Per quale motivo la cosiddetta RPD non va assegnata anche agli insegnanti non di ruolo? È quello che chiedono tantissimi supplenti, una parte dei quali ha chiesto lumi al giudice del lavoro. Il quale, appurata l’ingiustizia, sta sempre più spesso sentenziando il risarcimento e l’immediata applicazione della quota mensile di 174,50, che corrisponde a circa il 10% della paga base. Una somma minore, ma sempre importante, è illegittimamente sottratta anche al personale Ata, al quale si nega il Compenso Individuale Accessorio (CIA): si va da un minimo di 66,90 euro a 73,70 euro al mese, a seconda del profilo professionale Ata, che ogni mese lo Stato trattiene senza fornire spiegazione alcuna. Tra gli ultimi tribunali che hanno messo le cose a posto c’è quello di Forlì, che con una sentenza esemplare ha riconosciuto ad una docente precaria 1.132 euro, più gli interessi legali, relativi agli assegni mensili non retribuiti per sette supplenze brevi iniziate nel mese di novembre 2016 e terminate nel giugno 2017.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “è ora di finirla con gli stipendi dei precari bloccati e pure ridotti: noi non possiamo rimanere inermi, per questo abbiamo tutelato e continuiamo a tutelare il personale che crede nella giustizia e nell’assegnazione di stipendi equi e dignitosi”. Anief ricorda che ogni anno in Italia sono almeno 300mila i supplenti, nominati anche per pochi giorni o mesi, che subiscono questo trattamento ingiusto. È possibile, pertanto, presentare specifico ricorso per i docenti e il personale Ata privati del diritto alla riscossione di RPD e CIA mensili, più uno specifico per i supplenti “Covid”: si tratta di cifre non indifferenti, che superano anche i mille euro annui. Il sindacato mette a disposizione di tutti i dipendenti scolastici anche un Calcolatore online che gratuitamente, in pochissimi minuti, quantifica quanto si può recuperare presentando apposito ricorso.
LA SENTENZA
Il giudice del lavoro ha esaminato la richiesta di una docente “che nell’a.s. 2016/2017 ha prestato servizio con sette contratti a tempo determinato, dal 14.11.2016 all’8.6.2017, per 207 giorni”: la docente ha chiesto “di accertare il proprio diritto alla percezione della retribuzione professionale docenti, prevista dall’art. 7 del CCNI del 31.8.1999”, chiedendo la “condanna di controparte al pagamento delle relative differenze retributive, in ragione dei giorni di lavoro effettivamente svolti, quantificabili in € 1.132,29 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo”. Per il tribunale “la domanda è fondata e si richiamano le motivazioni rese in caso analogo dal Tribunale di Napoli con la sentenza del 21.4.2021”.
Nella sentenza si cita anche “la disparità di trattamento, sotto il profilo retributivo, tra insegnanti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato e dell’evidente contrasto con la normativa comunitaria e precisamente con la clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla dir. 99/70 del Consiglio dell’Unione Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in numerose sentenze”. La clausula stabilisce al 1° comma che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
Viene inoltre citata la “pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 20015/2018) a cui la Scrivente presta consapevole adesione, secondo cui “le parti collettive nell'attribuire il compenso accessorio "al personale docente ed educativo", senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla L. n. 124 del 1999, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 dell'art. 7 del CCNL 15.3.2001, alle "modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 4 31.8.1999" deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento”.
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