.

Il sindacato respinge con forza la tesi del Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza: dal XIII secolo è un punto fermo del nostro patrimonio culturale, non è certo svilendo il merito che si migliora la formazione.

Abolire il valore legale del titolo di studio porterebbe l’Italia indietro di 900 anni: a sostenerlo è l’associazione sindacale Anief, in risposta alle dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che nelle ultime ore si è detta fortemente “contraria al valore legale del voto di maturità e di laurea”.

“Sarebbe il caso di ricordare alla fisica Carrozza – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che il valore legale della laurea costituisce un punto fermo del patrimonio culturale italiano e dei diritti civili dei suoi cittadini. Non è un caso – continua il sindacalista - se Federico II già dal XIII secolo avesse deciso di fondare l’Università di Napoli, con il preciso scopo di preparare la classe dirigente che avrebbe amministrato il Regno di Sicilia. Non si capisce pertanto perché dopo 900 anni il peso della cultura debba essere cambiato”.

Secondo il sindacato, piuttosto che auspicare l’eliminazione della valutazione del voto di laurea ai fini dell’accesso al mondo del lavoro, il Ministro farebbe bene a rispettare la nostra Costituzione, mantenendone per intero la validità legale e formale: solo così si favorirebbero i processi di efficienza. Le cause del malfunzionamento dello Stato sono altrove. Non è certo svilendo il merito, dando spazio alla cultura del fai da te, che si può pensare di sollevare la formazione e l’occupazione del Paese.

“Cancellare il valore legale del titolo di studio – conclude Pacifico – significherebbe anche mandare un messaggio sbagliato agli studenti: perché, infatti, dovrebbero continuare ad impegnarsi per cercare di prendere un buon voto ed essere ammessi brillantemente alla classe successiva? Alla fine del corso di studi, infatti, non conterebbe più l’andamento degli esami svolti. Ma basterà averli superati con il minimo sforzo”.

 

censura--685x320Ha suscitato forti polemiche la nota riservata ai Dirigenti scolastici del 27 aprile 2010 del Direttore USR Romagna con cui si invita a informare il personale docente dei limiti al diritto di critica nei confronti dell’amministrazione a mezzo stampa o nei rapporti con il pubblico.

Concordiamo con il Direttore che esiste una precisa normativa, peraltro richiamata e ripresa dalle OO. SS. nel CCNL anche per il personale docente (art. 11, all. 2, CCNL 2006-2009), e che non conviene per il buon andamento della P. A. un atteggiamento che ne screditi l’immagine, tuttavia, come anche è ricordato nella nota, il dipendente può sempre diffondere notizie, pareri, giudizi, analisi ovvero informazioni e valutazioni nel caso in cui riguardino la tutela dei diritti sindacali e dei cittadini. Pertanto, riteniamo inopportuna e superflua la nota che non aggiunge niente di nuovo all’esistente e non può comportare sanzioni, a nostro avviso, nei confronti del personale che informa la cittadinanza dai tagli prodotti dalla riforma alle questioni riguardanti il reclutamento del personale, perché è diritto di ogni famiglia avere per i propri figli un’istruzione adeguata e insegnanti preparati, come è diritto di ogni lavoratore della scuola il vedersi tutelati tutti i diritti sindacali.

Il ministro Gelmini non si scaldi e non invochi complotti politici contro un funzionario dello Stato come se ogni giorno vi fosse una crociata contro il Governo. Noi non chiediamo le dimissioni del dott. Limina, ma chiediamo rispetto per tutti coloro che liberamente informano sui danni e sugli abusi commessi dall’amministrazione. La cattiva amministrazione è un reato anche penale, figuriamoci se non può essere denunciata pubblicamente, in caso contrario sarebbe reato di omissione e concorso di colpa.

Abbiamo ridotto i fondi per l’editoria, lasciamo almeno che la Stampa si occupi ancora della Scuola, senza minacce di sanzioni alle sue fonti, chi lavora ogni giorno per il bene dello Stato e delle nostre famiglie.  

Anief: malgrado l’accertato logorio professionale, al personale della scuola invece il Governo continua a negare qualsiasi riduzione dei requisiti: via 10 anni dopo!

Dopo settimane di apparente apertura verso una manovra tesa a riequilibrare le rigidità del nuovo sistema pensionistico, con le Commissioni lavoro del Parlamento impegnate sulla praticabilità dei sistemi di flessibilità e penalizzazioni per permettere l’uscita dal lavoro anticipata anche al personale della scuola, nelle ultime ore dai ministri dell'Economia e del Welfare è arrivata la doccia fredda: il Governo Letta non adotterà alcuna deroga per docenti e Ata, perché attuarla rischierebbe di stravolgere l’avviato piano di “sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica italiana”.

Anief reputa questa scelta ingiusta, perché non tiene conto del logoramento professionale e dell’alta percentuale di casi di burnout tra i lavoratori della scuola. Ma è anche una decisione discriminante. Vale la pena ricordare, infatti, che in Italia esistono delle categorie di lavoratori che continuano a mantenere dei requisiti pensionistici fortemente ridotti: lo stesso Inps lo scorso 10 gennaio, con la comunicazione n. 545, ha ricordato che seppur adeguando i requisiti agli incrementi della speranza di vita per l’accesso alla pensione di anzianità, il personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico continua a fruire di “tetti” decisamente di vecchio stampo: per questi lavoratori, infatti, i requisiti per l’accesso al pensionamento “a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015 l’accesso al pensionamento anticipato prevede il raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età di almeno 57 e anni e 3 mesi”. Addirittura è stato mantenuto, anche se per una minima parte di lavoratori, “il raggiungimento della massima anzianità contributiva corrispondente all’aliquota dell’80%, a condizione essa sia stata raggiunta entro il 31 dicembre 2011 (attesa l’introduzione del contributivo pro-rata dal 1° gennaio 2012), ed in presenza di un‘età anagrafica di almeno 53 anni e 3 mesi”.

Per i dipendenti che operano nei settori sicurezza, difesa e soccorso pubblico, continua dunque ad essere valida la soglia corrispondente a “quota 92”, derivante dalla somma dell’età anagrafica e contributiva. Mentre per quelli della scuola non c’è verso per far accettare la “quota 96”, che avrebbe spalancato le porte della pensione ai circa 3.500 che nel settembre del 2011 avevano iniziato l’anno scolastico sicuri di andare in pensione.

Il sindacato non ha nulla da eccepire sulla volontà del Governo di mantenere in essere tali agevolazioni, sicuramente legate a professioni fortemente logoranti. Per quale motivo, però si ostina a negare ai dipendenti della scuola di lasciare il servizio mediamente dieci anni dopo questi colleghi? L’Anief ricorda, inoltre, che nella scuola i docenti con oltre 20-25 anni di anzianità potrebbero anche non necessariamente essere collocati in pensione, ma anche rimanere in servizi come tutor-formatori degli ultimi assunti. Non gravando, in tal modo, sulla previdenza e aprendo le porte alla staffetta generazionale.

A questo punto, il sindacato confida nella decisione che il prossimo 17 novembre prenderà la Corte Costituzionale proprio sulla legittimità dello stop alla pensione per i cosiddetti ‘Quota 96’ della scuola. Dopo l’ordinanza del giudice del lavoro di Siena e la sospensione del giudizio disposta dalla Corte dei Conti dell’Emilia Romagna e della Puglia, la Consulta sarà infatti chiamata a discutere sulla sospetta violazione degli articoli 2, 3, 11, 38, 97, 117 1 comma e dell’art. 6 della Cedu in riferimento all’art. 24 del decreto legge n. 201 del dicembre scorso convertito dalla legge n. 214/11. A tal proposito è bene ricordare che una deroga (per l’anno 2013-2014, come previsto dall’art. 14 comma 20-bis, della legge 135/12) è prevista, ma solo per il personale che risulterà sovrannumerario a seguito dei processi di mobilità determinati per quest’anno scolastico.

 

L'annuncio oggi ai sindacati: si partirebbe a 5 anni di età, oppure si toglierebbe un anno a primaria o medie. ANIEF: un Ministro dimissionario non può allontanarci dall'Ocse, cancellare il tempo scuola garantito dalla Costituzione e far sparire altri 50mila posti.

Avanzando inesistenti motivi di adeguamento del percorso di studi italiano a quelli europei, il Ministro dell'Istruzione Francesco Profumo ha oggi comunicato ai sindacati la decisione unilaterale di voler avviare una sperimentazione nelle scuole statali, al fine ridurre di un anno il percorso di studi, con gli esami di maturità anticipati quindi a 18 anni.

Profumo ha anche spiegato che i percorsi da intraprendere, sempre sperimentalmente, saranno tre: anticipare a 5 anni la scuola primaria, eliminando quindi un anno di scuola d'infanzia; ridurre di un anno, probabilmente l'ultimo, la scuola primaria; cancellare il primo o secondo anno di corso della scuola secondaria di primo grado.

Anief respinge, indistintamente, tutte e tre le ipotesi. Prima di tutto perché si tratta di percorsi che ci allontanano, anziché avvicinarci, ai modelli di studio in vigore nei Paesi più avanzati dell'area Ocse. In secondo luogo perché si tratta dell'ennesima riforma, mascherata da proposta migliorativa, che ha un solo obiettivo: cancellare almeno altri 50mila posti di lavoro, dopo i 200mila già spariti, per le solite esigenze di "cassa", negli ultimi sei anni. Il terzo motivo è che un Ministro dimissionario, appartenente ad un Governo che non c'è più e privo di consenso elettorale, deve limitarsi all'ordinaria amministrazione, non di certo all'introduzione di sperimentazioni che giocano contro la formazione dei nostri giovani.

"I nostri alunni - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief - non hanno bisogno di percorsi di studio ridotti, ma di una maggiore alfabetizzazione, all'interno di una scuola di qualità. Le emergenze sono altre, come l'abbandono universitario del 25% e quello della scuola dell'obbligo ancora maggiore. Ma anche introdurre un serio apprendistato, come avviene in Germania dove oltre un milione e mezzo di alunni sono stati introdotti al lavoro attraverso questo prezioso percorso formativo".

"Sarebbe poi importante - prosegue il presidente Anief - introdurre l'organico funzionale negli istituti, con la gestione delle risorse umane finalmente delegata ad ogni singola scuola autonoma. Ma anche avviare un albo di 'orientatori', composto da formatori esperti cui rivolgersi per unificare le esigenze degli studenti della scuola medio-superiore e dell'università. Il Ministro Profumo la smetta con questi blitz, utili solo a ridurre spese e a farsi pubblicità sulla pelle di milioni di giovani cui si vuole negare un anno di tempo scuola e un diritto all'istruzione completa costituzionalmente garantito".

 

Anief: imposto, a costo zero e preludio di ulteriori tagli. D’ora in poi gli istituti trasformati quasi in centri produttivi, considerati in base alle loro performance, pronti a sfidarsi in un regime di concorrenza fratricida.

Un provvedimento a costo zero, non discusso con gli ‘attori’ che devono viverlo e preludio di ulteriori tagli alla scuola è destinato a fallire ancora prima di nascere. Così l’Anief commenta l’approvazione avvenuta oggi in Consiglio dei Ministri del regolamento sull’istituzione e la disciplina del Sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, per le scuole del sistema pubblico nazionale di istruzione e le istituzioni formative accreditate dalle Regioni.

Il sindacato non può esprimere un giudizio positivo su questo provvedimento. Imposto, tra l’altro, a soli due giorni di distanza dal tentativo dell’amministrazione di far approvare alle confederazioni sindacali un pre-accordo sulla formulazione del rinnovo dei contratti che prevede l’abolizione degli scatti di anzianità e l’introduzione di un modello scolastico di tipo aziendale, incentrato sulle performance individuali all’interno istituti trasformati quasi in centri produttivi. I quali si dovrebbero attenere al modello standard prefissato (su che basi?) dal Miur, per poi addirittura entrare in un regime di concorrenza fratricida.

“Con questo regolamento – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – il Governo dimissionario ha deciso di abdicare al ruolo costituzionale dello Stato di garantire l’istruzione su tutto il territorio e a tutte le fasce sociali. Per fare spazio a un modello che castra la libertà d’insegnamento dei docenti, annulla le loro uniche progressioni di carriera, legate agli ‘scatti’ stipendiali, e tenta demagogicamente di unificare tutte le diverse realtà territoriali e sociali italiane. Alla fine della fiera – continua Pacifico – ci ritroveremo finanziamenti solo per le scuole d’elite, mentre quelle che ne hanno più bisogno, perché collocate in realtà difficili e a contatto con un’utenza più bisognosa, verranno miseramente lasciate al loro destino”.

Il regolamento approvato oggi dal Cdm è quindi funzionale alla logica della spending review applicata alla pubblica amministrazione, avviata nella scorsa estate dall’esecutivo del premier Monti. Con la scuola, ancora una volta, a rappresentare il comparto più indicato per fare tagli: via quindi una bella fetta di finanziamenti per il Fondo d’Istituto, via il personale inidoneo ed in sovrannumero, via i precari per fare spazio a docenti-impiegati dietro alla cattedra per 24 ore a settimana. Ed ora via pure la dignità e l’autonomia delle scuole.

“Viene invece dato sempre più ampio potere all’Invalsi. Un ente, sulla carta ‘super partes’, che improvvisamente perderà il ruolo di monitore, per vestire quello di mortificatore: un compito molto diverso rispetto a quello per cui era nato. Non è questa – conclude il presidente dell’Anief - la valutazione di cui le scuole italiane e suoi studenti, nessuno escluso, avevano bisogno”.