Lo conferma la Corte di Cassazione: con il passaggio alle Regioni, l’incremento salariale sarebbe di circa 200 euro lordi, mentre il Contratto collettivo nazionale della scuola prevede l’assegnazione di scatti automatici che a fine carriera arrivano a 700 euro netti. Marcello Pacifico (Anief): Si tratta di un prezzo da pagare improponibile, perché gli aumenti periodici, che al personale della scuola si attuano dopo otto anni dall’assunzione e successivamente in media ogni lustro, rappresentano oggi l’unica forma di carriera dei lavoratori della scuola.
Il passaggio da un contratto statale a uno regionale potrebbe comportare per i docenti la perdita di alcuni benefici economici al momento in godimento. A ricordarlo è Italia Oggi, soffermandosi, nell’ultimo numero, su una sentenza della Cassazione sullo status retributivo nel caso di passaggio ad altro ente. Il caso era proprio quello di una docente passata dal Ministero dell’istruzione al Ministero degli Affari esteri.
La sentenza, sintetizza oggi Orizzonte Scuola, si basa sulla modifica del 2005 al Testo Unico dei dipendenti pubblici, per cui nel passaggio da una amministrazione all’altra il dipendente sarebbe inquadrato nella fascia minima stipendiale. E così – ipotizza Italia Oggi – il passaggio dei docenti dall’Amministrazione statale a quella regionale se da un lato potrebbe comportare la non perdita della Retribuzione Professionale docenti, dall’altra potrebbe azzerare l’anzianità di servizio e porre tutti alla stregua di neo assunti.
IL RITARDO RISPETTO ALL’UE
Il giovane sindacato ricorda che gli stipendi degli insegnanti italiani sono oggi già dimezzati rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei, anche a causa, nell’ultimo decennio di blocco contrattuale, di un rinnovo contrattuale ridicolo, con un incremento di appena il 3,48% e dell’attuale conferimento incompleto anche dell’indennità di vacanza contrattuale. A questo proposito, mettendo a confronto le buste paga dei Paesi europei, attraverso l’ultimo rapporto Education at a glance risulta che, ad esempio, nella scuola primaria “il Paese con le retribuzioni maggiori è la Germania, ove un’insegnante ad inizio carriera percepisce 46.984 euro a fronte dei 23.051 dei maestri italiani, con una differenza di 23.933 euro. Anche con gli altri Paesi, sebbene in misura inferiore, le differenze non sono di poco conto”.
Nella scuola secondaria di primo grado, “mentre la differenza maggiore ad inizio carriera si ha con i colleghi tedeschi, a fine carriera la differenza maggiore è con l’Olanda. Così un docente italiano della scuola secondaria di primo grado, a fine carriera, percepisce 37.211 euro, un collega olandese ne percepisce 74.435. La differenza dunque è di 37.224 euro”. Per la scuola secondaria di secondo grado “gli stipendi più alti si percepiscono in Germania. Se facciamo un confronto con il Paese con le retribuzioni più basse a fine carriera, ossia la Spagna, la differenza con l’Italia ammonta a 6.417 euro”.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE MARCELLO PACIFICO
“Stando così le cose – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - è chiaro che al personale di ruolo non conviene passare alle Regioni: l’aumento di 200 euro che garantirebbe il passaggio all’ente locale, peraltro in cambio di un carico di lavoro maggiore, come già previsto nelle province a statuto speciale del Nord, verrebbe ampiamente vanificato dalla sottrazione degli scatti stipendiali”.
“Secondo noi – continua il sindacalista autonomo – i 200 euro di aumento di stipendio si potrebbero ricavare rimanendo sotto l’egida statale, di tutti i risparmi di spesa già destinati dalla legge alla carriera del corpo docente. In questo modo si andrebbero a coprire i finanziamenti del prossimo triennio, valorizzando pure al massimo il ruolo professionale degli insegnanti e predisponendo il passaggio di livello funzionale del personale Ata previsto per legge ma mai attuato”.
“Questo – conclude Pacifico – è l’ulteriore esempio di come il passaggio alle Regioni andrebbe a ledere l’unitarietà nazionale dell’istruzione pubblica, senza oggettivi benefici per il personale, anzi sottraendo loro pure delle garanzie che oggi hanno come dipendenti dello Stato”.
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