Il rinnovo contrattuale del 9 febbraio scorso, sottoscritto all’Aran qualche giorno fa, recepisce per intero il comma 1 dell’art. 19 del CCNL/2007: “Al personale docente, educativo ed ATA assunto a tempo determinato, ivi compreso quello di cui al precedente comma 5, sono concessi permessi non retribuiti, per la partecipazione a concorsi od esami, nel limite di otto giorni complessivi per anno scolastico, ivi compresi quelli eventualmente richiesti per il viaggio. Sono, inoltre, attribuiti permessi non retribuiti, fino ad un massimo di sei giorni”. Pertanto, l’insegnante e il personale Ata, anche supplente di lunga durata, hanno diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a sei giorni di permesso non retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. In sostanza, è come se le esigenze personali e familiari di tali dipendenti abbiano un valore ridotto rispetto ai colleghi che hanno sottoscritto un contratto a tempo indeterminato.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Sono forse lavoratori di serie B? Ogni norma pattizia che discrimina il personale della scuola soltanto per la durata della prestazione del servizio va censurata e disapplicata. Sarebbe ora che i sindacati rappresentativi se ne rendano conto, al di là dei proclami, poi sistematicamente smentiti nei testi sottoscritti a braccetto con l’Aran. La verità è che la normativa europea va rispettata: questo principio, tra l’altro, non riguarda solo i permessi, ma vale anche per la progressione economica, su ferie, permessi, malattia, congedo, card per la formazione: tutti passaggi che nel contratto escludono ancora coloro che non hanno stipulato un contratto a tempo indeterminato. Perché bisogna ricorrere sempre in tribunale per tutelare i propri diritti?