzioni del Miglioramento dell’offerta formativa: il finanziamento - utilizzato per pagare fondo d’istituto, corsi di recupero, turni notturni nei convitti, incarichi extra per il personale Ata, funzioni strumentali per attuazione del POF, progetti, ore eccedenti per pratica sportiva e sostitutive dei colleghi assenti, aree a rischio sociale o immigratorio - si è assottigliato di un terzo, dai 1.480 milioni del 2010/2011 ai 521 milioni sbloccati per l’anno in corso.

Nell’ultimo biennio, abbiamo avuto dei campanelli d’allarme che però solo utenti e genitori sembrano essere deputati ad ascoltare: proprio a causa della carenza di fondi destinati alle scuole, si è passati dalle minacce di ridurre i riscaldamenti ai pagamenti dei supplenti a sorte. E che dire delle richieste alle famiglie da parte di un nutrito gruppo di dirigenti scolastici di contributi improvvisamente divenuti non più volontari? Oppure dei casi non più isolati di scuole ripulite sfruttando la buona volontà delle famiglie? In provincia di Brescia, qualche mese fa si è arrivati al paradosso di richiamare i professori in pensione per condurre, a titolo gratuito, i progetti di integrazione degli alunni stranieri.

“In pratica – continua Pacifico - si stanno sempre più assottigliando i finanziamenti che servono specificatamente per le attività che ogni scuola mette in pratica per produrre un’offerta formativa migliore. Tra cui quelli che servono a condurre una didattica rafforzata nelle scuole a rischio abbandono oppure l'attività motoria nella scuola primaria. Approvare il prima possibile la nostra proposta sul 8 per mille da estendere alla scuola significherebbe quindi evitare che nelle scuole si giunga al collasso. Tra l’altro – conclude il rappresentante Anief-Confedir - permettendo ai contribuenti italiani di scegliere di salvare una delle istituzioni più importanti del loro Paese”.

 

Proposta al Governo da parte dell’associazione sindacale nei primi giorni di scadenza per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi: è un’esigenza ormai non più rinviabile, la situazione degli istituti è drammatica e questa soluzione non comporterebbe alcun nessun aggravio di spesa. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): le nostre scuole che non hanno più soldi per pagare i progetti e le attività di rinforzo della didattica, lo sanno bene i contribuenti italiani che così eviterebbero di arrivare al collasso.

Inserire anche la ‘scuola pubblica’ tra i destinatari della quota di 8 per mille dell’Irpef: a chiederlo al Governo, in corrispondenza dei primi giorni di scadenza per la presentazione di una parte delle dichiarazione dei redditi, è l’Anief. Secondo l’associazione sindacale si tratta di un’esigenza ormai non più rinviabile, alla luce della sottrazione sistematica di fondi all’istruzione pubblica che sta mettendo i nostri istituti scolastici sempre più in difficoltà.

“Siamo convinti – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che sia giunto il momento di dare la possibilità ai contribuenti italiani di poter indicare nell’8 per mille, attribuibile allo Stato, anche l’opzione della scuola pubblica. Una soluzione di questo genere non comporterebbe nessun aggravio di spesa, ma si rivelerebbe estremamente preziosa per le nostre scuole che non hanno più soldi per pagare i progetti e le attività di rinforzo della didattica”.

L’emergenza educativa è ormai palpabile. Ai tagli draconiani decisi dal duo Tremonti-Gelmini, con la scuola sacrificata per oltre 8 miliardi di euro, negli ultimi anni si sono aggiunti continui sacrifici al settore. Esemplari sono le sempre maggiori riduzioni del Miglioramento dell’offerta formativa: il finanziamento - utilizzato per pagare fondo d’istituto, corsi di recupero, turni notturni nei convitti, incarichi extra per il personale Ata, funzioni strumentali per attuazione del POF, progetti, ore eccedenti per pratica sportiva e sostitutive dei colleghi assenti, aree a rischio sociale o immigratorio - si è assottigliato di un terzo, dai 1.480 milioni del 2010/2011 ai 521 milioni sbloccati per l’anno in corso.

Nell’ultimo biennio, abbiamo avuto dei campanelli d’allarme che però solo utenti e genitori sembrano essere deputati ad ascoltare: proprio a causa della carenza di fondi destinati alle scuole, si è passati dalle minacce di ridurre i riscaldamenti ai pagamenti dei supplenti a sorte. E che dire delle richieste alle famiglie da parte di un nutrito gruppo di dirigenti scolastici di contributi improvvisamente divenuti non più volontari? Oppure dei casi non più isolati di scuole ripulite sfruttando la buona volontà delle famiglie? In provincia di Brescia, qualche mese fa si è arrivati al paradosso di richiamare i professori in pensione per condurre, a titolo gratuito, i progetti di integrazione degli alunni stranieri.

“In pratica – continua Pacifico - si stanno sempre più assottigliando i finanziamenti che servono specificatamente per le attività che ogni scuola mette in pratica per produrre un’offerta formativa migliore. Tra cui quelli che servono a condurre una didattica rafforzata nelle scuole a rischio abbandono oppure l'attività motoria nella scuola primaria. Approvare il prima possibile la nostra proposta sul 8 per mille da estendere alla scuola significherebbe quindi evitare che nelle scuole si giunga al collasso. Tra l’altro – conclude il rappresentante Anief-Confedir - permettendo ai contribuenti italiani di scegliere di salvare una delle istituzioni più importanti del loro Paese”.

 

La stima è della Giunta provinciale dell'Alto Adige, che ha commissionato una ricerca su 5.200 docenti sui 7.400 della provincia trentina: contraddicendo le dicerie sulla professione, chi insegna lavora in media 1.643 ore annue, esattamente il doppio delle 18 ore di lezione alle superiori. Il motivo sta nella mole di impegni extra, come la preparazione e la correzione dei compiti, i colloqui con le famiglie, la stesura delle relazioni e dei registri.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ora che è scientificamente provato l’impegno lavorativo extra dei docenti, perché il loro stipendio rimane di un terzo inferiore di chi non è laureato, abilitato e spesso nemmeno vincitore di dure selezioni pubbliche? Anche in Spagna sanno bene che per valorizzare una professione così preziosa bisogna partire dall’adeguamento della busta paga base. Poi ci si lamenta perché abbiamo sempre meno iscritti all’Università.

Gli insegnanti italiani svolgono un’enorme mole di lavoro sommerso: lavorano in media 1.643 ore annue, che equivalgono ad un normale impiego a tempo pieno, pari a circa 36 ore a settimana per 45 settimane l’anno. Peccato che guadagnano un buon 30% in meno di altre categorie, anche non intellettuali, come gli operai specializzati. Il dato è contenuto in un’ampia ricerca commissionata della Giunta provinciale dell'Alto Adige, che è andata a indagare sull’impegno lavorativo annuale di 5.200 insegnanti su 7.400 complessivi della provincia trentina.

La ricerca ha fatto emergere che i prof delle scuole superiori, con 1.677 ore annue, lavorano poco più di quelli delle medie (1.630 ore). Quelli di ruolo sono impegnati per 1.660 ore, mentre i supplenti poco meno (1.580 ore). Ma soprattutto, la ricerca ha fatto emergere che il lavoro “oscuro”, la metà delle 1643 ore complessive, si deve alle tante incombenze burocratiche che un insegnante italiano è chiamato quotidianamente ad assolvere: colloqui con i genitori, riunioni con i colleghi, compilazione dei registri, stesura di relazioni e programmazioni e progetti, preparazione delle lezioni, correzioni dei compiti degli alunni. Oltre che per la formazione, peraltro quasi sempre a proprie spese.

La rivista specializzata Orizzonte Scuola ha provato a quantificare quanto vale il lavoro sommerso degli insegnanti. “Considerando che un'ora dovrebbe essere retribuita 17,50 euro, il lavoro ‘silenzioso’ per ogni docente ha un valore pari a circa 14mila euro annue. Calcolo approssimativo che non tiene conto di diversi fattori, a partire dai diversi gradi di scuola, ma che fornisce un'idea del fenomeno. Se proprio vogliamo parlare di merito – continua la rivista - partiamo dal riconoscimento del lavoro sommerso. In fondo era uno dei punti del programma del Partito Democratico in campagna elettorale, quando l'ex responsabile scuola del PD prometteva più soldi a chi corregge i compiti a casa".

“Il problema – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - è che nell’opinione pubblica prevale l’idea del docente che svolge solo le ore frontali con gli alunni. Ma questo errore di fondo lo fa anche il Ministro Giannini quando dice che vuole presentare un nuovo contratto con aumenti solo legati al merito. Come si fa a fare una proposta del genere quando tutti gli insegnanti hanno di fatto lo stipendio fermo dal 2009 e corroso dall’inflazione che nel frattempo ha corso di più di 4 punti percentuali? E cosa diciamo ai nostri insegnanti quando ci dicono che a fine carriera un collega dell’area Ocde guadagna il 30% in più, pari a quasi 8mila euro l’anno?”.

A proposito di confronto internazionale, solo alcuni giorni fa ANSA-Centimetri, ha prodotto una tabella, pubblicata da ‘The social post’ utilizzando gli ultimi dati del Rapporto Eurydice 2013: è stato messo a confronto lo stipendio degli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori in Italia con quello dei pari grado in altri paesi europei. Il risultato è a dir poco disarmante: in Svezia le buste paga dei docenti sono ben oltre il doppio di quelle dei nostri, la Francia ci sovrasta, la Germania non è nemmeno paragonabile ed anche la martoriata Spagna assicura ai propri insegnanti stipendi molto più dignitosi di quelli assegnati a chi sta dietro alla cattedra nel nostro Paese.

Ora però, dopo aver preso atto dei risultati della ricerca commissionata dalla Giunta provinciale dell'Alto Adige, sappiamo che non dobbiamo andare oltre confine per assistere a certe sperequazioni. Lo studio trentino ci dice infatti che non è nemmeno più giustificabile dire che un insegnante guadagna poco perché lavora poco. Conti alla mano, si è dimostrato che considerando le ore di impegni extra, svolti a scuole e a casa, fare l’insegnante non comporta alcun vantaggio a livello di tempo lavorativo.

“La realtà è che mentre i rappresentanti dei governi che si succedono – continua il sindacalista Anief-Confedir – continuano a parlare di rilancio della scuola e della professione del docente, gli altri comparti di lavoro ottengono contratti più vantaggiosi. Mentre il pubblico impiego rimane fermo a seguito dell’approvazione della riforma Brunetta del 2009, che non prevede più aumenti legati alle Leggi Finanziarie. Con questo andare, inoltre, si manda un messaggio sbagliato alle nuove generazioni: a cosa serve laurearsi, specializzarsi, abilitarsi all’insegnamento, vincere i pubblici concorsi se poi un diplomato che ha imparato a svolgere un professione specializzante guadagna attorno ai 1.800 euro netti mensili? Mentre un insegnante, anche della scuola media e superiore, rimane fermo per tutto il periodo del precariato e per i primi 10 anni dopo l’immissione in ruolo su stipendi di poco superiori ai 1.200 euro?”.

Per approfondimenti:

Gli insegnanti guadagnano meno degli operai, il Ministro Giannini dovrebbe saperlo

Contratti collettivi: le retribuzioni al 1° gennaio 2013

Stipendi, quanto guadagnano gli insegnanti in Italia e in Europa: il confronto