Sull’operato dei docenti e dei dipendenti pubblici si continuano a sferrare giudizi gratuiti da parte di opinionisti, intellettuali e studiosi. Tutti senza dubbio esperti dei loro ambiti, ma davvero poco ferrati sull’operato della macchina amministrativa pubblica e sulla formazione scolastica. Come Pietro Ichino, che si è lasciato andare in un improbabile confronto con i molto più penalizzati lavoratori del settore privato. Oppure come il vicedirettore de “Il Giornale”, Francesco Maria del Vigo, il quale ha rimarcato che “l’amministrazione pubblica non ha la pressione del mercato, non deve pagare bollette, fornitori, non ha i clienti fuori; tutto ciò le consente di fare quel che vuole”. Di tutt’altro avviso si è detta l’ex senatrice Valeria Fedeli, per la quale i cosiddetti fannulloni nella pubblica amministrazione, anche tra gli insegnanti, “costituiscono una minoranza risicata” e dunque “non è ammissibile sostenere che i sindacati” li coprano.
Marcello Pacifico (Anief): “È del tutto fuori luogo e superficiale etichettare un dipendente sulla base del suo datore di lavoro, senza saggiare le sue capacità e l’impegno profuso. Siamo stufi di questi luoghi comuni, di un qualunquismo di bassa lega che ha come unico obiettivo la denigrazione del lavoratore statale. È inaccettabile l’assioma: chi opera nel pubblico è fortunato e con alta probabilità inefficiente. La dimostrazione è arrivata proprio in questi ultimi difficili mesi di lockdown e di didattica a distanza, quando il 99,9 per cento del corpo insegnante italiano ha mostrato vitalità, attaccamento al lavoro e agli alunni, oltre che un alto senso del dovere come nessuna altra categoria professionale. Ha fatto bene l’ex ministra Valeria Fedeli a replicare agli interventi posti da chi crede ancora ideologicamente nella favola del posto ‘fisso’ e della nullafacenza di chi opera nel comparto pubblico. Invece di puntare il dito contro la macchina amministrativa e burocratica non in grado di supportare, anche economicamente, un fetta importante di lavoratori - conclude Pacifico - certi benpensanti se la prendono con quei dipendenti che grazie ai contratti, e alle tutele che ne derivano, hanno salvaguardato i loro diritti senza venire meno ai loro doveri”.
Continuano le sferzate contro chi opera professionalmente alle dipendenze dello Stato: oramai sembra di assistere a una sorta di caccia al dipendente pubblico.
ICHINO: DISPARITÀ DI TRATTAMENTO
Nelle ultime ore, il giurista e giornalista Pietro Ichino ha dichiarato che negli ultimi mesi, contrassegnati dell’emergenza coronavirus e da molte attività lavorative condotte da casa, esistono “ampie zone della pubblica amministrazione” che non avrebbero “funzionato ma il costo fisso è rimasto invariato, con nessuna riduzione dello stipendio, per fortuna dei lavoratori pubblici. Non altrettanto si può dire riguardo al settore privato, il più coinvolto in maniera negativa dall’emergenza sanitaria”.
Secondo Ichino “è evidente che ci sono state delle disparità di trattamento: nel settore privato, se il lavoratore rimane a casa, c’è un regime di integrazione salariale all’80% con un tetto massimo di 1.200 euro al mese; perché nel pubblico non viene attivato tutto ciò? Pochi o nulli i controlli sul personale che ha lavorato meno di prima così come quasi assente la premialità per coloro che invece hanno faticato più durante il periodo Covid-19”.
SMART WORKING E “IMBOSCAMENTO” DAL LAVORO?
La discussione continua, animandosi, sui possibili rischi che potrebbero concretizzarsi per i dipendenti del settore privato: licenziamenti, pochi soldi e in ritardo della cassa integrazione; per gli altri invece, nessun danno economico e stipendio regolarmente percepito tutte le mensilità. A sostegno di quanto appena detto, scrive Orizzonte Scuola, c’è anche il vicedirettore de “Il Giornale”, Francesco Maria del Vigo: “l’amministrazione pubblica non ha la pressione del mercato, non deve pagare bollette, fornitori, non ha i clienti fuori; tutto ciò le consente di fare quel che vuole; questo costituisce un insulto alle partite Iva, imprenditori etc. Lo smart working ha concesso in alcuni casi un “imboscamento” dal lavoro. Che tutti i dipendenti pubblici siano eroi è una fake news”.
FEDELI: I DOCENTI HANNO LAVORATO DURAMENTE
A difendere la categoria degli statali, in particolare gli insegnanti, è stata l’ex ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, del Partito Democratico, che ha fornito “un dato di conoscenza: nei tre milioni e oltre dipendenti pubblici è compreso quasi un milione di docenti che ha lavorato duramente, garantito il diritto all’istruzione pur nelle difficili condizioni della Didattica a distanza. È certamente improprio mettere sullo stesso piano il settore pubblico e quello privato nel quale, ci piaccia o meno, il Mercato ha un’importanza centrale”. Fedeli ha ricordato che durante il lockdown “non tutti avevano gli strumenti e le competenze per svolgere lo smart working o la DAD. Il gap digitale è emerso alla luce”.
La senatrice Fedeli è poi intervenuta sull’annosa questione della presenza dei cosiddetti fannulloni nella pubblica amministrazione e di conseguenza nel settore dell’insegnamento: “C’erano prima e ci saranno dopo. Costituiscono una minoranza risicata; non è ammissibile sostenere che i sindacati coprano i fannulloni; tale affermazione è assurda. Ho un passato da sindacalista e posso dire con fermezza che non ho mai difeso un lavoratore assenteista, perché oltre ad essere moralmente ripugnante, costituisce un danno per tutti gli altri colleghi”.
Dopo aver detto che “riguardo le scuole, così come gli uffici pubblici, bisognava programmare una loro riapertura molto prima, sulla scia di paesi come la Francia e la Germania”, l’ex ministra Fedeli ha dichiarato che “è urgente la questione delle Linee guida per la riapertura in sicurezza di tutte le istituzioni scolastiche, le quali presentano una complessità organizzativa superiore rispetto agli altri uffici pubblici in generale”.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE
“Prima di arrivare a certe conclusioni affrettate – sostiene il sindacalista Marcello Pacifico, a capo dell’Anief –, invitiamo pubblicamente certi studiosi e intellettuali a trascorrere una giornata tipo con un insegnante: scoprirà che il docente non ha orari, svolge perennemente attività di preparazione delle lezioni e di verifica, porta avanti una mole enorme di lavoro sommerso, partecipa periodicamente a riunioni. In generale, si assume responsabilità, anche penali, al pari del personale Ata, che nessun altro dipendente si sogna di portare avanti. Nemmeno quelli, per rimanere al confronto inopportuno, che operano nel settore privato”.
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