Mandare a casa dipendenti pubblici con un incentivo all’esodo: il progetto sarebbe contenuto nel piano del ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, le cui linee guida sono state annunciate ieri in audizione alle commissioni Lavoro e Affari costituzionali di Camera e Senato, sulle linee programmatiche del dicastero, e oggi a Palazzo Chigi, attraverso il "Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale" alla presenza del presidente del Consiglio, Mario Draghi, e dello stesso ministro per la PA. Secondo alcune anticipazioni della stampa nazionale, il ministro starebbe lavorando su uno “scivolo” per la pensione, con un incentivo volontario all’esodo. Il piano dovrebbe essere finanziato anche con i soldi per il Recovery Plan.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “se confermata la notizia dell’anticipo pensionistico ci trova d’accordo. Ci sono professionalità nell’amministrazione pubblica, a partire dal personale scolastico, particolarmente esposte a problemi di salute e sicurezza troppo alti, il cui operato deve essere collocato tra i lavori gravosi. Si tratta di dipendenti statali che già devono fare i conti con le conseguenze del burnout, tra l’altro per avere convissuto con un rischio biologicomolto superiore ad altre categorie ma non riconosciuto dallo Stato: non possono pure essere lasciati in servizio fino a 70 anni di età, magari dopo 40 e più anni di contributi versati. È chiaro che per noi, però, qualsiasi forma di anticipo non deve comportare decurtazioni all’assegno pensionistico, anche perché già il sistema contributivo è purtroppo determinante in negativo nel tagliare le mensilità della pensione: ci aspettiamo un allargamento, per capirci, della Ape social, che permette di lasciare il lavoro dai 62 anni e non prevede di fatto alcun ridimensionamento dei compensi per che lascia il servizio. La decisione, tra l’altro, farebbe ringiovanire un comparto la cui età media è a dir poco sbilanciata verso l’alto”.
Le stime ufficiali ci dicono che nell’ultimo biennio 2019-20 sono stati 190mila i dipendenti pubblici andati in pensione. Mentre nei prossimi tre o quattro anni si prevedono addirittura 300mila uscite. Secondo quanto riporta il Messaggero, per raggiungere questo obiettivo si vuole dunque creare un meccanismo volontario di incentivo all’esodo che riguardi i lavoratori vicini all’età pensionabile, a partire da coloro che non hanno professionalità adeguate a restare nella PA, soprattutto a seguire l’innovazione tecnologica e non più motivate. Si tratterebbe quindi di un anticipo pensionistico a tutti gli effetti, i cui dettagli tuttavia non sono al momento chiari.
I NUMERI
I numeri della Legge di Bilancio ci dicono che nel Meridione ci sono 2.800 posti per i giovani: quindi si vogliono attivare concorsi più veloci per nuove assunzioni, così da favorire anche il ricambio generazionale laddove l’età media dei dipendenti pubblici è superiore ai 50 anni (quasi il 17% del totale ha invece più di 60 anni). Nella scuola, ricordiamo, l’età dei dipendenti è ancora più alto, considerando che la maggior parte dei docenti e del personale Ata si attesto nella fascia 51-67 anni. Nella relazione sulle linee programmatiche della PA, il ministro Renato Brunetta a proposito delle pensioni e delle nuove assunzioni ha dichiarato che “le cessazioni delle fasce con maggiori anzianità contribuiscono a elevare la quota di laureati che tuttavia non supera il 40%. È urgente ripensare i meccanismi di reclutamento”.
LE ALTRE IPOTESI
Sono diverse le ipotesi avanzate per le pensioni e in particolare per affrontare la spinosa questione di Quota 100 e il suo superamento dopo la scadenza naturale prevista alla fine del 2021. Con la fine di Quota 100, con la quale alla pensione si accede con 62 anni di età e 38 di contributi, si crea lo scalone di 5 anni per la pensione di vecchiaia oggi ferma a 67 anni. Nei giorni scorsi è stata avanzata da Graziano Delrio del PD l’ipotesi di Quota 92 ovvero pensioni a 62 anni e 30 di contributi per coloro che fanno lavori usuranti. Tra le altre ipotesi per le pensioni, scrive Money, risulta anche l’uscita a 63 o 64 anni con un calcolo interamente contributivo dell’assegno, ma anche il blocco della pensione anticipata INPS a 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, infine le pensioni con Quota 102 con 64 anni di età e 38 di contributi, ma senza penalizzazioni.
LA POSIZIONE DEL SINDACATO
Anief ritiene, come già chiesto con l’ultima Legge di Bilancio, attraverso specifici emendamenti, che sia doveroso operare una “proroga dell’Ape sociale” comprendendo stavolta tutte le categorie scolastiche, oltre che la “tutela ai Lavoratoti fragili”. A proposito delle modalità di accesso al pensionamento di un comparto, quello della docenza e in generale dei dipendenti della scuola, che detiene il record dell’età media dei lavoratori che vi operano, il giovane sindacato chiede con forza di tornare ai parametri sui contributi utili “ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità” indicati nelle “disposizioni normative previgenti all’approvazione dell’articolo 24, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 e successive modificazioni”. Questa facoltà andrebbe adottata per tutto il “personale docente, educativo e Ata”.
A questo proposito, il sindacato autonomo ricorda che il “diffuso e gravoso stress psicofisico, unito all’attuale pesante gap generazionale tra personale scolastico e discenti necessita di un’apposita finestra che permetta l’accesso e la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità secondo le regole previgenti la riforma cosiddetta “Fornero”. Il sindacato reputa, in conclusione, che proprio alla luce del “carattere gravoso” del lavoro svolto “in tutti gli ordini di scuola” debba risultare “indispensabile allargare l’attuale finestra di pensione anticipata prevista soltanto per il personale delle forze armate”.
PER APPROFONDIMENTI:
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