Essere perennemente connessi con la propria azienda “può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori, sull'equilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata, nonché sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere”. È quanto si legge in una risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio scorso, con raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione dei lavoratori, attraverso la quale viene presentata anche una proposta di atto sul diritto alla disconnessione. Nella proposta si ricorda che “gli strumenti digitali utilizzati a scopi lavorativi possono creare una pressione e uno stress costanti, avere un impatto negativo sulla salute fisica e mentale e sul benessere dei lavoratori e condurre a malattie psicosociali o altre malattie professionali, come l'ansia, la depressione, il burnout, lo stress da tecnologia, disturbi del sonno e muscoloscheletrici”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, si tratta di una richiesta sacrosanta: “Siamo d’accordo nel regolamentare la disciplina e per questo motivo siamo stati tra i sottoscrittori del contratto integrativo sulla didattica digitale integrata nella scuola. È stato un primo passo, siamo consapevoli che in questo quadro va ancora meglio contestualizzato il diritto alla disconnessione, perché il lavoratore non può diventare ostaggio delle nuove tecnologie. Basti solo pensare alle comunicazioni ufficiali che giungono ai docenti e al personale scolastico, che senza norme ad hoc potrebbero essere recapitate ai diretti interessati pure nei fine settimana e in orario notturno ai docenti”.
“Non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell'orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, email o altri messaggi”: lo chiede il Parlamento UE alla Commissione, esortando i vari Paesi membri ad attuare delle norme che aprano al diritto alla disconnessione, così da “consentire ai lavoratori di scollegarsi dagli strumenti lavorativi e di non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell'orario di lavoro, senza correre il rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione”.
Nella proposta si cita, in particolare, l'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il quale “sancisce che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, sicurezza e dignità, così come a una limitazione dell'orario massimo di lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito”. Tra le varie norme di legge citate figura pura l’'articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani, il quale “sancisce che ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione dell'orario di lavoro e ferie periodiche retribuite”.
Il Parlamento UE, consapevole che “non esiste una normativa specifica dell'Unione sul diritto dei lavoratori alla disconnessione dagli strumenti digitali, comprese le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC), a scopi lavorativi” e “considerando che la digitalizzazione e l'utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori”, chiede dei limiti alla cultura del "sempre connesso", "sempre online" o "costantemente di guardia". Perché possono “andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell'orario di lavoro e l'equilibrio tra attività lavorativa e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere”.
La Commissione europea avverte che “l'utilizzo di strumenti digitali per periodi prolungati potrebbe determinare una riduzione della concentrazione e un sovraccarico cognitivo ed emotivo”, oltre che “aggravare fenomeni quali l'isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l'esaurimento emotivo, l'ansia e il burnout”.
Nella risoluzione si ricorda che “secondo la legislazione attuale e la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, i lavoratori non sono tenuti a fornire ai datori di lavoro una disponibilità costante e senza interruzioni e ribadisce che c'è una differenza tra orario di lavoro, quando il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro, e l'orario non lavorativo, quando il lavoratore non ha nessun obbligo di restare a disposizione del datore di lavoro, e che i periodi di guardia fanno parte dell'orario di lavoro”.
Purtroppo, però, le cose stanno andando diversamente, soprattutto dopo l’esplosione della pandemia da Covid19. Anche “da un'indagine di Eurofound è emerso che il 27 % degli intervistati in telelavoro ha dichiarato di aver lavorato nel proprio tempo libero per soddisfare le esigenze lavorative”. Sempre Eurofound ha appurato che “le persone che lavorano abitualmente da casa hanno più del doppio delle probabilità di lavorare oltre le 48 ore settimanali massime previste e di riposare meno delle 11 ore previste fra un giorno lavorativo e l'altro, come sancito dal diritto dell'Unione, rispetto alle persone che lavorano nella sede del datore di lavoro”.
Alla luce di ciò, la Commissione UE ritiene che il diritto alla disconnessione debba essere considerato “un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale”. Preso atto che non esiste una normativa dell'Unione che disciplini specificatamente il diritto alla disconnessione e la legislazione in materia varia notevolmente fra i diversi Stati membri, il Parlamento cita comunque “le direttive 89/391/CEE1 e 91/383/CEE2 del Consiglio mirano a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori”. In conclusione, con la risoluzione si chiede agli Stati membri di “garantire che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, conformemente alla giurisprudenza della CGUE”.
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