L’intenzione è stata confermata ai sindacati oggi pomeriggio, durante un incontro interlocutorio. Il progetto di compressione dei ministeri prevede, di fatto, che rimangono in vita tre soli mega-comparti: quello della Sanità; settore della Conoscenza e della formazione, con Scuola e Università; infine, quello del Pubblico impiego, dove confluiranno gli impiegati e i collaboratori scolastici della scuola. Si tratta del primo confronto dopo la decisione della Consulta che ha reputato illegittimo il blocco dei contratti della PA. Il problema è che la parte pubblica reputa indispensabile prima attuare questo passaggio. In modo da gestire con più facilità il personale e nel contempo cercare di ridurre la rappresentatività e la democrazia sindacale. E prima di questa modifica-beffa non si parlerà di rinnovo contrattuale. Che comunque non porterà più aumenti a “pioggia”.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): se questi sono i presupposti, per i lavoratori pubblici la riforma della pubblica amministrazione si trasformerà in un calvario. Perché si troveranno al centro di un progetto finalizzato al risparmio e alla gestione sempre più privatistica del personale: accorpando i comparti, diventerà sempre più facile spostare i dipendenti soprannumerari. Come si sta tentando di fare già nella scuola con i perdenti posto delle province, che nelle intenzioni del Governo nella prossima estate assorbiranno le 6.200 assunzioni previste per il personale Ata.
È sempre più ferma l’intenzione del Governo di ridurre i comparti pubblici da 11 a 4: l’intenzione è stata confermata ai sindacati oggi pomeriggio dalla parte pubblica, nel corso dell’incontro tenuto all’Aran. Il progetto di compressione dei ministeri prevede, di fatto, che rimangono in vita tre soli mega-comparti: quello della Sanità; poi ci sarà il settore della Conoscenza e della formazione, con Scuola e Università; infine, quello del Pubblico impiego, dove confluiranno anche gli impiegati e i collaboratori scolastici della scuola. Si tratta del primo confronto dopo la decisione della Corte Costituzionale che ha reputato illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi della PA. Il problema è che la parte pubblica reputa indispensabile prima attuare la riduzione dei comparti, una modifica rilevante peraltro prevista dal Decreto Legislativo 150/09 e sino ad oggi mai affrontata.
Solo dopo questo passaggio, il Governo sarà disposto a parlare del nodo del rinnovo contrattuale, fermo da ormai sei anni. Su questo punto il Governo sarebbe disposto a mettere sul piatto una cifra ridicola, appena 300 milioni di euro, forse si arriverà a 400, ma si tratta di comunque di poco più di 10 euro a dipendente. Mentre, solo di arretrati, ai tre milioni di dipendenti pubblici vanno assegnati oltre 12 miliardi di euro: ad ognuno di loro devono infatti essere conferiti non meno di 4mila euro medi di mancata vacanza contrattuale.
E solo successivamente, quindi, si potrà parlare di merito. Che, però, sempre per l’applicazione della riforma Brunetta della PA del 2009, d’ora in poi si applicherà solo ad un dipendente su quattro: sarà la fine, in buona sostanza, degli aumenti indifferenziati, cosiddetti “a pioggia”. Con l’assurdo che nei comparti, come la scuola, dove non esiste di fatto una carriera (il 99 per cento dei docenti rimane tale per tutta la carriera scolastica), il 75% dei dipendenti rimarrà fermo alla medesima busta paga per decenni.
“È sempre più evidente – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che se questi sono i presupposti, per i lavoratori pubblici la riforma della pubblica amministrazione si trasformerà in un calvario. Perché si troveranno al centro di un progetto finalizzato al risparmio e alla gestione sempre più privatistica del personale: accorpando i comparti, diventerà sempre più facile spostare i dipendenti soprannumerari. Come si sta tentando di fare già nella scuola con i perdenti posto delle province, che nelle intenzioni del Governo nella prossima estate assorbiranno le 6.200 assunzioni previste per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario”.
“Anche sui fondi ci sarà poco da stare allegri, perché temiamo che oltre i 200 milioni di euro previsti dalla Buona Scuola, da destinare al merito, non ci siano altri finanziamenti. Il tutto, si concretizzerà anche per ridurre la rappresentatività e la democrazia sindacale, perché con i mega-comparti saranno penalizzate le sigle con meno numeri. Se le cose stanno così – conclude Pacifico – è davvero improbabile che accetteremo la proposta”.
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