Nuove classi di concorso - Se il Miur le introdurrà attraverso un mero atto ministeriale, senza passare per il Parlamento, l’Anief annuncia una dura opposizione: siamo di fronte ad un colpo di mano privo di fondamento giuridico. Il giovane sindacato ricorrerà sicuramente al Tribunale amministrativo regionale.
Le indiscrezioni delle ultime ore provenienti dalla stampa specializzata confluiscono sulla ferma volontà del ministro Profumo di rinnovare le classi di concorso della scuola nei giorni precedenti alla sua uscita di scena da Viale Trastevere: quindi entro l’inizio del mese di febbraio.
Se tutto questo venisse confermato nei fatti, se la politica del risparmio dovesse continuare a prevalere su ogni logica, l’Anief annuncia sin d’ora il suo diniego ad un’operazione che per salvare dalla sovrannumerarietà qualche migliaio di docenti li autorizza, di fatto, ad insegnare materie per le quali non sono abilitati e di cui hanno solo qualche primaria conoscenza. Oltre all’evidente danno agli studenti, ciò farà perdere le supplenze di lunga durata ad altrettanti precari, quasi sempre conoscitori della disciplina e regolarmente abilitati all’insegnamento.
“Siamo di fronte ad un’operazione chiaramente illegittima – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief -: approvare la drastica riduzione delle classi di concorso attraverso un decreto del Ministero è una vera forzatura. La legge 133 del 2008 indica la necessità di far passare qualsiasi modifica delle classi di concorso necessariamente per le commissioni parlamentari. Cercare di aggirare quest’obbligo normativo, approfittando del particolare momento, a poche settimane dalle elezioni politiche di fine febbraio, non salverà di certo il Miur – conclude Pacifico - dalla presentazione al Tar di migliaia di ricorsi da parte dei tanti danneggiati da questo colpo di mano del ministro Profumo”.
Sabato 12 gennaio, a Roma, nella sede nazionale del Partito Democratico, ha avuto luogo la presentazione del libro "Idee ricostruttive per la scuola di domani" che rappresenta il contributo al programma della coalizione di centrosinistra elaborato nel “Forum Nazionale Politiche Istruzione PD” 2010-2012.
Alle diverse sessioni del forum hanno partecipato oltre 400 persone tra rappresentanti politici, sindacali e quanti vivono o lavorano nella scuola; Anief ha voluto offrire il suo contributo partecipando attivamente con molti dei suoi esperti.
Molti dei principi riportati nel libro "Idee ricostruttive per la scuola di domani" sono più che condivisibili ma apprezziamo ed evidenziamo soprattutto che le considerazioni fatte sono viste sotto l’ottica trasversale dell’incremento delle risorse economiche, senza la quale tutti i principi, condivisibili o meno, restano tali o, peggio, mascherano un atteggiamento predatorio delle risorse della scuola come quello attuato dai recenti governi. Speriamo che questo rappresenti un primo segnale di inversione di tendenza.
All’ultimo momento si stralcia una norma già pronta, dimenticando la sentenza n. 147/12 della Consulta che nel giugno scorso aveva cancellato il dimensionamento scolastico unilaterale deciso nel luglio 2011 dall’ultimo governo Berlusconi. Anief scrive a tutti i presidenti delle Regioni e agli assessori italiani competenti: serve un incontro urgente per capire quando verranno annullati i decreti di rideterminazione della rete scolastica che stanno mettendo a repentaglio la qualità dal lavoro di chi opera in quelle scuole e del diritto allo studio di almeno un milione e mezzo di studenti iscritti.
Per la scuola italiana il 2012 si chiude nell’illegalità: il governo Monti ha infatti deciso all’ultimo momento di annullare i decreti di rideterminazione della rete scolastica, in particolare il c. 4, art. 19, della Legge 111/11, attraverso cui l’ultimo governo Berlusconi aveva illegittimamente deciso, senza l’indispensabile parere della Conferenza Stato-Regioni, di sopprimere dall’anno scolastico in corso ben 2.611 istituti pubblici. L’Anief ritiene ingiustificabile che l’esecutivo uscente abbia deciso di non dare seguito alla sentenza n. 147/12 della Consulta, che nel giugno scorso ha cancellato la norma unilaterale sul dimensionamento scolastico.
Quanto accaduto è ancora più grave, dal momento che il governo è di fatto ritornato sui propri passi, stralciando quanto riportato nel disegno di legge di stabilità (n. 5534) presentato ad ottobre dallo stesso governo: il comma 36 dell’art. 1, infatti, prendeva atto della decisione della Corte costituzionale e preannunciava una nuova intesa Stato-Regioni per l’attuazione di un nuovo dimensionamento in base al numero di 900 alunni per le scuole di ogni ordine e grado, precisando che valeva soltanto per l’a.s. 2012/13 quanto previsto dal c. 5, art. 19 dalla stessa L. 111/11 per le scuole superiori dove, peraltro, doveva essere disciplinata la reggenza e non la soppressione indebita di 236 scuole superiori.
Ora con la stralcio del comma dalla legge n. 228 del 24 dicembre 2012, l’Anief torna alla carica. Dopo la denuncia fatta alla stampa lo scorso giugno, subito dopo la sentenza della Consulta, e di fronte all’illegittima organizzazione delle scuole autonome nel territorio, ricorda che sono 2.611 le scuole soppresse illegittimamente nell’a.s. 2012/13: metà di esse (1.404) sono scuole dell’infanzia, primarie e circoli didattici, 2.375 nel primo ciclo di istruzione, 39 istituti professionali, 174 istituti tecnici e 23 licei. Quasi la metà dei tagli al Sud in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, anche il Lazio a quota meno 300 istituti.
Con il 2013 alle porte, l’Anief ha così deciso di scrivere a tutti i presidenti delle Regioni e agli assessori italiani competenti, per chiedere loro un incontro urgente con i propri referenti regionali, al fine di sapere quando saranno annullati i recenti decreti di rideterminazione della rete scolastica. È indicativo, a tal proposito, che persino, l’ARAN, sempre dopo un’articolata denuncia dell’Anief, sia intervenuto sulla questione il 22 novembre 2012, chiarendo che le RSU elette lo scorso marzo nelle scuole dimensionate rimarranno in carica per tutto il loro mandato, viste le novità normative previste proprio nel disegno di legge di stabilità (n. 5534) presentato ad ottobre dal Governo.
“Il momento è particolarmente delicato – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’Anief e delegato Confedir alla scuola - perché dal 21 gennaio al 28 febbraio prossimi si riaprono le preiscrizioni degli studenti alle classi prime delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado proprio per l’anno scolastico 2013/2014. Se la scuola rimarrà nell’illegalità, sarà necessario ripercorrere quella via giudiziaria il cui iter era stato sospeso lo scorso autunno in virtù delle nuove regole che sembrava dovessero essere approvate”.
“Bisogna ricordare, infatti, che a seguito di questo illegittimo dimensionamento – continua il sindacalista Anief-Confedir - sono saltate anche numerose direzioni-presidenze e sono stati dichiarati in esubero diversi direttori di servizi generali e ammnistrativi, mentre sono state sconvolte le graduatorie interne d’istituto e sono stati cancellati più di mille posti in organico Ata”.
Secondo Pacifico non può passare inoltre inosservato il fatto “che la metà dei tagli riguardi proprio quel primo ciclo di istruzione che è stato già ferito dalla riforma Gelmini con l’introduzione del maestro unico, la cancellazione dell’insegnante specialista di lingua inglese, la riduzione dell’orario di lezione e del tempo pieno e prolungato: non è un caso se nell’ultimo rapporto i nostri studenti delle scuole materne ed elementari da primi si sono ritrovati al fondo delle classifiche internazionali”..
Il comma 36, art. 1, stralciato
36. All'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 5, la parola: «Alle» è sostituita dalle seguenti: «Nell'anno scolastico 2012/2013, alle»;
b) al comma 5-bis, le parole: «A decorrere dall’» sono sostituite dalla seguente: «Nell’»;
c) dopo il comma 5-bis è inserito il seguente: «5-ter. A decorrere dall'anno scolastico 2013/2014, i criteri per l'individuazione delle istituzioni scolastiche ed educative sede di dirigenza scolastica e di direttore dei servizi generali e amministrativi sono definiti con accordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le regioni in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, fermi restando gli obiettivi finanziari di cui ai commi 5 e 5-bis del presente articolo.
La motivazione del Governo
Il comma 36 limita solo all'anno scolastico 2012/2013 il divieto, previsto dall'articolo 19 del decreto-legge n. 98 del 2011, di assegnare dirigenti scolastici nonché il posto in via esclusiva di direttore dei servizi generali ed amministrativi alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 600 unità, ovvero site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. Conseguentemente, si prevede che a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014 i criteri per l'individuazione delle istituzioni scolastiche ed educative sede di dirigenza scolastica e di direttore dei servizi generali ed amministrativi sono definiti con accordo tra il Ministero e le regioni in Conferenza unificata. Tale previsione si rende necessaria per dare completa applicazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 147 del 7 giugno 2012, che ha dichiarato incostituzionale il comma 4 dell'articolo 19 decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, relativo alla generalizzazione degli istituti comprensivi che dovevano essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 in particolari zone (montane e piccole isole), chiarendo che lo Stato non può dettare norma di dettaglio in materia di dimensionamento delle rete scolastica, di competenza regionale, ma può solo fissare norma generale per il contenimento della spesa stabilendo degli obiettivi da raggiungere.
I tagli per ordine e tipo di scuola
Scuole del primo ciclo d’istruzione 512 sedi di organico
312 istituti comprensivi
Non sono considerate le loro delicate responsabilità formative e docimologiche, mentre si dà sempre più spazio agli “attori” e ai finanziamenti esterni. Anziché aprire alle Fondazioni e continuare a tagliare risorse all’istruzione, spesso tutt’altro che avulse da interessi, il Parlamento farebbe bene a creare le basi per far reperire fondi adeguati alla scuola.
Le contestazioni del mondo della scuola di questi giorni contro la politica del Governo stanno producendo i primi effetti: nelle ultime ore, anche il Partito Democratico ha sentito la necessità di “arrivare ad un disegno condiviso” sulla riforma degli organi collegiali della scuola. Si tratta di una posizione corretta, condivisa dall’Anief, perché approvare il ddl 953 Aprea-Ghizzoni, al quale la Commissione Cultura della Camera in sede deliberante ha dato il via libera un mese fa ed ora all’esame del Senato, sarebbe un grave errore: non si possono infatti aspettare quasi 40 anni, tanti ne sono passati dall’introduzione dei Collegi dei Docenti e del Consiglio d’Istituto attraverso i decreti delegati del 1974, per assistere ad una immotivata riduzione dell’incidenza degli insegnanti sulla governance didattica della scuola.
“Ci sono delle parti dell’ex ddl Aprea – commenta Marcello Pacifico, presidente dell’Anief e delegato Confedir per la scuola – che renderebbero l’assetto organizzativo della scuola italiana sempre più in balìa di soggetti esterni. Come i rappresentanti di enti locali e professionali, che potrebbero indirizzare la politica scolastica a loro vantaggio. Ma anche dei genitori, che oltre a rimanere in carica per un periodo di tempo esageratamente lungo (addirittura maggiore a quello della presenza dei figli nei corsi scolastici!) si ritroverebbero a detenere lo stesso potere decisionale dei docenti. I quali, anche se della scuola dopo gli studenti sono indiscutibilmente gli attori principali, con delicate responsabilità formative e docimologiche, si ritroverebbero invece ad assumere un ruolo marginale. Quasi impiegatizio. Ed anche le ridotte competenze del nuovo collegio dei docenti, il Consiglio dei docenti, non darebbero il giusto peso alle professionalità degli insegnanti”.
Preoccupa, inoltre, la possibilità, prevista dall’art. 10 del disegno di legge 953, che le scuole possano “ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico delle loro attività”. Secondo il presidente dell’Anief, “anziché programmare il sostegno economico da parte di Fondazioni, spesso tutt’altro che avulse da interessi, il Parlamento farebbe bene a creare le basi per far reperire fondi adeguati alla crescita dei nostri giovani”.
Per tutti questi motivi, l’Anief si dice d’accordo con Francesca Puglisi, responsabile Scuola Pd, secondo cui se non si riuscirà “ad arrivare ad un disegno condiviso” sarà inevitabile bloccare la riforma del riordino degli organi collegiali.
“Si tratta di una necessità che contrasta fortemente – sottolinea Pacifico – con quanto previsto dal Governo, che per cancellare l’assurda ipotesi del passaggio da 18 a 24 ore d’insegnamento settimanale ha deciso di sottrarre quasi 50 milioni dal fondo d’Istituto, facendo sparire le funzioni strumentali. L’Anief lo ripete da tempo: l’unica soluzione per uscire da questo teatrino, incentrato sempre sullo stesso canovaccio, la riduzione di risorse alla scuola pubblica, è quella di tornare a considerare l’istruzione un investimento indispensabile. Aumentando i finanziamenti per l’istruzione di almeno un punto percentuale rispetto al Pil. Il nuovo Governo è avvisato”.
I più recenti studi indicano di allungare l’apprendimento in classe.
Ridurre di un anno la durata del percorso scolastico? Se è vera l’indiscrezione riportata nelle ultime ore dai mass-media, che porterebbe i nostri ragazzi a diplomarsi a 18 anni anziché a 19, il ministro Profumo farebbe bene a concentrare i propri sforzi su aspetti decisamente più importanti. Come quello di portare fino alla maggiore età l’obbligo scolastico e contemporaneamente di coinvolgere gli studenti più “difficili” potenziando l’alternanza scuola-lavoro.
“Il progetto del Miur di cancellare un anno di studi - dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato ai quadri e direttivi della Confedir - rappresenta un altro tentativo che va contro la logica del merito e della cultura all’investimento delle risorse umane. Come se il tasso di abbandono scolastico in Italia non fosse tra i più alti dell’area Ocse. Il forte sospetto è che la spinta a realizzare certe iniziative nazionali sarebbe allora legata a mere esigenze di cassa”.
L’Anief ritiene significativo che tutte le indagini sull’istruzione prodotte negli ultimi anni, confermate da agenzie internazionali e persino dallo stesso Miur, abbiano invece indicato la necessità di far frequentare la scuola a tutti i lavoratori: ciò favorirebbe una migliore riconversione professionale, oltre che i processi di razionalizzazione e ricapitalizzazione dell’impiego delle risorse umane.
“Un esempio virtuoso che l’Italia dovrebbe seguire – sostiene Pacifico – è quello condotto da alcuni Stati degli Usa, dove è stato dimostrato che un percorso di apprendimento ridotto non porta a maggiori chance nella ricerca del lavoro. Né, tantomeno, permette di acquisire più conoscenze, capacità e competenze. Il nostro Governo potrebbe anche guardare a modelli educativi-formativi geograficamente più ‘vicini’, come quello tedesco: in Germania, infatti, gli studenti possono contare su un sapiente utilizzo dell’apprendistato, che essendo strettamente collegato al tessuto industriale permette ai giovani di specializzarsi in campi produttivi reali ma contemporaneamente di accrescere il proprio sapere continuando a frequentare la scuola”.
Alla luce di queste considerazioni, l’Anief teme quindi che il progetto ora all’esame di una decina di esperti incaricati dal Miur possa avere solo uno scopo: il taglio di 50mila unità di personale. “Non bisogna essere dei guru – conclude Pacifico – per prevedere che l’anticipo di un anno del corso di studi, assieme alla volontà espressa da tempo di abolire il valore legale del titolo di studio, metterebbe una pietra tombale sulla validità del nostro sistema scolastico”.