Lo si evince dal dossier nazionale Tuttoscuola pubblicato oggi: in Lombardia l’adesione alle 40 ore circa settimanali supera il 50 per cento di iscritti; il Sud invece rimane ancora troppo indietro, perché al netto degli incrementi degli ultimi anni ci si ferma al 16,1%. Il gap è troppo alto per pensare che si tratti solo di una resistenza culturale. Quella delle famiglie è una scelta obbligata. Perché sono le scuole dell’infanzia e primarie e non offrire alcuna opportunità di tempo maggiorato di lezioni. Per potere organizzare il tempo piano, ovvero 40 ore settimanali, a fronte di 30 o anche meno, le strutture scolastiche debbono contare su un organico più ampio. Il quale non c’è. Ma ammesso anche che vi sia più personale, docente e Ata, servirebbero anche una serie di servizi a supporto finanziati e gestiti dai Comuni, ad iniziare dalla mensa per passare ai trasporti e alle utenze più impegnative.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Il supporto degli enti locali è indispensabile per lo sviluppo del tempo pieno e per attuarlo occorrono risorse adeguate, mentre nell’ultimo decennio abbiamo assistito a continui tagli in osservanza ad una spending review che sta mettendo in ginocchio le scuole anche sul versante della sicurezza, tanto che i presidi che dirigono le scuole a rischio ne minacciano la chiusura. Parallelamente, occorre adottare politiche scolastiche differenziate in base alle esigenze del territorio e alle tipologie di istituti. Ciò significa che laddove ci sono queste condizioni, ad esempio in scuole dove risulta alta la dispersione e il numero di abbandoni, la presenza di alunni stranieri o in condizioni disagiate, viceversa ridotta la presenza di agenti sociali e culturali nel territorio, occorre incrementare il numero di insegnanti e pure di personale Ata ed educativo a supporto. È evidente che in questo genere di realtà, occorre tornare alle compresenze, al fine di creare gruppi didattici per livelli.