Secondo la parte pubblica, il nuovo accordo comporterà una forte semplificazione dell’attività negoziale con le organizzazioni sindacali: “in passato, per gli 11 comparti e le 8 aree dirigenziali, era necessario concludere 38 accordi ogni 4 anni. Oggi, gli accordi da fare scendono a 8 per un triennio contrattuale”. Per accompagnare la transizione al nuovo assetto contrattuale, i sindacati avranno un breve periodo di tempo per realizzare processi di aggregazione o fusione. Nel frattempo, si sarà anche aperta la strada ai rinnovi negoziali.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): l’accorpamento generalizza contesti lavorativi troppo diversi per essere riconducibili ad un unico macro-settore. Si confondono le specificità dei ruoli, in cambio di una gestione agevolata dell’attività negoziale i cui benefici diretti ai lavoratori sono tutti da dimostrare. L’altro aspetto che lascia a desiderare riguarda il rinnovo contrattuale. Perché si stanno creando tante aspettative, in primis da parte della Funzione Pubblica, dimenticando che sinora sono stati approvati dal Governo solo 155 milioni di euro, che porterebbero ai lavoratori la miseria di pochi spiccioli. Secondo i nostri calcoli, invece, occorrono quasi 6 miliardi di euro. Con la prossima Legge di Stabilità, ci aspettiamo un corposo investimento. In caso contrario, coprendo questa mancanza con l’aumento solo per le buste paga più basse e il merito da assegnare a pochi, ci ritroveremmo con un nuovo contratto non in grado di coprire nemmeno il salario minimo per adeguare le buste paga all’inflazione, come certificato nei giorni scorsi dalla Corte dei Conti.
Ieri, i sindacati hanno sottoscritto con l’Aran l’accordo quadro nazionale definitivo che ridefinisce i nuovi comparti e le nuove aree di contrattazione del pubblico impiego. L’accordo prevede che si passi da undici a quattro comparti: “Funzioni centrali” (247mila occupati), a cui faranno capo ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici e altri enti; “Funzioni locali” (457mila lavoratori), che raggruppa sostanzialmente l’attuale settore delle Regioni-autonomie locali; “Sanità” (531mila dipendenti), che conferma anche in questo caso lo stato attuale; il quarto comparto è quello relativo a “Istruzione e ricerca”, che comprende oltre 1,1 milioni di lavoratori e nel quale, oltre a Scuola e Università, confluiscono la ricerca e l’Afam.
L’intesa va a rideterminare pure le aree dirigenziali, vale a dire gli ambiti sui quali saranno negoziati gli specifici accordi riguardanti la dirigenza della pubblica amministrazione: comprenderà circa 156.600 dirigenti, di cui 7.700 afferenti ad “Istruzione e ricerca”. L’area dei dirigenti più grande sarà quella sanitaria, dove operano 126.800 dipendenti. Secondo l’Aran, il nuovo accordo comporterà una notevole semplificazione dell’attività negoziale con le organizzazioni sindacali: “in passato, per gli 11 comparti e le 8 aree dirigenziali, era necessario concludere 38 accordi ogni 4 anni. Oggi gli accordi da fare scendono a 8 per un triennio contrattuale”. Per accompagnare la transizione al nuovo assetto contrattuale, i sindacati avranno un breve periodo di tempo per realizzare processi di aggregazione o fusione. Nel frattempo, si sarà anche aperta la strada ai rinnovi negoziali.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, sono due le considerazioni da fare sull’accordo dei comparti e su quello che si andrà a definire nei prossimi mesi sul fronte contrattuale-stipendiale. “Innanzitutto – spiega il sindacalista – la riduzione dei comparti, definita ieri, svilisce le professionalità dei dipendenti pubblici, perché l’accorpamento generalizza contesti lavorativi troppo diversi per essere riconducibili ad un unico macro-settore. Si confondono le specificità dei ruoli, in cambio di una gestione agevolata dell’attività negoziale i cui benefici diretti ai lavoratori sono tutti da dimostrare”.
“L’altro aspetto che lascia molto a desiderare – continua Pacifico – è quello riguardante il prossimo rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. Perché si stanno creando tante aspettative, in primis da parte della Funzione Pubblica, dimenticando che sinora sono stati messi sul piatto dal Governo solo 155 milioni di euro netti, che porterebbero la miseria di pochi spiccioli ai lavoratori. Secondo i nostri calcoli, invece, occorrono quasi 6 miliardi di euro, derivanti da un adeguamento di 1.800 euro in media a lavoratore, da assegnare per via della mancata applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale, da applicare per legge da settembre scorso. Questo, non lo dice solo il sindacato ma anche la Consulta che un anno fa ha reputato illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi della PA”.
“Non dimentichiamo – dice ancora il sindacalista Anief-Cisal - che negli ultimi 10 anni, il costo della vita ha superato del 20 per cento gli stipendi. L’altro 10 per cento mancante dovrebbe arrivare con gli aumenti in busta paga conseguenti al rinnovo. È evidente che l’impegno finanziario dell’Esecutivo in carica non può essere quello ridicolo assegnato con la Legge di Stabilità approvata a dicembre 2015. Con la prossima ex legge Finanziaria, pertanto, ci aspettiamo un corposo investimento, pari a diversi miliardi di euro. Al netto delle riforme della PA e della Buona Scuola. In caso contrario, ci ritroveremmo con un nuovo contratto inadeguato, non in grado di coprire nemmeno il salario minimo per adeguare le buste paga all’inflazione, come certificato nei giorni scorsi dalla Corte dei Conti”.
“Non possiamo accettare, quindi, alcun modello di rinnovo che esclude una parte consistente dei dipendenti dello Stato, per far beneficiare degli incrementi contrattuali solo a due categorie di lavoratori statali: quelli che percepiscono uno stipendio ridotto e i più meritevoli. In virtù del Decreto Legislativo 150/09, la riforma Brunetta della PA. È un pessimo modello di gestione, che nella scuola è già stato adottato, attraverso l’istituzione del fondo sul merito, quale salario accessorio, attribuito dal dirigente scolastico al personale su criteri definiti dal nucleo di valutazione (comma 126 e a seguire della Legge 107/2015). Agire in questo modo su docenti e Ata,il comparto più penalizzato della PA,che percepiscono in media meno di 1.500 euro di stipendio, è stato iniquio e ingiusto. Per questo, abbiamo fatto ricorso. Se ciò avverrà su scala nazionale – conclude Pacifico - siamo già pronti a dare vita ad una dura battaglia, ricorrendo al giudice del lavoro e delle leggi”.
L’ufficio studi del sindacato ricorda che gli stipendi dei lavoratori statali hanno raggiunto il punto più basso mai registrato in 34 anni di serie storiche, dal 1982. Anche l’indennità di vacanza contrattuale è stata congelata. E rimarrà tale almeno sino al 2018 e forse anche fino al 2021, come del resto già indicato con il DEF 2016. Il Governo, a fronte di questo stallo totale, sino ad oggi non ha saputo fare di meglio che mettere sul “piatto” un modesto trancio di pizza in più al mese. Peraltro, senza sanare i mancati adeguamenti degli anni passati. Va detto, inoltre, che sul rapporto stipendi-inflazione vi è una recente sentenza della Consulta (sulle pensioni quali retribuzioni differite), che ne impone la perequazione automatica al di là della firma del contratto.
Per approfondimenti:
Contratto, meglio tardi che mai: i sindacati maggiori si svegliano e chiedono 220 euro di aumento
Pa: firma accordo 4 comparti(Ansa, 5 aprile 2016)
Aumento stipendi ai minimi dal 1982 (Ansa, 27 maggio 2016)
P.a: Madia, mai detto soglia 26mila euro per aumenti salario (Ansa, 13 giugno 2016)
In arrivo aumenti solo per chi guadagna meno, la smentita del ministro Madia non convince
Pa, intesa sui comparti: da 11 a 4 (Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2016)