a cura di
Marco Perelli Ercolini
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La Corte dei Conti ha certificato 23 miliardi di “buco”, che l’Inps ha eredito dall’Inpdap per il mancato pagamento dei contributi del personale a tempo determinato. Pacifico (Anief): siamo pronti a diffidare l’istituto di previdenza e per il Governo sarà una bella gatta da pelare.
Le pensioni dei dipendenti pubblici in servizio sono a rischio: la Corte di Conti ha infatti certificato un “buco” di 23 miliardi di euro, che l’Inps ha ereditato dall’Inpdap per il mancato pagamento mensile dei contributi del personale a tempo determinato. Per questo motivo l’Anief ha deciso di chiedere la certificazione dei crediti in tribunale, forte della sentenza della Corte di giustizia europea del 13 novembre 2008. Per questi motivi il sindacato, che fa parte della Confedir, stamattina ha partecipato attivamente davanti a Palazzo Chigi alla manifestazione “Vogliono toglierci anche il bastone-pensione”.
È sempre più evidente, infatti, che lo Stato sta cercando di fare cassa sulle spalle dei pensionati. Ad iniziare dalla mancata indicizzazione dell’assegno mensile nei confronti dei dirigenti degli enti locali, delle regioni e dei dipendenti di tutta la pubblica amministrazione, cui viene negato il diritto a percepire una pensione corrispondente ai contributi versati nel corso della loro carriera lavorativa.
“Quanto sta realizzando lo Stato con i suoi lavoratori – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - è una vera e propria evasione. E ha dell’incredibile, perché l’amministrazione si rende artefice esattamente di quello che non permette di fare alle imprese private. Ora, però, il Governo si ritrova con una nuova gatta da pelare: dopo i risarcimenti milionari che dovrà sborsare per la mancata stabilizzazione e il recupero del 2,5% illegittimamente percepito dalle busta paga di centinaia di migliaia di dipendenti, dovrà anche per forza di cose trovare quei 23 miliardi di euro che l’istituto nazionale di previdenza ha impropriamente sottratto ai dipendenti del pubblico impiego”.
A sostegno dei dipendenti c’è anche l’esito della sentenza n. 116 della Consulta, attraverso cui è stato di recente dichiarato incostituzionale il prelievo forzoso sulla differenza delle pensioni stabilito dal comma 22-bis dell’articolo 18 della legge 111/2011. Nei prossimi giorni il sindacato metterà a disposizione dei precari della scuola un modello di diffida da inviare all’Inps e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, proprio per rivendicare il mancato pagamento dei contributi versati.
Durante la conferenza svolta oggi a Roma presso l’Università telematica Pegaso, a Palazzo Bonadies, è emerso che l’ultimo decennio di riduzione della spesa pubblica ha innalzato l’indebitamento di 10 punti. Mentre si lasciavano inalterati i costi della politica, delle società partecipate e delle consulenze, si è agito su comparti essenziali come scuola e università. Col risultato che i nostri ragazzi non aspirano più a laurearsi, sono meno preparati e stentano sempre più a trovare un’occupazione.
Secondo Marcello Pacifico (Confedir-Anief) risparmiare almeno un miliardo di euro nel comparto istruzione comunque si può: senza toccare organici, sostegno e istituti, si potrebbe affidare il ruolo dei revisori dei conti al personale interno, semplificare la macchina della giustizia per il contenzioso sui precari e dare il via libera all’organizzazione dell’orario scolastico su cinque giorni.
Sono anni che il Governo taglia nella pubblica amministrazione, ma il debito è aumentato di 10 punti percentuali. Questa verità emerge dall’analisi dei tagli lineari, che hanno investito risorse, personale, strutture della P.A. negli ultimi dieci anni, affrontata oggi a Roma presso l’Università telematica Pegaso, Palazzo Bonadies, durante la conferenza “Spendere meno, spendere meglio”, nelle relazioni dei segretari generali della Confedir - Confederazione rappresentativa della dirigenza pubblica - alla presenza del Commissario per la spending review italiana, Carlo Cottarelli, ex del Fondo monetario internazionale.
Mentre non sono stati toccati i costi della politica, delle società partecipate e delle consulenze, nell’ultimo decennio abbiamo assistito a ridimensionamenti importanti in settori chiave del nostro welfare. Ad iniziare dalla scuola, il più colpito con il 75% dei tagli di tutta la P.A.: basti pensare alla riduzione di un sesto del personale e dell’orario degli studenti, di un terzo dei dirigenti e delle scuole autonome, l'utilizzo perpetuo del precariato per il 15% dei posti in organico al fine di evitare il pagamento degli scatti di anzianità ora precluso anche ai neo-assunti. Per non parlare dell’università, che ha visto cancellata la figura del ricercatore e prorogato il blocco del turn-over al 2018.
E se l’economia stenta a riprendere, se i nostri ragazzi non aspirano più a laurearsi, se studiano di meno e sono meno preparati, se non lavorano rispetto agli altri ragazzi europei, la colpa è da ricercare proprio nei tagli al settore dell’istruzione e della conoscenza prodotti dal 2000 al 2010: l’Italia che già investiva poco, l'80% delle risorse stanziate, rispetto agli altri Paesi OCSE, ha ridotto ancora del 10% gli stanziamenti in controtendenza all'aumento del 3%, seppur lieve, registrato in media sempre dai Paesi più sviluppati.
“Alla luce di questi dati inequivocabili – sostiene Marcello Pacifico, segretario organizzativo Confedir e presidente Anief - la Commissione presieduta dal dott. Carlo Cottarelli, incaricata di rivedere la politica di spesa nel settore dell’istruzione e ricercare nuovi risparmi, dovrebbe lasciare inalterato l’attuale assetto degli organici, del sostegno e del dimensionamento scolastico. Mentre si dovrebbe concentrare su una serie di proposte”.
“Per i risparmi nella scuola – continua Pacifico - si può ricavare non poco dall’assegnazione del ruolo di revisori dei conti, a titolo gratuito, al personale interno (ci sono già le RSU). Si può poi semplificare la macchina della giustizia che si occupa del contenzioso sulle graduatorie o sui precari. Si potrebbe, infine, dare il via libera all’organizzazione dell’orario scolastico su cinque giorni. In tal modo si potrebbe recuperare un ‘tesoretto’ di almeno un miliardo di euro”.
“Mentre sul fronte dell’università sarebbe fondamentale procedere con l’assunzione dei ricercatori rispetto a quelle bloccate di ordinari e associati. Di certo – conclude il rappresentante Confedir-Anief - la qualità e non la quantità ci devono guidare nell’economia di spesa come nel reclutamento: perché la pubblica amministrazione e la sua dirigenza sono prima di tutto una risorsa al servizio del Paese”.
La relazione completa di Marcello Pacifico
I documenti citati nella relazione
Confedir contesta l’ipotesi di CCNQ firmato il 31 luglio 2013 all’ARAN da diverse OO.SS. sulle prerogative sindacali. È illegittimo e incostituzionale. Congelati 1/3 di permessi e distacchi senza le RSU e negata l’agibilità sindacale alle Confederazioni, a differenza del Comparto. Pronto un ricorso d’urgenza al giudice del lavoro per garantire la pluralità sindacale e impedire un sindacalismo giallo, nel rispetto di leggi nazionali e comunitarie nonché di diverse sentenze della Consulta.
“Il grande inganno – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir – si è consumato all’insaputa dei dirigenti medici, scolastici, statali, regionali e territoriali che dopo tanti anni di impegno a dirigere le elezioni delle RSU dei propri dipendenti, a garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione per evitare accuse di sindacalismo giallo, ora dovranno organizzare le proprie elezioni RSU, non si sa con quali regole e certamente non omogenee per tutte le aree. Unica contraria la Confedir che è riuscita, isolata, soltanto a far spostare la data delle elezioni entro giugno 2014 (art. 9), pena il congelamento dei 25 minuti e 30 secondi attribuiti alle RSA della dirigenza”.
Ma all’inganno si è aggiunto il complotto, ordito all’ARAN in una settimana, da chi ha voluto minacciare la vita stesse delle Confederazioni plurali, sconfessando l’atto di indirizzo del Governo o l’ipotesi di CCNQ già sottoscritta per il Comparto, il 24 maggio 2013: il passaggio delle prerogative sindacali dalle Confederazioni alle OO.SS. aderenti (artt. 2 e 4, comma 7), in nome di una possibile accelerazione della contrattazione decentrata che non può riguardare la sola area della dirigenza quando il blocco del contrattazione nazionale riguarda tutti i dipendenti pubblici.
E le Confederazioni plurali, ancorché rappresentative, con esponenti istituzionali al CNEL o al CESE, come la Confedir, come possono essere esercitare il ruolo di parte sociale ai tavoli negoziali nazionali e decentrati, senza distacchi o permessi? Forse si vuole cancellare per contratto quello che è previsto per legge: il soggetto giuridico della Confederazione? Non sarebbe stato meglio, allora, per evitare duplicazioni in termine di permessi e ore, eliminare le Confederazioni che riportano lo stesso nome delle organizzazioni di appartenenza? E perché non vietare alle stesse Confederazioni di rappresentare dirigenti e dipendenti?
Il sindacalismo giallo vorrebbe stravincere, colluso con il potere politico, in un Paese che sembra aver perso la barra del diritto. Forse si comprende perché colpire la sola Confedir, unico soggetto confederale plurale della dirigenza, che negli ultimi mesi ha denunciato, nell’immobilismo delle altre sigle confederali, l’illegittimità del blocco dei contratti, del contributo di solidarietà, della deroga alla stabilizzazione dei precari, della perdita d’acquisto delle pensioni.
Confedir, pertanto, ricorrerà in tribunale non soltanto perché è stato violato il D.Lgs 165/01, le leggi 367/1958, 929/1965, 300/1970, 881/1977 o i principi ribaditi dalle sentenze della Consulta nn. 975/1988, 103/1989, 30/1990, 482/1995, 231/2013 sulla parità sostanziale di trattamento tra soggetti sindacali, sul diritto all’esercizio delle prerogative sindacali in base e proporzionalmente alla rappresentatività certificata, dalla CEDU e dagli artt. 3, 10, 35, 39, 97 della Costituzione.
La nostra è una battaglia per difendere la dignità e la professionalità della dirigenza pubblica ormai svenduta dagli altri sindacati per un pugno di privilegi.
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