Prende quota la protesta dei docenti precari contro il sistema informatizzato di assegnazione delle supplenze, che quest’anno ha assegnato le cattedre “punendo” ingiustamente tanti supplenti costretti a scegliere le scuole a caso e senza conoscere le disponibilità: in pratica, la pubblicazione tardiva del bollettino di disponibilità per l’anno scolastico 2023-2024 ha costretto i docenti precari alla compilazione delle preferenze “al buio”. Il risultato è che gli aspiranti docenti per i quali non si è trovata coincidenza tra le preferenze espresse e le disponibilità presenti al turno di nomina sono stati considerati rinunciatari: hanno perso il diritto alla nomina da GPS ed ora sono costretti a sperare in una chiamata da graduatorie di istituto. La beffa si completa, infine, nel momento in cui la cattedra di questi candidati docenti è stata assegnata a chi, anche se indietro nelle Gps, è stato più fortunato nella scelta delle sedi. A Milano sono stati in centinaia, forse migliaia, ad avere subito un danno da questa procedura: una ventina di loro ha perso la pazienza e deciso di occupare l’Ufficio scolastico. Secondo la stampa specialistica hanno le loro ragioni: “se le disponibilità iniziali non erano complete o erano difformi rispetto alla situazione reale, il principio del buon andamento potrebbe esser venuto meno già prima del giro dell’algoritmo”, scrive oggi Orizzonte Scuola.
Dietro alle mancate 10mila immissioni in ruolo di quest’anno vi sono storie di docenti precari costretti a rinunciare alla stabilizzazione, all’obiettivo che si erano prefissi spesso da anni, perché collocati su sedi lontane, senza possibilità di tornare prima di un lungo periodo a causa dei gratuiti vincoli alla mobilità, e perché gli stipendi che andrebbero a prendere non gli garantirebbero di arrivare a fine mese. È il caso di una docente di Scienze Economico-Aziendali, la professoressa Laura, costretta a rinunciare “per non stare lontana dalle figlie minori e per le troppe spese da affrontare stando lontano da casa, oggi, a distanza di due settimane, le fa ancora tanto male”.
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