Dopo la proclamazione dello sciopero Anief del 12 novembre per modificare il decreto salva-precari e gli stanziamenti per il rinnovo del contratto di comparto, giungono le prime aperture del governo: per gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici verrà stanziato circa un miliardo di euro, che sommato a 1,7 miliardi della Legge di Bilancio dell’anno scorso, si tradurrà in 40 euro netti medi a dipendente pubblico che andrà a regime pure in un biennio.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “va bene reperire ulteriori risorse ma siamo ancora lontani dal coprire anche il solo tasso d’inflazione prodotto negli ultimi anni. Ci vuole una quota d’incremento stipendiale almeno tre volte maggiore e poi l'impegno a recuperare il gap, entro un triennio, rispetto alla media stipendiale dei colleghi europei. Rimangono tutti in piedi, pertanto, i motivi della protesta di novembre, proprio nei giorni in cui si discuterà la Legge di Bilancio: un’esigenza che anche l'Unesco ci ha ricordato, sostenendo che la valorizzazione degli insegnanti è prioritaria”
Per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, il Governo è pronto a inserire nella manovra di fine anno uno stanziamento che si ferma ad un miliardo di euro. La cifra verrebbe anche divisa in due tranche, con una parte per il 2020 e un’altra per il 2021: si tratta di risorse che vanno a sommarsi ai 1,775 miliardi di euro già stanziati dal precedente esecutivo. A scriverlo è Il Messaggero, che ha anche quantificato i fondi per il rinnovo del contratto 2019-2021 da assegnare ai dipendenti statali: “potrebbe contare complessivamente su 2,7 miliardi di euro circa”.
QUANTI SOLDI IN ARRIVO
La cifra complessiva, stima il quotidiano romano, “si tradurrebbe, secondo le prime simulazioni, in un aumento medio di 80 euro lordi mensili per ognuno dei circa 3 milioni di dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. A ufficializzarlo ai sindacati sarà “nello stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare la manovra di bilancio e il decreto fiscale che la accompagna, il ministro della Funzione pubblica Fabiana Dadone”.
Il problema è che stiamo parlando di somme lontanissime da quelle attese. E anche da quella annunciate dai componenti dell’attuale governo, che continuano a parlare, per rimanere agli insegnanti, di stipendi da adeguare alla media europea, avanti di circa il 30%. Per quantificare la modestia della somma investita dall’attuale esecutivo politico, è tutto dire che il precedente contratto, quello della tornata 2016-2018, concluso quando al governo c’era Matteo Renzi, aveva consentito un aumento superiore: 85 euro lordi mensili. Un incremento del 3,48%. Mentre i rinnovi dei contratti dei lavoratori privati che si stanno chiudendo in questi mesi, fa notare sempre Il Messaggero, “hanno ottenuto somme decisamente più alte, circa 150 euro lordi mensili. Non solo. Il semplice riconoscimento di un adeguamento totale all’andamento del tasso di inflazione, anche considerando i dieci anni di blocco prima dell’ultimo rinnovo, comporterebbe un aumento di almeno 120 euro lordi mensili”.
LA POSIZIONE DELL’ANIEF
Anief non può reputarsi soddisfatta di questi numeri. I lavoratori della scuola prendono gli stipendi più bassi di tutto il comparto pubblico, come ha detto anche l’ultimo rapporto Eurydice: lo ha messo in evidenza pure lo studio “Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe 2017/18”, presentato qualche giorno fa, che ha messo a confronto i compensi dei docenti delle scuole pubbliche pre-primarie, primarie e secondarie di 42 Paesi europei, focalizzandosi sulle principali variazioni degli stipendi tabellari negli ultimi tre anni. Dallo studio è emerso che l’importo degli stipendi medi lordi dei nostri insegnanti è di appena 28.147,00 euro: una cifra su cui pesano molto gli oltre mille euro di potere d’acquisto perso solo negli ultimi sette anni e che colloca gli insegnanti agli ultimi posti Ue rispetto ai colleghi dei Paesi avanzati. Con l’aggravante che i docenti d’oltre confine lavorano in media anche meno ore.
Il giovane sindacato sa bene i motivi che stanno alla base del gap retributivo che ha condotto al disallineamento degli stipendi dall'inflazione, misurabile in dieci punti percentuali dell'attuale stipendio rispetto al blocco decennale del contratto e ai già deludenti aumenti del 3,48% dell'ultimo rinnovo 2016/2018: si va dall'invalidità finanziaria nelle assunzioni per via dell'abolizione del primo gradone stipendiale voluto dal CCNL del 4 agosto 2011 e coperto dalla Legge 128/12, alla disparità di trattamento negli scatti stipendiali tra personale a tempo determinato e indeterminato, contraria al diritto dell'Unione Europea, come certificato dalla Cassazione; dal mancato adeguamento dell'organico di fatto a quello di diritto, che continua ad essere attuato dallo Stato per contenere la spesa nell'erogazione del servizio scolastico e che nel sostegno dal 2013 è stato addirittura legalizzato.
IL PIETOSO CONFRONTO CON L’EUROPA
È lunga la lista di Paesi europei dove per fare l’insegnante si guadagna molto di più che in Italia: la Danimarca con 60.444,00 euro lordi; la Germania con 55.926,00 euro; l’Austria con 48.974,00 euro; i Paesi Bassi con 47.870,00 euro; il Belgio con 44.423,00 euro; la Finlandia con 44.269,00 euro; la Svezia con 40.937,00 euro; il Regno Unito con 37.195,00 euro; la Francia con 33.657,00 euro.
A rendere ancora più amaro il confronto è il confronto sugli aumenti degli ultimi quattro anni riguardante Paesi non certo più avanti dell’Italia, dove gli incrementi sono stati superiori al 5%: basta dire che stiamo parlando anche della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Repubblica Ceca, dalla Romania e della Slovacchia. Anche sulla progressioni di carriera non ci siamo: in Svizzera, ad esempio, l’obiettivo del compenso massimo (il 50% in più di quello iniziale) si raggiunge dopo soli 25 anni di carriera, mentre nella vicina Francia l’incremento massimo è del 70% dello stipendio iniziale e si raggiunge dopo 30 anni di servizio. Invece in Italia l’apice dello stipendio scatta solo dal 35esimo anno in poi.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF
“Lo scarso impegno del Governo per incrementare gli stipendi pubblici – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è già contenuta nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanze 2019, approvata dal Consiglio dei ministri qualche giorno fa ed inviata al Parlamento in vista dell’elaborazione della Legge di Bilancio, con la spesa per redditi fino al 2022 aumentata in media appena dello 0,6% e l’incidenza sul Pil addirittura in calo, dal 9,7% del 2019 al 9,2% del PIL nel 2022, confermando sostanzialmente le proiezioni del Def. Una tendenza negativa che andrà di pari passo con quella dell’intero comparto della scuola, per il quale fino al 2040 la spesa complessiva sarà in continuo calo”.
“La verità – conclude Pacifico – è che il vago accordo di Palazzo Chigi del 24 aprile scorso, che aveva fatto brindare i sindacati perché si parlava di imminenti aumenti a tre cifre, su cui c’era un impegno preciso anche dell’attuale governo, non è stato rispettato. Gli 8 punti di ritardo stipendiale rispetto all’inflazione, accumulati tra il 2007 e il 2015, non saranno del tutto cancellati. Con l’aggravante che i lavoratori di ruolo della scuola continuano pure ad avere la carriera ‘raffreddata’, per la mancata intera valutazione dei periodi di precariato. E i precari a non vedersi riconoscere alcuno scatto stipendiale, a dispetto di quello che dicono i tribunali”.
Anief continua ad invitare i dipendenti pubblici a presentare ricorso al giudice del lavoro, al fine di adeguare l'indice al tasso IPCA reale e non aggiornato dal settembre 2015.
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