Confedir

Così il sindacato della dirigenza si esprime sul provvedimento all'esame della I Commissione Affari Costituzionali del Senato durante l'audizione. La sentenza n. 223/12 non può riguardare soltanto la magistratura. A rischio gli scatti già pagati per la scuola nel 2011.

“La norma è illegittima perché non transeunte, arbitraria e inutile”; così chiosa Marcello Pacifico, delegato Confedir al Contenzioso, al termine del suo intervento in Parlamento.

“Per i giudici della Consulta – dichiara Pacifico – i sacrifici richiesti a tutti i dirigenti e dipendenti pubblici devono essere eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. Ora, il blocco degli stipendi e dell'indennità di vacanza contrattuale fino al 2014 e fino al 2013 per il personale della scuola non è eccezionale e transeunte perché non riguarda un solo anno ma un quadriennio, è arbitrario perché non ad tempus ma ad libitum visto il carattere tributario della norma nei confronti di una sola categoria di contribuenti, i dipendenti pubblici, e non consentaneo allo scopo prefisso perché il blocco che si intende prorogare e non recuperare insieme ai 300.000 tagli effettuati nella P.A. negli ultimi tre anni non ha prodotto risparmi visto l'aumento di 10 punti di spesa del debito pubblico”.

A rischio, infine, i recenti aumenti contrattuali disposti per legge per la scuola nel 2011, che sembrano non siano più considerabili come tali ai fini della progressione di carriera.

Se dovesse essere approvato il regolamento, il sindacato chiederà giustizia ai tribunali della Repubblica per ottenere il giusto riconoscimento al lavoro svolto in questi anni.

L’Atto del Governo n. 9 sul blocco della contrattazione e degli scatti

La Memoria di audizione Confedir

 

Pacifico (Anief-Confedir): i lavoratori pubblici destinati a segnare il passo rispetto ai colleghi del privato, dove l’aggiornamento professionale rimane alla base della competitività. Il Governo faccia chiarezza: che fine hanno fatto i fondi nazionali finalizzati e quelli di provenienza comunitaria?

Dopo il taglio di 300 mila posti in sei anni ed il reiterato blocco dei contratti, i dipendenti pubblici accusano un altro duro colpo: stavolta ad essere penalizzati sono i lavoratori di ruolo, per la cui formazione ed aggiornamento professionale l’amministrazione spende sempre meno soldi. A rilevarlo è il rapporto annuale della Scuola superiore della Pa (Sspa), secondo cui a partire da un dl del 2010 si è assistito ad una progressiva riduzione dei fondi dedicati alle attività formative. Nel solo ultimo anno la contrazione media nella PA è stata del 30%, con punte di oltre il 50% in meno per i lavoratori che operano nelle Camere di commercio (-60,1%), nelle Province (-62,9%) e nei Comuni (-56,7%).

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per le alte professionalità, “con il passare dei mesi il processo peggiorativo delle condizioni lavorative dei dipendenti pubblici diventa sempre più evidente: anziché puntare su azioni di rafforzamento di educazione permanente e di aggiornamento ‘in progress’, come da tempo indica anche l’Unione europea, l’Italia si mette in evidenza per la mancata formazione dei suoi lavoratori statali. Una ‘performance’ che si va ad aggiungere, tra l’altro, al sostanzioso taglio agli organici, in particolare nella scuola dove in pochi anni sono stati cancellati 200 mila posti tra docenti e Ata, ed al congelamento dei contratti avviato a partire dal 2010”.

Anief e Confedir non possono che condannare questo modo di procedere: alla lunga porterà ad un peggioramento della qualità dei servizi pubblici. Considerati dallo Stato sempre più un “salvadanaio” e non una preziosa risorsa da valorizzare e mettere a disposizione della cittadinanza. Con un inevitabile allargamento della forbice rispetto al comparto privato, dove invece la formazione e l’aggiornamento del personale rimangono essenziali per lo sviluppo e la crescita aziendale.

“C’è un’ultima considerazione da fare: poiché rispetto al 2011 il debito pubblico è aumentato del 10% - continua Pacifico – , viene da chiedersi dove sono finiti i fondi che annualmente lo Stato dovrebbe spendere per la pubblica amministrazione. E lo stesso vale per i finanziamenti di provenienza comunitaria annualmente stanziati per questo preciso obiettivo. Il nuovo Governo faccia chiarezza al più presto: ci sono oltre 3 milioni di dipendenti pubblici che meritano risposte”.

 

A proporla è stato il sindacalista Marcello Pacifico: il fallimento della privatizzazione dei contratti e delle norme applicate al pubblico impiego è un dato incontrovertibile. A 20 anni esatti dall’avvio di questo processo di privazione, occorre oggi chiedere all’Europa di venire in soccorso dei nostri lavoratori dello Stato, approntando una commissione ‘super partes’ che si occupi della realizzazione di un documento condiviso di cui beneficerebbero tutti i cittadini. Anche d’Europa.

Approvare al più presto una carta europea, frutto del lavoro svolto da una commissione ‘super partes’, che sia in grado di garantire la mission universale e le regole dei dipendenti pubblici dell’Europa a 27: la proposta è stata fatta oggi a Roma da Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità, direttivi e quadri PA, a conclusione del convegno Confedir-Unadis “Venti anni dalla privatizzazione del pubblico impiego: la dirigenza dello Stato tra riforma, controriforma e prospettive future”.

Il sindacalista ha ricordato che negli ultimi due decenni l’azione combinata di norme e leggi volute dai vari Governi, per mere ragioni di finanza pubblica, in particolare i decreti legislativi 29/1993, 165/01 e 150/09, hanno spostato i contratti di circa 3 milioni e mezzo di dipendenti e dirigenti pubblici verso modalità sempre più di tipo privatistico. Influendo negativamente su più ambiti: dalla “stretta” sulle pensioni a quella che riguarda il trattamento di fine servizio, dal merito legato alle perfomance alla razionalizzazione esasperata delle spese, dai licenziamenti alla mobilità intercompartimentale coatta, sino alla cancellazione del 13% dei posti in un solo anno, al perdurante blocco dei contratti, alla mancata stabilizzazione e all’appiattimento delle carriere.

Alla luce di questo andamento a senso unico, Pacifico ha quindi pubblicamente posto ai presenti al convegno due domande: “Perché si è voluto privatizzare il settore pubblico? E perché l’Europa non interviene?”. Il sindacalista ha quindi detto che l’intervento di un documento “di portata sovranazionale appare al momento l’unica strada percorribile per contrastare quella ‘controriforma’ in atto voluta dei decisori politici italiani. Una deriva che ha reso sempre più instabili gli impegni assunti negli anni dai Governi con le parti sociali, sotto la scure dei mercati, fino a penalizzare ingiustificatamente e discriminativamente i lavoratori assunti nel pubblico rispetto al comparto privato”.

Secondo il sindacato, dunque, la realizzazione di un documento di stampo europeo, ancora di più in questa situazione di incertezza governativa nazionale, rimane al momento l’unica strada percorribile per arrestare la deriva di norme e contratti che negli ultimi anni si sono abbattuti contro i lavoratori statali italiani. “La sua attuazione, accompagnata da un serio piano di investimenti, sia sul versante dell’istruzione sia su quello della cultura, questo sì correttamente mutuato dai privati, porterebbe finalmente – ha concluso Pacifico - ad una corretta gestione dell’apparato pubblico. Della cui maggiore funzionalità godrebbero tutti i cittadini italiani e di tutta Europa”.

 

Il sindacalista lo ha detto a Roma, nel corso della tavola rotonda “Status della dirigenza in venti anni di contrattazioni”: negli ultimi due decenni per mere ragioni di finanza pubblica è stata introdotta una sempre più spinta privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, con evidenti riflessi penalizzanti sulla carriera di dirigenti e dipendenti dello Stato.

Effetti negativi su tutta la linea: in materia di pensioni, del trattamento di fine servizio, della produttività e del merito, della razionalizzazione, dei licenziamenti, della mobilità, della stabilizzazione. E il futuro è ancora più cupo.

“Le penalizzazioni cui sono stati sottoposti i dipendenti pubblici nell’ultimo ventennio sono state talmente pesanti e vessatorie che oggi in Italia conviene nettamente essere assunti dalle aziende private: gli storici vantaggi di essere dipendenti dello Stato non ci sono più”. Lo ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità, direttivi e quadri PA, nel corso della tavola rotonda “Status della dirigenza in venti anni di contrattazioni”, organizzata all’interno del convegno Confedir-Unadis “Venti anni dalla privatizzazione del pubblico impiego: la dirigenza dello Stato tra riforma, controriforma e prospettive future”, in corso di svolgimento al Centro Congressi Cavour di Roma,.

Pacifico ha ricordato come in Italia l’approvazione negli ultimi due decenni di una serie di decreti legislativi, in particolare il 29/1993, il 165/01 e il più recente 150/09, noto anche come decreto Brunetta, per mere ragioni di finanza pubblica ha in realtà introdotto una sempre più spinta privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, con evidenti riflessi negativi sulla carriera di dirigenti e dipendenti dello Stato, anche in deroga a precise scelte negoziali e diritti non comprimibili.

“L’esperienza privatistica nel pubblico – ha sottolineato il sindacalista Anief-Confedir - ha influito sulla materia delle pensioni, del trattamento di fine servizio, della produttività e del merito, della razionalizzazione, dei licenziamenti, della mobilità, della stabilizzazione, subendo una controriforma che ha reso precari gli impegni assunti negli anni dai Governi con le parti sociali, sotto la scure dei mercati, fino a penalizzare ingiustificatamente e discriminativamente i lavoratori assunti nel pubblico rispetto al comparto privato”.

Durante l’intervento, Pacifico ha ricordato che i Governi degli ultimi anni si sono particolarmente accaniti contro i dipendenti pubblici: non è stata prevista alcuna ‘finestra’ sulla riforma delle pensioni attuata dalla riforma Fornero, si è tornati alla trattenuta del 2,5% sul Tfr, si è attuato il blocco del contratto per il quadriennio 2010-2013 con riduzione del potere d’acquisto degli stipendi a 23 anni fa, si è attuata la riduzione degli organici della PA (-275.000 posti di lavoro negli ultimi sei anni) con conseguente applicazione della mobilità coatta-cassa integrazione, si è introdotta la deroga alla stabilizzazione dei precari della scuola e della sanità prevista dalla Unione Europea (direttiva 1999/70/CE).

Su quest’ultimo punto, la mancata assunzione dei precari di lungo corso, con almeno 36 mesi di servizio, il sindacalista ha ricordato che l’Italia si è già meritata, da parte dell’Ue, l’avvio di pericolose procedure d’infrazione: “la logica che prevale – ha detto Pacifico – è ormai quella di un sistema che ha fatto della precarietà in questi ultimi anni uno strumento di finanza pubblica per conseguire risparmi altrimenti irraggiungibili ma in spregio al principio di non discriminazione censurato dai tribunali del lavoro”.

Pacifico si è infine soffermato sulla proposta di intesa sulle nuove relazioni sindacali, avanzata il 6 marzo 2013 dal Governo alle parti sociali, in aderenza al decreto Brunetta: “ignorando l’espressione negativa della Consulta (sentenza n. 223/12) sul blocco degli automatismi di carriera dei magistrati (art. 9, c. 21, L. 122/2010), il Governo uscente ha caldeggiato la sostituzione, a partire dagli anni successivi, degli scatti di stipendio con il sistema premiale della performance individuale, sempre che siano reperite risorse aggiuntive derivate da nuovi risparmi. A questo punto ogni ulteriore commento è superfluo”.

L’intervento completo di Marcello Pacifico

 

Intervento di Marcello Pacifico, presidente Anief, delegato Confedir alte professionalità, direttivi e quadri P. A. alla Tavola rotonda “Status della dirigenza in venti anni di contrattazioni” - Roma, Centro Congressi Cavour, 12 aprile 2013.


1993-2013: perché si è penalizzato il pubblico impiego rispetto al comparto privato? E l’Europa?

Dal d.lgs. 29/1993 al d.lgs. 165/01 come modificato dal d.lgs. 150/09, ovvero dall’introduzione della privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, diverse norme hanno cambiato l’organizzazione e il funzionamento della macchina amministrativa statale con evidenti riflessi sulla carriera di dirigenti e dipendenti della P. A., anche in deroga a precise scelte negoziali e diritti non comprimibili, per ragioni di finanza pubblica.

Nessuna finestra sulla riforma delle pensioni attuata dalla riforma Fornero, trattenuta del 2,5% sul TFR per i neo-assunti dopo il 2000, blocco del contratto per il quadriennio 2010-2013 con riduzione del potere d’acquisto degli stipendi a ventitré anni fa, riduzione degli organici (- 275.000 posti di lavoro negli ultimi sei anni) e conseguente applicazione della mobilità coatta-cassa integrazione, deroga alla stabilizzazione dei precari della scuola e della sanità prevista dalla UE (direttiva 1999/70/CE) sono soltanto alcuni dei temi che rendono evidente come oggi conviene essere assunti dai privati piuttosto che nel pubblico impiego. L’esperienza privatistica ha influito sulla materia delle pensioni, del trattamento di fine servizio, della produttività e del merito, della razionalizzazione, dei licenziamenti, della mobilità, della stabilizzazione, subendo una controriforma che ha reso precari gli impegni assunti negli anni dai Governi con le parti sociali, sotto la scure dei mercati, fino a penalizzare ingiustificatamente e discriminativamente i lavoratori assunti nel pubblico rispetto al comparto privato.

Lo si è visto ancora di recente con la legge n. 214/11 che ha aperto delle finestre per le pensioni soltanto per i privati sconvolgendo i piani pensionistici integrativi degli statali, costretti, peraltro, a pagarsi, attraverso fondi di comparto e bancari, lo stesso trattamento pensionistico che è stato garantito fino a ieri dallo Stato o ancora con la legge n. 228/12 che ha riportato al regime di TFS i dipendenti e dirigenti pubblici assunti prima del 6 maggio 2000 che chiedevano la restituzione della trattenuta del 2,5% sullo stipendio per il transito in regime di TFR, totalmente a carico dell’azienda (art. 2120 Codice civile), dopo la declaratoria di incostituzionalità (sentenza n. 223/12) dell’art. 12, c. 10 della legge n. 122/10. E lo abbiamo letto ancora di recente nella proposta di intesa sulle nuove relazioni sindacali, avanzate il 6 marzo 2013 dal Governo alle parti sociali, in aderenza al d. lgs. 150/09, quando si è ricordato il blocco dell’anzianità retributiva per il quadriennio 2010-2013 e si è caldeggiato la sostituzione, a partire dagli anni successivi, degli scatti di stipendio con il sistema premiale della performance individuale, sempre che siano reperite risorse aggiuntive derivate da nuovi risparmi, mentre la Consulta (sentenza n. 223/12) ha cancellato il blocco degli automatismi di carriera dei magistrati (art. 9, c. 21, L. 122/2010).

Di contro, il piano di razionalizzazione secondo i criteri di efficienza e di efficacia previsto dalla legge n. 133/2008 - mai verificati e accertati - ha ridotto di 275.000 unità la pianta degli organici negli ultimi sei anni (di cui 200.000 nella scuola) e degli uffici (ad es. - 4.000 scuole autonome su 12.000), mentre deve essere ancora adoperata dal Governo la nuova forbice per il taglio del 10% del personale dipendente e del 20% del personale dirigente ai sensi della recente legge n. 135/12, con l’attivazione di meccanismi di mobilità coatta intercompartimentale, cassa-integrazione a 24 mesi con 80% di stipendio e licenziamento già preventivati dalla legge n. 183/12, licenziamenti peraltro legittimati per motivi economici ancora dalla recente legge n. 92/2012. E lo spoils system (delle leggi n. 145/2002, n. 286/2006) sul modello fiduciario del sistema aziendale, influenzato da scelte non sempre limpide e disinteressate del decisore politico continua a compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa privando il Paese di una classe dirigente eppure formata.

Infine, le recenti leggi introdotte per la scuola e la sanità nel 2011-2012 hanno derogato alla direttiva comunitaria 1999/70/CE sulla stabilizzazione del personale in servizio dopo 36 mesi, deroghe che il Governo ha richiesto, attraverso una specifica intesa sui contratti a termine lo scorso mese di marzo 2013, alle parti sociali anche per tutti gli altri precari della pubblica amministrazione con contratti in scadenza, secondo un sistema che ha fatto della precarietà in questi ultimi anni uno strumento di finanza pubblica per conseguire risparmi altrimenti irraggiungibili ma in spregio al principio di non discriminazione censurato dai tribunali del lavoro. E l’Europa quanto non dimenticata, diventa il grande assente visto che ancora non si è dotata di una direttiva comunitaria sulla dirigenza pubblica, mentre necessiterebbe di un aggiornamento, alla luce anche degli aspetti pubblicistici e di un’armonizzazione del sistema delle relazioni sindacali, la direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro (1993/104, 2000/34, 2003/88) che non può essere accompagnati da provvedimenti analoghi sulla sola sicurezza.

La domanda iniziale, forse, non merita una risposta ma una proposta: queste riflessioni critiche vogliono invitare a ricostruire, insieme, un nuovo sistema dove l’organizzazione dell’orario e dei rapporti di lavoro per dirigenti e dipendenti sia davvero funzionale ai principi costituzionali sottesi all’azione amministrativa, all’interno di un contesto di relazioni sindacali certe e giuste, accompagnate da un serio piano di investimenti senza il quale, come abbiamo potuto accertare, non può essere introdotto nemmeno quel livello intermedio dei quadri - quello sì correttamente mutuato dai privati - indispensabile nella gestione dell’apparato pubblico, perché la P. A. è una risorsa del Paese non soltanto per l’Italia ma per l’Europa.

La Locandina del Convegno

Il Manifesto del Convegno

 

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