Intervistato da Repubblica Tv, il ministro dell’Istruzione assicura che con il ddl La Buona Scuola si chiude il capitolo drammatico del precariato storico: dei 130mila precari della scuola nelle graduatorie ad esaurimento, 100mila e qualche centinaio li assumiamo subito: la parte restante è quella delle graduatorie dell’infanzia, che non è esclusa ma affidata alla delega al Governo su questo ddl che si svilupperà nel prossimo anno.
Replica dell’Anief: Giannini sa bene che i numeri del precariato italiano non si fermano alle GaE, peraltro tutt’altro che prossime allo svuotamento, come invece era stato detto a gran voce dal Governo per almeno sei mesi. Oltre ai 37mila precari della scuola dell’infanzia, infatti, ne rimangono fuori almeno altri 7mila appartenenti alle varie classi di concorso, più decine di migliaia di abilitati in seconda fascia d'istituto ed altri 7mila docenti idonei dei concorsi pubblici. Mancano all’appello, inoltre, alcune migliaia di altri aspiranti docenti di religione, i docenti in servizio nelle scuole estere del MaE e alcune centinaia di educatori.
Marcello Pacifico (presidente Anief e candidato al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione): così viene elusa la sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 26 novembre. Vorrà dire che troveranno giustizia tramite le aule dei tribunali, dove i giudici gli potranno assegnare quella stabilizzazione oggi negata dal legislatore. Ma anche risarcimenti tutt’altro che figurativi: fino a 20 mensilità, oltre che l’inclusione degli scatti e delle mensilità estive, con cifre che variano tra i 30mila e i 50mila euro a docente.
Il 10 luglio, durante l'audizione delle Confederazioni in I Commissione Affari Costituzionali, Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir, ha ricordato che il D.L. non consente una riflessione ponderata sull'impatto normativo innovato: lo dimostra l'assenza di qualsiasi riferimento alla normativa comunitaria in tema di mobilità di personale, stabilizzazione dei precari, informazione e consultazione dei lavoratori nonché in tema di libertà sindacali.
Tra le modifiche da adottare al testo c’è una soluzione per la “Quota 96” e per i pensionati della scuola. Ma anche il rispetto della normativa comunitaria sulle stabilizzazioni per il turn-over e l'abolizione del tetto legato alla mobilità del personale, il riconoscimento della posizione giuridica ed economica in caso di trasferimento in ufficio inferiore, la tutela delle prerogative delle RSU del comparto e delle RSA della dirigenza, il ripristino della figura del ricercatore di ruolo e per la chiamata diretta, il pagamento della borsa di studio per i medici specializzati 1983-1991.
Una riforma di ampia portata come quella della pubblica amministrazione non doveva essere attuata per decreto legge. A sostenerlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir, membro della delegazione oggi audita nella I commissione della Camera dei Deputati: “la prima critica al provvedimento – ha detto Pacifico - arriva proprio contro lo strumento del decreto legge, che non consente una riflessione ponderata sull'impatto normativo innovato. Una prova ne è, a dispetto dell'art. 117, 1 comma della Costituzione, l'assenza di qualsiasi riferimento alla normativa comunitaria in tema di mobilità di personale, stabilizzazione dei precari, informazione e consultazione dei lavoratori nonché in tema di libertà sindacali come garantite dagli artt. 5 e 6 della Carta Sociale Europea vincolante per i Paesi membri della UE secondo gli accordi di Lisbona”.
Numerose le modifiche presentate al testo approvato alcune settimane fa dal CdM. Un emendamento sulla scuola all'art. 1 permetterebbe di liberare circa 4mila docenti over 60, che già il 1° settembre 2011 pensavano di aver iniziato l'ultimo anno di carriera prima che la riforma Fornero intervenisse ignorando la data di assunzione differente nella scuola rispetto al pubblico impiego. Per l'art. 3, riguardante il turn-over, per il sindacato è necessario sbloccare il computo delle eventuali stabilizzazioni disposte per effetto di pronunce dei tribunali o di processi derivanti dall'attuazione di una direttiva comunitaria. Chiesta anche la rivisitazione dell'art. 6, che così come è scritto impedirebbe effettivamente il bando di nuovi concorsi preso atto del taglio del 20% dei dirigenti e del 10% dei dipendenti della P.A. e dei processi di mobilità: “su questo punto è evidente che debba essere rispettata la progressione di carriera goduta dal personale nel cambio di mansione per non incorrere in palese violazione della norma comunitaria”, ha sottolineato Pacifico.
Per quanto riguarda le libertà sindacali è evidente che è stato quanto mai improprio, rasente di comportamento antisindacale, l'intervento del Governo - Datore di lavoro che “taglia” le prerogative ai rappresentanti dei lavoratori, per lo meno coerente con una politica che da un quadriennio ha tolto persino il diritto alla contrattazione. “Come tutto questo possa apparire democratico – ha detto Pacifico alla Commissione Affari Costituzionali - non si spiega né in termini di risparmi perché aumenterà il contenzioso nei tribunale in assenza di tutela sindacale”.
“Ad ogni modo – ha continuato il sindacalista – occorre almeno tutelare le RSU che sono sul luogo di lavoro. Sui temi universitari trattati dalla riforma, come il blocco del sistema di abilitazione nazionale, riteniamo che vada ricordato quanto in Italia è penalizzante il blocco della ricerca. Cosicché, in ossequio alla carta europea dei ricercatori, sarebbe opportuno reintrodurre la figura del ricercatore a tempo indeterminato da assumere immediatamente per chiamata diretta. Mentre per la borsa di studio dei medici – ha concluso Pacifico - ancora oggi si è nell'illegalità per la mancata corresponsioni per il periodo 1983-1991”.
Anief-Confedir: è paradossale che in regioni come la Campania, il Molise, l’Umbria e il Veneto non vi sia nemmeno una struttura per cittadini adulti che vogliono tornare a studiare o riformarsi professionalmente. Eppure sono quasi tutte zone dove la presenza di un’alternativa ai canali formativi tradizionali sarebbe fondamentale per combattere l’alto abbandono scolastico ed il numero crescente di Neet.
A distanza di oltre un anno dall’approvazione del regolamento che avrebbe dovuto disciplinare l’educazione degli adulti, il Miur pubblica finalmente la circolare, per l'attivazione dei Centri e per la determinazione delle dotazioni organiche, e le nuove linee guida sull’assetto organizzativo e didattico. L’intento è portare il nostro Paese ad elevare il davvero ridotto numero di italiani tra i 25 ed i 64 anni che si forma (appena il 6,6%). È una vera miseria: basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%. Ma la colpa non è solo loro: sono attivi infatti solo 144 istituti per adulti. Anche se sono 45 in più di due anni prima, la loro presenza rimane davvero limitata. E anche maldistribuita.
Da una ricerca realizzata dall’Anief sulle scuole tagliate negli ultimi due anni è emerso che nel nostro paese ogni Regione potrebbe contare in media su 7 Centri territoriali permanenti, per un totale di 144 Cpia complessivi. Il valore più alto degli adulti che studiano si riscontra al Centro (7,6%) e quello più basso al Sud (5,7%). Con Campania, Molise, Umbria e Veneto che non possono contare nemmeno su un centro formativo per adulti.
Eppure la Campania è la regione italiana dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti neppure 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, sono concentrati tantissimi Neet: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Mentre, paradossalmente, in Lombardia, dove la presenza di Neet è decisamente più bassa (16,2%), sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.
“Eccoci a commentare – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – un altro paradosso tutto italiano sul fronte dell’istruzione e del lavoro: come si fa a non attivare nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet? E dove i diplomati, ci ha detto l’Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore, addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere le superiori sono il 65% dei giovani?”
“E come si fa a lasciare al loro destino quel 22 per cento di giovani che escono prima dal sistema scolastico campano? La realtà è che mentre si continua a parlare di istruzione permanente, in Italia nel 2014 ancora non esiste un’alternativa ai canali formativi tradizionali. Eppure le norme esistono e – conclude il sindacalista Anief-Confedir – i numeri indicano chiaramente che il successo formativo è legato a doppio filo con quello professionale-occupazionale”.
Ecco che allora il centri di istruzione per adulti, i cosiddetti CPIA, diventano fondamentali: andranno infatti a sostituire i più noti corsi serali per adulti, permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Gli obiettivi sono contenuti nella Gazzetta Ufficiale 47/2013: negli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 è stato pubblicato il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, dove si indicava la messa a regime immediata delle nuove strutture: bisognava introdurre “le norme generali per la graduale ridefinizione, a partire dall'anno scolastico 2013-2014 e comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.
Nello D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento.
Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.
L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per due milioni e mezzo di Neet. Oltre che per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale.
Si tratta, però, di linee che non hanno trovato spazio sul piano pratico. E non dobbiamo meravigliarci, quindi, se poi la partecipazione degli adulti italiani per "l'educazione degli adulti" è tra le più basse nei paesi PIAAC (il 24% dei lavoratori rispetto alla media OCSE del 52%). E nemmeno se la spesa pubblica italiana per l'istruzione equivale al 4.5% del PIL, 1 pp inferiore alla media UE, “soprattutto a causa una riduzione della spesa per l'istruzione terziaria”.
Lo stipendio medio di chi opera nella scuola è di circa 29.500 euro, quindi superiore alla soglia massima di chi beneficerà degli sgravi fiscali.
Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir: per docenti e Ata servono risorse vere, basta con le elemosine
Gli sgravi Irpef approvati oggi dal Consiglio dei Ministri, attraverso il Decreto “sicambiaverso”,possono essere un buon viatico per l’adeguamento degli stipendi dei lavoratori italiani. Ma per i dipendenti pubblici, in particolare per quelli della scuola, rappresentano l’ennesima beffa: il 60% dei docenti ha infatti oltre 50 anni, tanto che secondo l’ultimo ‘Conto annuale’, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (pag. 49), la media degli stipendi di docenti e Ata è pari 29.548 euro, quindi al di fuori del bunus previsto dal Governo. In pratica alla gran parte del personale della scuola non andrà un euro di aumento.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “già gli 80 euro lordi di aumento massimo non sarebbero bastati a coprire quattro anni di blocco contrattuale e la perdita del potere di acquisto degli ultimi 7 anni. È sempre più evidente che per chi opera nella scuola il Governo deve trovare risorse aggiuntive. Ma siccome non si riescono a trovare nemmeno quelle per coprire gli scatti automatici del 2012 c’è poco da rallegrarsi”.
Se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013, il sindacato Anief ha calcolato che bisognerebbe assegnare a docenti e Ata una media di 120 euro lordi al mese dall’anno scolastico 2006/07. Ma se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei colleghi OCDE, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro.
“La verità – continua il sindacalista Anief-Confedir – è che non servono elemosine, ma soldi veri. Altrimenti chi opera nella scuola, ad iniziare dagli insegnanti, è destinato ad essere sempre più proletarizzato. Se si fossero applicati i parametri europei nella paga dei nostri insegnanti da quando è stato bloccato il contratto e si fossero adeguati gli stipendi al costo dell’inflazione, il Governo avrebbe dovuto mettere nelle finanziarie, per onorare il contratto, almeno 25.000 euro di arretrati per ciascun insegnante. Più un incremento mensile lordo di oltre 600 euro per parametrarli al resto dell’area Ocde”.