Lascia perplessi l’ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sulla formazione firmato il 19 novembre scorso da Miur e sindacati: invece di fare chiarezza una volta per tutte sulle modalità per introduce dei percorsi strutturali e innovativi di formazione e aggiornamento per tutto il personale docente, per introdurre una formula di dubbia interpretazione, attraverso la quale le opportunità di miglioramento delle conoscenze, utili a sviluppare una didattica più efficace, diventerebbero facoltative. Superando, però, la legge in vigore e anche le indicazioni dell’Unione Europea.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief: “I docenti italiani arrivano in cattedra dopo avere svolto quasi sempre una lunga gavetta e frequentato corsi formativi accademici. Per il sindacato, va prima di tutto incentivata la formazione iniziale: a tale scopo è stato chiesto, per i precari da immettere in ruolo, di introdurre un corso annuale universitario durante il quale svolgere attività di tirocinio retribuito. Sulla formazione del personale di ruolo, il comma 124 dell’art.1 della Buona Scuola definisce una condizione di perentorietà e di continuità, ma è di per sé ‘vuota’, poiché non prevede un limite orario. E comunque si tratta di adempimenti che vanno svolti in orario di servizio, quindi all’interno delle 40 annue ore previste dall’articolo 29 del Ccnl: al di fuori, scatterebbe l'esonero, visto che la retribuzione è più complicata da ottenere. In questi tre anni, però, c’è stata molta confusione su come comportarsi. Dal nuovo contratto ci saremmo aspettati delucidazioni, di vedere sciolti i dubbi. Invece si fa un passo indietro senza chiarire nulla. Non vorremmo che vi sia solo l’intento solito di risparmiare a scapito dei lavoratori”
La formazione del personale docente della scuola pubblica potrebbe presto non essere più obbligatoria. Nella bozza dello specifico Ccnl, osserva Tuttoscuola, si prevede infatti che “nelle scuole il personale esercita il diritto alla formazione in servizio anche nella forma dell’aggiornamento individuale”. E poi: “Tutto il personale in servizio può accedere alle iniziative formative”. Ne consegue, prosegue la rivista specializzata, che si passi “da obbligo a diritto. I docenti potranno aggiornarsi, se vorranno. Nessun obbligo. In barba alla legge. Se è questo il piano, Ministero e sindacati lo dicano forte e chiaro, ne prendano la responsabilità e lo spieghino agli studenti, alle famiglie, al Paese. Se non è questo, lo smentiscano con chiarezza, rassicurando tutti”.
Eppure, continua Tuttoscuola, “tutte le professioni organizzate prevedono ormai un sistema di aggiornamento professionale. Vale per medici, avvocati, commercialisti, notai e così via. Perché nel documento che porta la firma di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Federazione Gilda Unams, oltre ovviamente a quella del Miur, non si parla di obbligo di formazione in servizio dei docenti, come fa la legge in vigore (comma 124 della legge n. 107/2015), che la considera anche permanente e strutturale?”.
IL PARERE DELL’UNIONE EUROPEA
Il punto è proprio questo: si sta forse cercando di superare per via contrattuale il comma 124 della Buona Scuola? Se le cose stanno così, una decisione del genere andrebbe anche a contrastare le indicazioni dell’UE, visto che già nel maggio 2009 il Consiglio dell’Unione Europea considerava la formazione in servizio “eticamente oltre che giuridicamente, il presupposto fondamentale per lo sviluppo professionale individuale e della intera comunità docente, oltre che obiettivo prioritario da raggiungere per il 2020 nello spazio europeo dell’istruzione e della formazione (Education and training 2020 (ET 2020)”, indicando lo sviluppo professionale continuo (Continuing Professional Development – CPD) “come un obbligo professionale nella maggior parte dei paesi europei”. A ricordarlo è stato lo stesso Miur nel 2016, presentando il Piano per la formazione dei docenti 2016-2019.
C’È BISOGNO DI FORMAZIONE
L’esigenza di andare incontro all’aggiornamento professionale dei docenti sarebbe anche sentita a livello di opinione pubblica: nel corso di un sondaggio Demos-Coop, pubblicato in questi giorni della testata nazionale Repubblica, che è andato a verificare i pareri anche suk grado di preparazione degli insegnanti italiani, appena il 9% degli intervistati reputa i docenti sono molto preparati, per la maggior parte, il 51% gli considera abbastanza preparati, per il 36% sono poco preparati, mentre per una minoranza (3%) non sarebbero addirittura impreparati.
Dal sondaggio, la causa principale di tale situazione risiederebbe nella distanza dal lavoro, ciò significa che c’è uno scarso collegamento tra istruzione e mondo del lavoro. Altro motivo di difficoltà segnalato dagli intervistati è la mancanza di fondi adeguati per la didattica, poco sostegno economico per le famiglie soprattutto dei ragazzi più poveri.
LA POSIZIONE DELL’ANIEF
Anief, fino a prova contraria, ritiene che si faccia una volta per tutte chiarezza sulla centralità della formazione del personale, che comunque rimane obbligatoria, come previsto dalle linee guida della legge 107/2015: a questo scopo, l’organizzazione sindacale autonoma ha messo in evidenza la necessità di non attuare più discriminazioni tra lavoratori con le medesime mansioni e responsabilità, chiedendo, con la manovra economica di fine anno, di estendere la carta docente e il relativo bonus anche a precari, oltre che a tutti gli Ata e al personale educativo. Eventuali modifiche del percorso formativo obbligatorio andrebbero pertanto valutate con estrema attenzione.
Inoltre, per quel che riguarda la formazione iniziale, il giovane sindacato chiede di intervenire direttamente sul reclutamento degli insegnanti, accanto a una fase transitoria che stabilizzi tutti i vincitori e idonei dei concorsi ordinari e straordinari, i precari delle GaE e delle graduatorie di istituto ed eviti i licenziamenti di chi ha superato l'anno di prova. Forte dell'esperienza del 4/5 + 2 delle SSIS universitarie con la laurea di vecchio ordinamento, del TFA relativo al 3 + 2 + 1 della fase transitoria delle nuove lauree magistrali, del fallito tentativo del 5 + 3 del FIT archiviato, è stato chiesto di avviare a un sistema di reclutamento che possa andare al di là dei concorsi ordinari e dello scorrimento delle graduatorie di merito ordinarie e straordinarie, ma anche delle GaE e delle nuove Gap (Graduatorie post GaE).
Nello specifico, il sindacato autonomo è stato promotore di un emendamento alla legge di bilancio 2020: “abbiamo proposto – spiega Marcello Pacifico, leader del sindacato autonomo – che i precari abbiano la possibilità di frequentare un corso annuale universitario durante il quale svolgere anche attività di tirocinio retribuito nella qualità di supplente a tempo determinato e al termine del quale poter essere confermato, in caso di valutazione finale positiva, nei ruoli”.
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