Molti Paesi europei, ad iniziare dal nostro, non sembrano pronti ad accogliere nel giusto modo a ad organizzare un’adeguata formazione rivolta agli studenti migranti che provengono da fuori territorio: è la conclusione cui sono giunti gli autori del nuovo Quaderno di Eurydice Integrating Students from Migrant Backgrounds into Schools in Europe: National Policies and Measures, con il quale sono state comparate le politiche educative di 42 Paesi europei a proposito della loro integrazione nelle scuole. Lo studio ha anche evidenziato la mancata formazione degli insegnanti per lavorare in classi culturalmente diverse per affrontare questa necessità.
Secondo Marcello Pacifico, leader dell’Anief, si fa sempre più impellente la necessità di adottare organici potenziati e una didattica diversificata nelle classi dove sono presenti allievi migranti: servono lezioni per livelli, oltre docenti impegnati in contemporanea, assorbendo nei ruoli tutto il precariato storico, fatto di personale già selezionato e con comprovate capacità d’insegnamento, ed introdurre anche nuove figure di tutoraggio, mirate a supportare la fase di scolarizzazione, allineamento e apprendimento della nostra lingua. Tutte decisioni che difficilmente si potranno prendere se dovesse essere confermata la tendenza, contenuta nel Def, alle riduzioni progressive di spesa pubblica fino al 2040.
Dalla ricerca – che ha attuato anche un’analisi comparativa su argomenti come la governance, l’accesso all’istruzione, il sostegno psico-sociale, linguistico, e all’apprendimento, gli insegnanti e i capi di istituto -, emerge che, nonostante la maggior parte dei sistemi educativi europei offra accesso all’istruzione e alla formazione agli alunni con background migratorio e nonostante l’educazione interculturale risulti spesso integrata nei curricoli nazionali, “le politiche e le misure per il supporto all’apprendimento tendono a essere incentrate sugli aspetti accademici anziché sulle esigenze sociali ed emotive degli studenti”.
Lo studio comparativo
Gli autori dello studio hanno anche evidenziato la “mancanza di preparazione degli insegnanti a lavorare in classi culturalmente diverse a causa dell’assenza di una formazione specifica su questi temi; il fatto che gli studenti migranti, la cui lingua d’origine è diversa dalla lingua d’insegnamento, non abbiano il diritto di studiare la propria lingua d’origine a scuola, e la mancanza di sostegno agli insegnanti e ai capi d’istituto per far fronte ai bisogni di questi alunni, ad esempio attraverso la presenza a scuola di assistenti e mediatori culturali per facilitarne l’integrazione, cosa che avviene in alcuni Paesi”. Servirebbero anche nella nostra Penisola, quindi, delle figure utilianche, si legge nel rapporto, “per valutare i progressi e il rendimento degli studenti migratori”.
Tra i Paesi che hanno messo in campo buone strategie per l’integrazione degli studenti migranti nell’istruzione, il rapporto indica la Germania e l’Austria per la forte enfasi sulla diversità, la Spagna (Comunità autonoma di Catalogna), il Portogallo e la Slovenia come Paesi che sono riusciti a seguire un approccio all’insegnamento e all’apprendimento che tiene conto del benessere generale dell’alunno, e la Finlandia e la Svezia perché sono i Paesi che riservano la maggiore attenzione sia alla dimensione della diversità, sia alla dimensione del benessere generale.
L’Italia non fa abbastanza
Tra questi, non figura l’Italia, dove comunque si predilige “l’importanza dell’istruzione e del supporto tra pari, in particolare con l’aiuto degli alunni di seconda generazione che fungono da guide o da tutor per gli studenti migranti neoarrivati. Sono fortemente incoraggiate anche le attività extracurricolari come mezzo per sostenere l’apprendimento e l’integrazione sociale degli alunni migranti, anche attraverso il coinvolgimento delle loro famiglie”. Quello che nel nostro Paese non si coglie a pieno è però la piena valenza dell’educazione interculturale, intesa anche “come mezzo per promuovere la comprensione tra popoli e culture diversi”, contribuendo “a garantire un’ambiente di apprendimento positivo e il rispetto delle diversità tra gli studenti”.
Il parere del presidente Anief
La mancanza di assistenti e mediatori culturali, indicati come indispensabili per avviare un processo di positiva integrazione degli studenti migranti nell’istruzione, è solo l’ennesima figura professionale che la scuola italiana si ostina a non riconoscere. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, la mancata possibilità di affrontare il problema, la dice lunga sulla sensibilità che abbiamo verso questo genere di integrazione e di formazione. Da tempo, il nostro sindacato chiede di potenziare gli organici nei territori dove abbondano dispersione e ritardi negli apprendimenti. Se ci fosse la volontà, basterebbe riaprire annualmente le GaE al personale abilitato, prevedendo l’assorbimento anche per gli educatori, gli ITP, i diplomati magistrali, e procedere alla trasformazione delle graduatorie d’istituto in provinciali, le stesse che vengono da anni utilizzate per coprire i vuoti crescenti in organico. Nel contempo, appare necessario assumere da graduatorie di merito, regionali e d’istituto, come immettere in ruolo Ata, educatori ed assistenti alla comunicazione, lsu. Oltre che – conclude Pacifico – delle figure professionali adatte ad affrontare il fenomeno delle migrazioni, le quali, vogliamo o meno, sono di certo destinate a crescere nel tempo”.
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