Recensioni dalla Stampa al 20 settembre 2013

 Il Messaggero – 12 settembre 2013
“Disabili, la rivolta delle mamme «I nostri figli sono discriminati»”
░ Preparano la prima causa in sede civile. Anche l’ANIEF si muove in sede giudiziaria perché la stabilizzazione dei 26 mila non risolve i problemi.
La rivolta delle mamme. Si stanno organizzando insieme, sono già diventate un migliaio in pochi giorni. Ognuna di loro ha un figlio con disabilità, in età scolastica, ma a scuola non ha l'aiuto che dovrebbe avere. E allora, … vorrebbero intentare una causa al tribunale civile…. Il ricorso collettivo è nato spontaneamente e si sta allargando con i social network. Con Facebook…. Sono sempre più le cause che i genitori intraprendono per chiedere quei diritti che spettano e che non si hanno. Negli ultimi 8 anni, secondo la Fish, forse la più grande associazione in difesa dei disabili, almeno 20mila quelle a cui i Tar (i Tribunali amministrativi regionali) hanno dato ragione e torto al ministero dell’Istruzione…. La presenza degli alunni con disabilità è in crescita. Sono circa 204mila gli alunni con handicap nella scuola italiana, il 4% del totale, secondo i dati della Fish. Seimila alunni l’anno in più nell'ultimo decennio ha calcolato l’Istat nell’ultima indagine, che si riferisce ai dati dell’anno scolastico 2011/2012. Più della metà, 81mila, frequentano la scuola primaria, altri 63 mila studiano nelle scuole medie. Il ritardo mentale, i disturbi del linguaggio, quelli dell’apprendimento e dell’attenzione sono i problemi più frequenti. Uno su 5 (il 19,8%) ha un handicap abbastanza grave e ha bisogno di essere aiutato nel mangiare, o per spostarsi e andare in bagno. Il 7,8% non riesce a fare nessuna di queste tre cose. Alunni che richiedono un'assistenza costante. E in molti casi la scuola non riesce a darla. Negli ultimi anni, con il taglio della spesa pubblica, si è ridotto il numero delle ore di sostegno e dalle 22 settimanali previste se si arriva a 11 è tanto…. Non è solo questione di insegnanti. Il problema che si sta facendo sempre più pesante è quello degli assistenti educativi, che dovrebbero aiutare soprattutto per gli handicap fisici. Le amministrazioni locali faticano sempre più a sostenere la spesa….

Larepubblica.it – 13 settembre 2013
“Crescono gli alunni nelle scuole statali ma solo grazie ai figli degli immigrati”
░ Dal tandem Tremonti-Gelmini in poi, a fronte dell’incremento (+2) di alunni, la scuola ha perso classi (-2 %) e posti in organico di fatto (-12 %). In flessione le iscrizioni nelle paritarie.
… Il ministero dell’Istruzione, in occasione dell’avvio dell’anno scolastico, ha pubblicato un focus con una serie di dati relativi proprio all’anno scolastico al via nei giorni scorsi. Un dossier in grado di fornire a genitori, dirigenti scolastici e insegnanti le prime indicazioni su cosa è lecito aspettarsi quest’anno. … Le scuole pubbliche ospiteranno quest’anno 7.878.661 alunni, quasi 20mila in più dello scorso anno. Ma l’aumento è da attribuire all’incremento degli alunni stranieri – 736.654 in tutto – che in due anni sono cresciuti di 57mila unità. Al contrario, gli iscritti nelle paritarie sono ancora in calo, fenomeno che si verifica ormai da qualche anno. … Dopo gli anni della Gelmini, le classi tornano leggermente ad aumentare: 366.838, più di mille in più rispetto a 12 mesi fa. Classi che restano comunque affollate se pensiamo che la media per classe tocca quota 21,5 alunni. Mentre nel 202/203 erano 20,4 gli alunni per classe…. In Italia si contano 8.644 istituti scolastici che governano 41.483 sedi scolastiche: tra succursali, plessi staccati ed altro quasi 5 a testa. La tipologia più diffusa è quella dell’istituto comprensivo (di materna, elementare e media), che oggi rappresentano il 56 per cento del totale. … Saranno 207.244 gli alunni con handicap nelle classi delle scuole statali italiane, quasi 10mila in più di due anni fa, seguiti da 101.391 docenti specializzati. Un numero che dovrebbe arrivare durante l’anno a 103mila: uno ogni due alunni disabili circa. Al superiore, sono gli studenti liceali i più numerosi: oltre un milione e 206mila ragazzi. Gli istituti tecnici ospiteranno 827mila studenti mentre i professionali si fermano a 546mila. Ma dai dati messi a disposizione dal ministero emerge la vera e propria mattanza di classi operata negli ultimi sei anni, dal 2007/2008 al 2013/2014, per consentire di tagliare il maggior numero possibile di cattedre. A fronte di un incremento degli alunni di oltre 127mila unità le classi si sono contratte di 10mila e 150 unità.

Tuttoscuola – 13 settembre 2013
“Disabili, la rivolta delle mamme «I nostri figli sono discriminati»”
░ Giuseppe Bertagna, pedagogista, docente all’Università di Bergamo, spiega quali sono, a suo parere, le condizioni per rilanciare la scuola.
Tutto ciò che è maturo e non si coglie, marcisce. È un proverbio delle mie parti. Ma è pure esperienza comune. …. Ebbene che cos’è che è maturo e che va asportato dal nostro sistema scolastico per poter risanare e rilanciare l’albero….? Anzitutto, il suo essere strutturato ancora sul modello ottocentesco, cioè pensato, oggi, 2013, con il mondo che abbiamo, come potesse continuare ad essere un «apparato statale per costruire la Nazione». In secondo luogo, il suo poggiarsi su un ordinamento culturalmente, tutto sommato, ancora gentiliano, con i licei in serie A, i tecnici in serie B, i professionali statali in serie C, i cfp regionali in serie D e l’apprendistato formativo addirittura in fuori gioco…. Il suo essersi, infine, ridotto all’autoreferenzialità sindacal-amministrativa, per di più elefantiaca e centralizzata, quindi del tutto incapace di scambio fisiologico simmetrico con l’esterno, sia esso costituito dalla famiglia o dalla società o dall’impresa…. Ogni intervento efficace in tema di qualità del sistema di istruzione e di formazione del paese dovrebbe partire dalla presa d’atto dell’ormai strutturale, irrecuperabile anacronismo delle fondamenta su cui si basa…. Ciò di cui non abbiamo certo più alcun bisogno è di forze politico-sindacali che, sebbene con indomita fraseologia rivoluzionaria, in realtà, continuano a difendere e a conservare come il migliore dei mondi possibili lo stato di cose esistito fino a pochi anni fa… Tre interventi strategici che reputo indispensabili: 1) la restituzione dei percorsi di istruzione e formazione alla dinamica della sussidiarietà sociale (autonomia e parità piene delle istituzioni scolastiche, anche nel reclutamento di docenti e dirigenti abilitati dallo Stato; eliminazione del valore legale del titolo di studio; valorizzazione delle competenze costituzionali degli enti locali; certificazione delle competenze affidata alle parti sociali che le esercitano quotidianamente, nel mercato mondiale); 2) la pari dignità educativa e culturale e la pari durata (tutti col diploma a 18 anni!) dei percorsi formativi fino al livello superiore, senza più le gerarchizzazioni esistenti tra teoria e pratica, cultura generale e professionale, istruzione e formazione, studio e lavoro, scuola e società, scuole e impresa, scuola e apprendistato ecc.; 3) la trasformazione dell’attuale, elefantiaca e centralizzata burocrazia statale in una burocrazia snella e competente, capace, non nelle parole di chilometrici documenti ministeriali, ma nella severità e nell’eloquenza dei fatti, di governare e di controllare i risultati dei processi formativi, senza volerli gestire e far gestire a modo proprio, magari con la copertura del potere sindacale e di qualche eforo più o meno sapiente.

larepubblica.it – 14 settembre 2013
“Alunni somari? L’insegnante torna tra i banchi.”
░ L’art.14 del Pacchetto Carrozza approvato il CdM., dispone la frequenza di corsi di formazione obbligatori per i docenti delle scuole in cui i risultati dei test di valutazione siano stati meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo. Riportiamo da Salvo Intravaia. A parere dell’ANIEF, l’articolo 14, se attuato, appesantirà la propensione al “teaching for test“, operante già nelle scelte didattiche degli insegnanti: una ingerenza che svilisce l’autonomia scolastica.
La sostanza della norma è che in quelle scuole dove i risultati dei test Invalsi sono “meno soddisfacenti”, cioè inferiori alla media nazionale, gli insegnanti si devono sottoporre a un programma di formazione obbligatoria che avrà il compito di aumentare le conoscenze e le competenze degli alunni, ma anche di incrementare le competenze di gestione, di programmazione e informatiche dei docenti. Soprattutto quelli che lavorano in particolari contesti come le zone a rischio o a forte concentrazione di immigrati. Il tutto, probabilmente, senza un soldo di retribuzione e non si sa neppure per quante ore pomeridiane di lavoro aggiuntivo. L’unica cosa che si sa è che il governo ha stanziato 10 milioni di euro per il 2014. Ma dov’è che i risultati dei test Invalsi sono più deludenti? Basta dare un’occhiata al report dell’istituto di Frascati pubblicato pochi mesi fa per rendersi conto che è nel meridione d’Italia che scolari e studenti arrancano maggiormente. Ogni anno, il test Invalsi misura le competenze in Italiano e Matematica degli alunni di seconda e quinta elementare, prima e terza media e secondo anno delle superiori. I due fascicoli proposti agli alunni italiani contengono domande a risposta multipla o aperta, grafici da interpretare, frasi da completare e altri quesiti per saggiare il livello raggiunto dagli alunni e fare dei confronti tra le diverse aree del Paese. In Sicilia, con una media nazionale a 200 punti, gli studenti di terza media racimolano in Italiano soltanto 186 punti. Punti che diventano addirittura 181 in Matematica per i ragazzini che frequentano le scuole della Calabria. Ma è al secondo anno delle superiori che il divario Nord-Sud diventa evidente. Tra i 183 punti in Italiano degli adolescenti siciliani e i 214 dei compagni lombardi ci sono ben 31 punti di differenza che salgono ancora se si passa alle competenze in Matematica, dove gli studenti della provincia di Trento riescono ad accumulare ben 226 punti che precipitano a 178 se si prendono in considerazione i quindicenni sardi: ben 48 punti di differenza. Un gap fra regioni settentrionali e meridionali che permane anche nelle altre classi del monitoraggio. …

corrieredellasera.it – 16 settembre 2013
“Ricercatori, l'Olanda paga 5 volte di più”
░ Italiani in coda alla classifica degli stipendi. Primi, i sudcoreani.
Cervelli in fuga dall'Italia. Cervelli che non rientrano. Attratti da offerte di lavoro soddisfacenti e da laboratori più adeguati. Ma anche da un meccanismo competitivo che riconosce il merito. E paga bene. «Fino a cinque volte di più». Se poi teniamo conto del «valore di mercato» di ogni ricercatore non c'è storia: in Corea del Sud valgono sei volte e mezzo di più dei colleghi italiani. … L'ultimo studio di Times Higher Education, che sarà reso pubblico agli inizi di ottobre, stila anche una classifica tenendo conto di quanto gli enti pubblici e privati investono su ogni ricercatore tra salario, benefit, premi di risultato e altro. Se in Corea del Sud uno scienziato ha un «valore» di quasi 93 mila dollari, in Olanda si aggira attorno ai 73 mila e in Belgio sfiora i 64 mila. Bisogna arrivare al 24° posto per trovare l'Italia: qui l'asticella si ferma a 14.400 dollari, Cioè undicimila euro. Cinque volte di meno rispetto agli olandesi. La metà in confronto agli americani. Il 35 per cento in meno dei colleghi tedeschi. «È chiaro che nel nostro Paese c'è un problema di retribuzione di chi fa attività di laboratorio» dice Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologia. Cingolani conosce molto bene l'ambiente. Ed è anche per questo che esordisce con una premessa: «Non sono contrario alla "fuga dei cervelli": è bene che i nostri ricercatori vadano fuori, facciano esperienze. Il problema è che non c'è il bilanciamento: entrano in pochissimi». Il salario, quindi. Secondo il direttore scientifico è un punto debole del nostro sistema, «ma non l'unico». «Perché non riusciamo a offrire nemmeno grandi strutture scientifiche dove fare attività. Di conseguenza non siamo per nulla attraenti». All'Istituto italiano di tecnologia, però, il 43 per cento dei ricercatori è straniero e arriva da più di cinquanta Stati. «Ma la nostra è un'isola felice, una delle poche in Italia», sottolinea. Come se ne esce? «Dobbiamo investire nella creazione di punti di attrazione, di veri e propri magneti che attirino uno alla volta i migliori cervelli» suggerisce Cingolani. Ma prima ancora «dobbiamo semplificare e velocizzare il sistema di reclutamento: provateci voi a spiegare a un inglese, a un americano o a un cinese il meccanismo di selezione che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Non è difficile, è quasi impossibile».

latecnicadellascuola.it – 17 settembre 2013
“E’ il ceto a decidere che scuole superiori si faranno”
░ Il periodico riporta alcune risultanze di una inchiesta, realizzata da Linkiesta.it., sulle scelte compiute da un campione di ragazzini lombardi in uscita dalla terza media.
Linkiesta.it fa opera meritoria mettendo a nudo, con una semplice e razionale inchiesta, quali scelte i ragazzi saranno costretti a fare, dopo la terza media, indotti in questo, non già dalle loro capacità e vocazioni, ma più semplicemente per causa della provenienza sociale ed economica dei genitori. È in questo primo snodo, finite elementari e medie, che l’Italia, dice Linkiesta.it, misura la sua capacità di offrire pari opportunità educative agli studenti e fare della scuola un luogo in cui appianare le disparità sociali…. Secondo il professor Daniele Checchi, docente di Economia politica dell’Università degli studi di Milano, anche gli insegnanti sono i primi a farsi influenzare dalla classe sociale di appartenenza del ragazzo nei consigli orientativi. Il tutto in un sistema di istruzione secondaria diviso per indirizzi ben distinti tra loro e dove la scelta della “filiera”, avviene tra i 13 e i 14 anni, «un’età in cui l’influenza dei genitori è ancora forte». Basandosi proprio sullo studio, del 2008, di un campione di studenti lombardi di terza media, ha evidenziato l’influenza di tre fattori sulla scelta della scuola superiore: background familiare, competenze e voti, contesto sociale. … Secondo l’Istat, Annuario statistico italiano 2012, a conclusione del secondo ciclo di istruzione, il 97,9 per cento degli studenti ammessi a sostenere l’esame di Stato consegue il diploma di istruzione secondaria superiore nel 2010. Ma la riuscita all’esame di Stato è più elevata tra gli studenti dei licei classici e scientifici (99,1 e 99,0 per cento), mentre è più bassa tra gli studenti dei licei linguistici (95,2 per cento), degli istituti tecnici (97,0 per cento) e degli istituti professionali (97,1 per cento).

ItaliaOggi – 17 settembre 2013
“Indicazioni nazionali a dieta”
░ I dd.ss. delle scuole del Primo ciclo hanno ricevuto le Indicazioni, unitamente alla scheda di adesione per candidarsi come rete di scuole che realizzerà attività di formazione e ricerca. Ma lascia perplessi l’entità del finanziamento: 1,6 milioni di investimenti per 400 mila docenti.
Con il nuovo anno scolastico, infatti, entra pienamente in vigore le nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia, primaria e media. Primo passo, un piano pluriennale di accompagnamento appena emanato dal Miur nella circolare ministeriale n. 22. Una serie di misure messe a punto dai 12 membri dell'apposito comitato scientifico e che puntano sull'informazione e la formazione dei docenti. Mettendo a disposizione il sito www.indicaizoninazionali.it e stanziando per questo primo anno di 1 milione e 600 euro da utilizzare a livello regionale per sostenere progetti di ricerca e formazione promosse da scuole organizzate in rete, a partire da questo anno scolastico. Ogni gruppo di scuole associate potrà promuovere laboratori per gli insegnanti sui temi caldi delle Indicazioni: dal profilo di competenze degli allievi, al curricolo verticale, fino alle competenze di base, passando per valutazione formativa, ambienti di apprendimento,didattiche innovative. Piatto forte del piano di accompagnamento, dunque, la formazione dei docenti, del cui finanziamento l'85%, pari a 1 milione e 360 mila euro, è attribuito direttamente alle reti di scuole sulla base dei progetti riconosciuti validi e il 15%, cioè 240mila euro, potrà essere utilizzato, spiega Carmela Palumbo, direttore generale Miur, «per interventi di sistema (dirigenti scolastici, figure di sistema, misure compensative) e sarà assegnato a una scuola incaricata di organizzarli e gestirli sulla base di una progettazione curata dallo staff regionale. Resta fermo l'impegno del ministero a reperire ulteriori risorse per incrementare e dare continuità nel tempo all'azione formativa». Le risorse, però, come sottolineano in coro i sindacati restano «troppo esigue e non per tutti». Mancano fondi per tutte le scuole e per gli oltre 400mila insegnati interessati. «Quindi, la formazione di secondo livello, le iniziative di formazione e ricerca, sarà rivolta a gruppi limitati di scuole…

latecnicadellascuola.it – 19 settembre 2013
“Galan frena la Carrozza e boccia il decreto”
░ Giancarlo Galan, presidente della Commissione Cultura della Camera, fra pochi giorni inizierà a lavorare come relatore di maggioranza del decreto Carrozza sull’istruzione. Il problema è che c’è un relatore di maggioranza che non condivide nulla del testo approvato in C.dei M.
“Giudico inquietante la tendenza di ogni ministro dell’Istruzione a smontare ogni volta quanto fatto dal suo predecessore, senza lasciare alla scuola il tempo necessario perché le nuove regole si sedimentino. Sembra che in ciascuno prevalga la smania di lasciare una traccia del proprio passaggio con una legge che porti la sua firma”….”Tanto per cominciare”, sottolinea Galan, parlando con il giornalista de “lanotiziagiornale.it”, “il decreto è un meccanismo abusato e non gli piace affatto…. E poi cercare soldi, 470 milioni di euro, con l’aumento delle accise sugli alcolici è “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Mi batterò perché le risorse vengano trovate nella maniera opposta: attraverso tagli alla spesa pubblica”…. ”Questo testo, molto di sinistra, è stato costruito in accordo con i sindacati guardando alle esclusive esigenze dei lavoratori precari. Assistiamo all’ennesima informata di migliaia di insegnanti, senza alcuna valutazione preventiva e individuale delle loro qualità professionali. In questo modo il merito non trova casa nella scuola”.

l’Unità – 20 settembre 2013
“Scuola, i nodi irrisolti del sistema di valutazione”
░ La Scuola non ha gli strumenti docimologici per stabilire in che modo la cultura diffusa dai mezzi di comunicazione interagisce con quella scolastica, e in che misura incide nel risultato scolastico degli studenti. Una riflessione di Benedetto Vertecchi.
….Quando in Italia ci si confronta sulla valutazione si rivelano limiti culturali che sono propri delle condizioni che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro sistema scolastico. Sono limiti che hanno come conseguenza la riduzione del significato della valutazione all'apprezzamento delle conoscenze acquisite dagli allievi, o comunque a tratti del loro comportamento strettamente riferiti all'esperienza scolastica. In breve, siamo di fronte a una sineddoche: un concetto in sé molto esteso perché suppone sia preso in considerazione un gran numero di dimensioni è impoverito dei significati necessari per conferirgli una valenza interpretativa che superi l'autobiografismo e le argomentazioni di senso comune che ne derivano. Alla base di una simile nozione diminuita della valutazione c'è una logica interpretativa che si limita ad associare la qualità dell'apprezzamento che si esprime nei confronti delle conoscenze acquisite a scuola da un lato alle caratteristiche personali degli allievi, dall'altro alle proposte di educazione formale che a essi sono state rivolte in luoghi e tempi determinati. Non c'è bisogno di richiamare le indicazioni della ricerca che nel corso del Novecento hanno progressivamente disgregato il recinto angusto entro il quale si pretendeva di relegare l'istruzione scolastica. Ormai nel dibattito internazionale non si può più parlare di valutazione senza riferire gli oggetti dell'attenzione a un complesso reticolo di interazioni. Si guarda all'educazione come a un sistema, a una rete la cui geometria può essere modificata agendo su uno qualunque dei nodi che collegano tra loro i diversi elementi. Di conseguenza, se consideriamo un aspetto specifico (per esempio, il livello degli apprendimenti in matematica) non possiamo limitarci a prendere atto del risultato che gli allievi hanno conseguito, dopo che per un certo tempo hanno partecipato ad attività rivolte a conseguire un determinato intento. L'interpretazione valutativa consisterebbe, infatti, nello stabilire una relazione lineare tra proposta e risultato di apprendimento, e la variabilità degli effetti sarebbe completamente spiegata da poche variabili, come l'attitudine e la motivazione di chi apprende e la qualità dell'istruzione di cui ha fruito. Basterebbe riflettere sulle trasformazioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della scuola italiana nel corso del Novecento per rendersi conto che le interpretazioni fondate su relazioni lineari possono essere facilmente smentite. Il principale fattore dinamico dello sviluppo scolastico è stato a lungo rappresentato dall'attesa del beneficio che si sarebbe tratto dall'istruzione. Tale attesa era accreditata da atteggiamenti sociali favorevoli, che facevano considerare importante l'impegno nello studio. In altre parole, gli esiti dell'educazione scolastica erano spiegabili solo con riferimento a fattori esterni ad essa. La nostra scuola, in particolare a partire dagli anni sessanta, ha avuto una crescita rapidissima, alla quale tuttavia non ha corrisposto la revisione dei modelli interpretativi. Si sono continuati a utilizzare i modelli preesistenti senza considerare la necessità che qualunque innovazione avrebbe richiesto di rivedere proprio quei modelli. E ciò non poteva essere fatto se non promuovendo la ricerca, per individuale e spiegare i cambiamenti in atto nel sistema educativo. Non è una soluzione quella di assumere, sic et simpliciter, modelli elaborati in contesti diversi per compensare l'imbarazzante assenza di una conoscenza originale, derivante dalla continuità dell'impegno per l'analisi della realtà educativa. Oggi sappiamo che la motivazione ad apprendere degli allievi non è esaltante, che gli insegnanti sono spesso frustrati, che le scuole mancano del necessario per organizzare la loro attività, che i mezzi di comunicazione diffondono una cultura alternativa (e spesso conflittuale) rispetto a quella scolastica e via elencando. Ma non sappiamo in che modo questi fattori interagiscono fra loro, e quanta parte del risultato scolastico possa essere riferita ad essi. Eppure, è proprio ciò che sarebbe necessario sapere per dare un nuovo indirizzo all'educazione scolastica. È questa la valutazione che serve, e della quale in Italia non c'è traccia.

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