I numeri fanno diventare ancora più evidente l’invecchiamento progressivo del corpo insegnante italiano, passato in soli 10 anni da un’età media di 49,1 anni a 52,5 anni: dal Rapporto Inapp 2021 diffuso in queste ore emerge che nella scuola nell’ultimo decennio il personale over 60 è più che raddoppiato e, malgrado le assunzioni, il “peso” di questa fascia di età sul totale dei docenti, Ata e dirigenti scolastici di ruolo – in tutto 640mila lavoratori - è passato dal 9 al 22%. Secondo lo studio nazionale, un altro 22% di lavoratori della scuola appartiene alla classe 55-59 anni. Anche l’età media dei precari, per via delle assunzioni ridotte al lumicino, è ormai sopra i 50 anni. Senza una riforma seria del reclutamento si sta andando verso una precarizzazione ulteriore del personale: nel prossimo quinquennio, infatti, andranno in pensione quasi 300mila docenti, Ata e presidi.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “questi dati confermano la necessità estrema di mettere mano al reclutamento scolastico, introducendo delle modalità di assunzioni che non facciano più invecchiare il personale da precario e prevedano stabilizzazioni automatiche dopo 24-36 mesi di servizio, così come avviene nell’Unione europea senza ricorrere al giudice. L’occasione per farlo è quella di utilizzare le modifiche previste dai meccanismi di reclutamento nel pubblico impiego della riforma Brunetta e di applicare finalmente quanto chiede l’UE da almeno 20 anni per stroncare l’abuso di precariato, che ha portato all’l’indecenza degli attuali 240mila posti vacanti, tanto da meritarci un’istruttoria di Bruxelles con forte pericolo di pagamento di multe salatissime in arrivo. Diventa nel contempo fondamentale allargare l’Ape sociale a tutte le categorie scolastiche, non fermandosi alla fascia fino a 6 anni come avviene oggi, oltre che estendere la “tutela ai lavoratoti fragili”. Il tempo dell’attesa è scaduto, ora servono fatti”.
I dipendenti della scuola sono sempre più avanti negli anni. Dall’ultima ricerca nazionale sui lavoratori pubblica risulta che nella Scuola la situazione sta diventando pesante. L’unico e ultimo tentativo di svecchiamento c’è stato sei anni fa e non ha portato alcun beneficio: le assunzioni hanno toccato il picco nel 2015, in corrispondenza della risposta che con la Legge 107, la cosiddetta Buona Scuola, l’Italia ha voluto dare alle pressioni dell’Unione europea in fatto di mancata stabilizzazione del precariato storico e sulla reiterazione dei contratti a termine. Negli anni successivi, le immissioni in ruolo si sono progressivamente attenuate, soprattutto per la mancata possibilità di reclutare i supplenti da tutte le graduatorie, e i livelli di reclutamento sono diventati così deboli che ora rischiano di essere insufficienti per compensare nei prossimi anni le imminenti uscite. Tanto è vero che anche i dati anagrafici del personale a tempo determinato hanno subito un innalzamento importante: “l’età media dei precari è aumentata di 9 anni in un decennio”, si legge nel rapporto, collocandosi anche questi ormai sopra i 50 anni, con l’apice toccato dagli Ata precari che hanno in media 53,7 anni di età.
A questo proposito va infatti ricordato che, proprio per effetto dell’altissima percentuale di dipendenti di ruolo over 60, si calcola che nei prossimi 5 anni saranno 280mila insegnanti che per anzianità usciranno dal circuito scolastico per andare in pensione. Di queste, moltissime sono donne, considerando che costituiscono oltre l’80% dei dipendenti della scuola e sono le più colpite dagli effetti nefasti della riforma pensionistica Monti-Fornero: nell’ultimo decennio le donne tra i 60 e i 64 anni sono passate da 44mila a 91 mila; le over 65 si sono addirittura più che triplicate, passando da 5.100 a 16.600.
SEMPRE MENO GIOVANI
Sempre dal Rapporto Inapp 2021 risulta sempre più modesta la quantità di personale di ruolo della scuola con meno di 50 anni: se nel 2008 rappresentava un docente, Ata e preside su tre, oggi si conta un under 50 ogni sei. Si è infatti passati, in soli 13 anni, dal 36% di dipendenti con meno di 50 anni all’attuale misero 16%. Ne consegue che l’84% di chi opera a scuola è over 50. È rilevante ricordare che gli ultimi consistenti flussi in ingresso di personale più giovane risalgono al 2011 e si azzerano nel 2012 e nel 2015. “Considerando la numerosità delle coorti anziane, sembra molto difficile poter sostituire a breve il personale in uscita se non aumenteranno i flussi in entrata”, è la logica conclusione dei ricercatori Inapp.
ALLARME ANCHE PER GLI ATA
Non va meglio tra gli amministrativi, tecnici, collaboratori scolastici e Dsga: su 181mila lavoratori attuali, il 28% ha infatti oltre 60 anni di età (nel 2008 erano appena il 13%). Se si guarda poi ai dipendenti over 55 non facenti parte della categoria insegnanti il dato statistico diventa ancora più pesante e difficile da accettare: ben il 60% degli Ata rientra in questa fascia anagrafica, mentre dieci anni prima erano quasi la metà, appena il 37%.
TUTTI I MINISTERI
Complessivamente, considerando anche gli altri comparti dello Stato, alla riduzione di personale ha fatto da contrappunto il suo crescente invecchiamento, che ha oggi raggiunto un’età media dei dipendenti di 50,7 anni: era di soli 44 anni nel 2003 e del 46,9% nel 2008. Inoltre, la quota di under 30 si è assottigliata sempre più, arrivando oggi a costituire appena il 3% del totale dei dipendenti, sei volte in meno degli over 60 (18%). Dallo studio, infine, si evidenzia la riduzione importante di personale alle dipendenze della Pubblica amministrazione: negli ultimi venti anni abbiamo assistito alla riduzione progressiva e costante del numero di dipendenti pubblici, passati circa 350mila unità, pari al 10% dell’organico. Ben 212mila posti come lavoratori pubblici sono stati cancellati nell’ultimo decennio.
COSA CHIEDONO I SINDACATI
I sindacati reputano questi dati davvero allarmanti e tornano a chiedere forme di pensionamento a partire dai 62 anni, senza penalizzazioni sull’assegno di quiescenza, andando a costituire un modello analogo a Quota 100, orami all’ultimo anno di vita, al fine di evitare il ritorno alla Legge Fornero, per andare ad introdurre tale flessibilità a partire dal mese di gennaio 2022.
Il problema, ricorda Anief, è che nell’ultima bozza del Documento di economia e finanza non c’è traccia di questo: viene solo riportato che “in ambito previdenziale e assistenziale si estende la possibilità di optare per il regime sperimentale per il pensionamento anticipato delle donne (cosiddetta “opzione donna”) alle lavoratrici che maturano i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2020 (1,2 miliardi nel periodo 2021-2024) e si proroga a tutto il 2021 la sperimentazione della cosiddetta Ape sociale, consistente in una indennità, corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni (circa 0,6 miliardi nel periodo 2021-2024)”. Si conferma, in sostanza, l’Ape sociale, che nel settore scolastico riguarda solo le educatrici dei nidi e i maestri della scuola dell’Infanzia. Come se gli altri settori scolastici non siano stressanti e portatori di burnout. Eppure, sempre i numeri dicono che è altissima la percentuale di malattie professionali che colpiscono i docenti a partire dai 55 anni di età, ovvero il 44% del personale scolastico.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, rammenta l’importanza di permettere l’uscita dal lavoro scolastico a 62 anni, senza tagli all’assegno di quiescenza, conteggiando ovviamente i contributi accumulati sino a quel momento. Esattamente così come si fa con personale delle forze armate. In tal modo gli si darebbe una pensione proporzionale né più né meno a quello che ha versato allo Stato. Lo stress psicofisico di chi svolge questa professione in tutti gli ordini di scuola è un dato di fatto. Per non parlare del rischio biologico, che ancora non viene riconosciuto, a differenza di altre professioni, come quelle che operano nel campo medico-sanitario. Inoltre, è giunto il tempo di assumere tutto il personale precario con oltre 24-36 mesi, altrimenti si continuerà ad immetterlo in ruolo alle soglie della pensione”.
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