È una differenza abissale, che nei prossimi anni è destinata a crescere. Perché nell’ultimo quinquennio le riforme sulla quiescenza, forti del fatto che nel Belpaese le aspettativa di vita media sono in perenne aumento, hanno portato l'età pensionabile dei nostri dipendenti avanti di dieci anni.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): sono numeri impietosi, che però a ben vedere non sorprendono. Perché sono solo la risultanza di manovre politiche che nel nostro Paese continuano a danneggiare chi lavora per una vita, costringendolo a lasciare ormai nella terza età e con assegni che per chi inizia a lavorare oggi si prospettano vicini all’assegno sociale. E la riforma della scuola non ha aiutato, perché ha lasciato fuori 180mila abilitati, che avrebbero potuto svecchiare il corpo docente.
Nessun Paese industrializzato detiene un corpo insegnanti anziano come quello dell’Italia: gli ultimi dati Ocse indicano che il 73% dei docenti della scuola secondaria superiore, il 57% della scuola primaria e il 51% di quelli universitari hanno più di 50 anni. Si tratta di un processo d’invecchiamento demografico che diventa ancora più preoccupante se raffrontato alle medie internazionali: scorrendo il dossier su scuola e università Education at a Glance 2015, pubblicato in questi giorni, si scopre che la quota media Ocse di insegnanti che hanno compiuto almeno 50 anni di età della scuola secondaria, sebbene negli ultimi otto anni esaminati sia aumentata di 3 punti percentuali, rimane comunque appena del 36%. Quindi meno della metà di quelli riscontrati in Italia.
Questi dati fanno il paio con quelli emessi di recente da Eurostat, che sottolineano come nello stesso anno, il 2013, la percentuale europea più alta di insegnanti ultra 50enni è stata riscontrata in Italia, con il 61,9%. Tutti gli altri paesi del vecchio Continente sono fortemente distanziati: Bulgaria (47,7%), Estonia (43,1%), Lituania (42,1%), Svezia (41,7%), Lettonia (41,2%) e Grecia (40,1%).
Quindi nelle scuole superiori dell’Italia 3 docenti su 4 hanno oltre 50 anni. Mentre nell’area dei paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici la media è di appena 1 ogni 3 over 50. Una differenza abissale. Nei prossimi anni, tra l’altro, la forbice è destinata ad allargarsi. Perché nell’ultimo quinquennio le riforme sulla quiescenza, forti del fatto che in Italia le aspettativa di vita media sono in perenne aumento, l'età pensionabile dei dipendenti è stata allungata di dieci anni: già nel 2018 la pensione di vecchiaia si potrà raggiungere alle soglie dei 68 anni. Dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. Mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà contare su 44 anni di contributi versati. E non dimentichiamo che già oggi per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva a mille euro al mese.
“Sono numeri impietosi - spiega Marcello Pacifico, presidente ANIEF e segretario confederale CISAL - che però a ben vedere non sorprendono. Perché sono solo la risultanza di manovre politiche che in Italia continuano a danneggiare chi lavora per una vita, costringendolo a lasciare ormai nella terza età e con assegni che per chi inizia a lavorare oggi si prospettano vicini all’assegno sociale. Andando anche a ledere il principio della parità retributiva, essendo la pensione non altro che una retribuzione differita. Mentre in Germania si continua comunque ad andare in pensione dopo 27 anni di contributi. Anche in Francia, dove l’età minima di pensionamento è stata innalza, l’entrata in pensione è comunque fissata a 62 anni.
Poi ci sono altri paesi – come Polonia e Cipro – dove l’età minima per lasciare il lavoro in cambio di una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio svolti, senza decurtazione, è fissata a 55 anni. E diversi altri, tra cui Belgio, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo (pag. 93 dell’ultimo Rapporto Eurydice della Commissione europea ‘Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa’), dove è possibile ottenere “una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio richiesti.
“E il futuro - continua il sindacalista Anief-Cisal - non promette nulla di buono, perché gli effetti della riforma Fornero, con l’innalzamento progressivo della soglia d’uscita dal lavoro, presto saranno una dura realtà. Anche la riforma della scuola, attraverso la Legge 107/15, ha prodotto poco più di una copertura del turn over. Perché rimangono nelle GaE più di 60mila docenti abilitati e, considerando anche quelli delle graduatorie d’Istituto, si arriva a 180mila abilitati all’insegnamento che avrebbero potuto ridurre l’età media di chi sta dietro la cattedra in Italia. Invece sono stati letteralmente dimenticati. Così la maglia nera dei docenti più anziani non ce la toglie più nessuna”, conclude Pacifico.
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