Disco verde per il decreto che sblocca 2,5 miliardi di euro: manca solo il via libera della Corte dei conti. Una volta stanziate le risorse, potrà mettersi in moto l’iter che porterà all’inizio della contrattazione; verrà inviata una direttiva all’Aran per riavviarla, i decreti dovrebbero essere approvati entro fine maggio. Per il sindacato, accettare queste condizioni sarebbe un vero tradimento dei lavoratori. Perché secondo la normativa vigente e la sentenza della Consulta, in attesa della firma del contratto, dal settembre 2015 lo Stato avrebbe dovuto versare a ogni dipendente pubblico 105 euro di aumento medio, riconducibile a una busta paga mensile di 1.500. Ossia, il 7 per cento del proprio stipendio, salvo recuperare l’altro 50 per cento alla firma del contratto. Ecco le ragioni per cui è stato deciso di chiedere ai lavoratori della scuola e della P.A. di inviare la diffida e di attendere il responso da parte della Corte Costituzionale.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): alla luce delle cifre risibili in arrivo, con gli 85 euro lordi che rappresentano anche una media lorda e non la cifra certa che ogni dipendente pubblico andrà a percepire, lo stipendio non andrà a coprire nemmeno il gap rispetto all’inflazione venutasi a creare in questo periodo per il mancato adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale. Se non si firma, il lavoratore avrebbe già comunque garantiti 22 euro in più in busta paga. Un accordo, tenendo conto di questa situazione, si potrebbe chiudere dunque solo garantendo 103 euro in più. Esattamente come è avvenuto nel settore privato.
Non è una buona notizia quella delle firme apposte dal Ministro per la PA Marianna Madia, dal Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e dal Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, sul decreto che sblocca 2,5 miliardi di euro per garantire agli statali l’aumento di 85 euro mensili dopo sette anni di blocco contrattuale. Il Dpcm – spiega oggi Orizzonte Scuola - è pressoché pronto, manca solamente il via libera della Corte dei conti. Il ministro Madia ha anticipato le cifre destinate ai rinnovi contrattuali: ‘per il 2016 300milioni, per il 2017 900milioni (600+300) e per il 2018 1,2 miliardi (900+300 milioni). In tutto ci vorranno 2,5 miliardi di euro per garantire aumenti medi mensili di 85 euro’, come è stato stabilito con l’intesa politica per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici della fine di novembre 2016. Una volta stanziate le risorse, potrà mettersi in moto l’iter che porterà all’inizio della contrattazione; verrà inviata una direttiva all’Aran per riavviarla, i decreti dovrebbero essere approvati in via definitiva entro fine maggio.
All’accordo generale, quindi, seguiranno quelli di settore. A questo proposito, Anief-Cisal chiede ai sindacati della Pubblica Amministrazione, a iniziare dalla scuola, di non sottoscrivere alcun accordo di categoria. In caso contrario, si tratterebbe di un vero tradimento dei lavoratori. Il perché è presto detto: secondo la normativa vigente e la sentenza della Consulta dell’estate 2015, infatti, in attesa della firma del contratto, dal mese di settembre 2015 lo Stato avrebbe dovuto versare a ogni dipendente pubblico 105 euro di aumento medio, riconducibile a una busta paga mensile di 1.500. Ossia, il 7 per cento del proprio stipendio, salvo recuperare l’altro 50 per cento alla firma del contratto.
Alla luce delle cifre risibili in arrivo, con gli 85 euro lordi che rappresentano anche una media lorda e non la cifra certa che ogni dipendente pubblico andrà a percepire, lo stipendio non andrà nemmeno a coprire il gap rispetto all’inflazione venutosi a creare in questo periodo per il mancato adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale. Pertanto, se non si firma, come auspica l’Anief, il lavoratore avrebbe già comunque garantiti 22 euro in più in busta paga. Un accordo, in base a questa situazione, si potrebbe chiudere dunque solo garantendo 103 euro in più. Esattamente come è avvenuto nel settore privato.
“Il resto è vuoto a perdere – dice con amarezza Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – perché è ormai sempre più chiaro che lo stipendio rimarrà sostanzialmente fermo fino al 2021. Anief sta depositando i ricorsi per recuperare come aumento da settembre 2015 la metà del costo dell'inflazione prevista per legge (13,5%) e certificata dalla Ragioneria dello Stato e per garantire la progressione di carriera a tutti fin dal terzo anno di servizio nel rispetto del principio della parità retributiva e della giurisprudenza comunitaria. È importante per i neo-assunti inviare entro il prossimo mese di agosto la diffida per interrompere la prescrizione quinquennale per l'impugnazione dei decreti di ricostruzione di carriera emessi nel 2012”.
Anche l’ultimo Documento di Economia e Finanzaprevede una moderata crescita delle retribuzioni per l’anno 2016 (1,4 per cento) e una riduzione delle medesime per gli anni 2017 e 2018 (rispettivamente -0,8 e -0,2 per cento), per poi stabilizzarsi nel 2019, con l’indennità di vacanza contrattuale tutta da valutare. Solo che venire meno al suo pagamento, come è stato fatto negli ultimi sei anni, significa non applicare la normativa vigente in materia di tutela retributiva del pubblico impiego, a partire dall’articolo 2, comma 35, della Legge n. 203/08, dalla legge finanziaria 2009 e anche dalle disposizioni previste dal Decreto Legislativo 150/09 voluto dall’ex ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta.
Nel frattempo, se non ci si muove, lo stipendio si assottiglia sempre più. Come è accaduto ai dipendenti della scuola, la cui retribuzione tra il 2014 e il 2015 ha addirittura fatto registrare un calo di 800 euro. Ecco le ragioni per cui Anief ha deciso di chiedere ai lavoratori della scuola e della P.A. di inviare la diffida e di attendere il responso da parte della Corte Costituzionale.
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