Tutto il personale insegnante della scuola pubblica italiana, precari compresi, deve avere la possibilità di “conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, onde garantire la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti”: lo ha scritto “il Consiglio di Stato, con sent. n. 1842/2022”, mutando “il proprio precedente orientamento” per “scongiurare un possibile contrasto con le disposizioni costituzionali degli artt. 3,35 e 97 della Costituzione, sia sotto il profilo della discriminazione a danno dei docenti non di ruolo sia per la lesione del principio di buon andamento della P.A.”.
Il calo demografico sta avendo fortissime ripercussioni anche sulla scuola: dall’anno scolastico 2015/16 al 2022/23 si sono persi più di 300mila studenti della scuola primaria, meno per la secondaria di primo grado, le medie, mentre il secondo grado, le superiori, hanno fatto registrare una lieve crescita. L’andamento, quantificato dal Centro studi OrizzonteScuola, è stato registrato sui dati ufficiali Ministeriali degli ultimi 8 anni. Nel complesso, le variazioni nel numero di studenti italiani iscritti nelle scuole durante l’arco di 8 anni (dall’a.s. 2015/16 all’a.s. 2022/23), suddivisi per livello scolastico: nella scuola primaria si sono persi 302.353 alunni; nelle medie la riduzione di iscritti è stata pari a 74.621 studenti; nelle superiori l’incremento è stato di 5.892 studenti.
“La perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi solo nel caso in cui il datore di lavoro abbia invitato il lavoratore a godere delle ferie ovvero abbia avvisato lo stesso che, in caso di mancata fruizione delle stesse, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento”: in assenza di questo esplicito invito da parte del dirigente, il dipendente con il termine del rapporto di lavoro ha pieno diritto a farsi pagare i giorni di ferie non goduti, quindi il Ministero “in applicazione dell'art. 7 della direttiva 2003/88, oltre che dell’art. 36 Cost., non può che essere condannato al pagamento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute”.
In Italia gli stipendi dei docenti e del personale Ata risultano tra i più bassi rispetto alla media europea, tuttavia da un recente studio internazionale, realizzato da Ocse Talis e diffuso da Invalsi, risulta che c’è chi sta peggio di noi, soprattutto ad inizio carriera e dopo 15 anni di anzianità: con 28.113 euro di stipendio medio annuo, il compenso mensile dell’insegnante italiano produrrebbe un potere di acquisto accettabile. Il gap si evidenzia invece a fine carriera. Avvicinandosi al pensionamento, quando i docenti arrivano a percepire in media poco più di 40.000 euro annui, il potere d'acquisto dei nostri insegnanti si affloscia, soprattutto se consideriamo i 48.876 euro della Spagna, i 55.497 euro del Portogallo, i 60.947 euro dell'Austria, per non parlare dei Paesi nordici dove si arriva anche a 100.000 euro. In un contesto così difficile, è chiaro che si deve fare del tutto per innalzare lo stipendio. Anche attraverso il giudice del lavoro.
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