Se accolte le sue osservazioni dalla Corte di Giustizia Europea, docenti e Ata immessi in ruolo potranno chiedere la retrodatazione giuridica utile per la mobilità, la valutazione per intero del servizio pre-ruolo nelle ricostruzioni di carriera - attualmente riconosciuta dai tribunali del lavoro -, i risarcimenti da due a dodici mensilità per l’abuso dei contratti a termine, per ora negati dalle SS. UU. della Cassazione - oltre ai mancati scatti di anzianità già riconosciuti. Per aderire ai ricorsi vai al seguente link.
Dopo i tentativi di eliminare il valore legale del diploma di maturità, adottati a più riprese e da più Governi di vari colori, di ridurre a quattro anni il percorso della scuola superiore senza però toccare l’obbligo scolastico né anticiparne l’avvio e di introdurre l’accesso alle prove d’Esame anche senza avere la sufficienza in tutte le materie, stavolta la spallata arriva per il primo ciclo: attraverso i decreti attuativi specifici della Legge 107/2015, infatti, si è introdotta una norma che delega le funzioni di Presidente della commissione d’esame di primo grado d’istruzione delle scuole private al “coordinatore delle attività educative e didattiche”. Spodestando, di fatto, il dirigente scolastico da tale ruolo. Ad introdurre la novità è il comma 5 dell’articolo 4 del Decreto Ministeriale 741 del 3 ottobre scorso, che si rifà ad un decreto Miur del 2008 in base al quale si stabilisce che per il primo ciclo a prendere le veci del preside saranno dei docenti anche non laureati.
Marcello Pacifico (presidente Udir): Ciò significa che da giugno a fungere da responsabile per il rilascio del titolo di Stato di questi istituti sarà a tutti gli effetti un dipendente di chi gestisce la scuola privata. E non più il preside di un istituto pubblico che per il suo ruolo super partes offriva ampie garanzie sulle modalità di svolgimento delle prove, delle valutazioni e del rilascio del titolo di studio. Ciò varrà sia in Italia che all'estero. È chiaro che come sindacato faremo le nostre rimostranze per tornare a dare solo ai presidi le funzioni di Presidente della commissione degli istituti privati. È un passo sbagliato che indirizza il rilascio dei diplomi verso una riduzione della loro portata e spendibilità. Inoltre, sgancia ulteriormente la professione del dirigente scolastico dalla sua funzione prima, quella di operare per il buon andamento organizzativo e didattico della Scuola, per ingolfarlo invece sempre più di compiti e responsabilità di carattere burocratico e amministrativo. Il tutto, in cambio di stipendi da impiegato e progressioni addirittura al contrario, visto che i compensi dei presidi di alcune regioni sono destinati addirittura a diminuire.
A firma del presidente nazionale Anief Marcello Pacifico, per conto delle oltre 20mila maestre iscritte al sindacato. Lo Stato italiano ha tempo fino al 27 marzo per rispondere sull’ammissibilità della denuncia relativa al mancato rispetto della normativa italiana della direttiva comunitaria sul precariato e della carta sociale europea. Si ricorda che una decisione dell’alta istituzione europea è vincolante per lo Stato membro.
Il 23 marzo, giorno dello sciopero generale del personale della scuola, durante l’insediamento dei nuovi parlamentari a Palazzo Madama e a Montecitorio, sarà richiesta dai manifestanti e scioperanti in piazza la riapertura urgente delle GaE, antecedentemente alla fine delle attività scolastiche, prima che si esprimano le istituzioni europee con una nuova condanna dello Stato italiano.
Il termine ultimo per la presentazione delle liste da parte delle organizzazioni sindacali dalla scuola, inizialmente collocato dall’amministrazione al 9 marzo prossimo, a seguito del maltempo di fine febbraio, grazie all’azione dell’Anief è stato prorogato al 13 marzo.
Come da programma elettorale, l’Anief è pronta a rivedere il contratto collettivo nazionale 2016/18, al fine di riconoscere la parità di trattamento economica e giuridica tra personale precario e di ruolo, tutto il servizio pre-ruolo nella ricostruzione di carriera o nei passaggi di ruolo senza temporizzazione, i nuovi profili Ata, il primo gradino stipendiale ai neo-assunti (CCNI 4 agosto 2011), la mobilità senza blocchi o vincoli e il servizio prestato nella paritaria (CCNI 2018). Grazie alla presenza ai tavoli confederali, il sindacato ha intenzione di cambiare gli attuali accordi che non recuperano l’indennità di vacanza contrattuale (intesa 30 novembre 2016) e non interrompono la trattenuta del 2,5% in regime di TFR (accordo 30 luglio 1999). Con le RSU e le RSA Anief presenti in ogni scuola, ci si opporrà anche alla sottoscrizione dei contratti d’istituto laddove interessi particolari saranno anteposti al diritto nazionale e comunitario e alle fondamentali regole di trasparenza, merito, efficienza ed efficacia della PA.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Considerando la nostra crescita esponenziale delle deleghe, che ha caratterizzato l’azione del nostro giovane sindacato degli ultimi anni, arrivando a raccogliere 42mila deleghe e 70 mila iscritti, ci avviciniamo a questa tornata elettorale delle scuole davvero fiduciosi puntando dritto verso quella che per noi rappresenta una vittoria storica, viatico necessario per introdurre finalmente nelle scuole pubbliche italiane il diritto dalle aule dei tribunali, al motto di #perunascuolagiusta.
Coloro che vogliono candidarsi con Anief nella propria scuola possono ancora farlo on line cliccando sul seguente link.
La mancanza di tutele per le quote “rosa” nei nostri istituti scolastici riguarda un numero di lavoratrici percentualmente più alto di qualsiasi altro comparto pubblico: sfiora, infatti, l’82%. Significa che in media, all’interno di ogni scuola autonoma, quattro insegnanti su cinque in servizio sono donne. Tra gli amministrativi, tecnici e ausiliari tre su quattro sono donne. E anche sei dirigenti scolastici su dieci appartengono al sesso femminile. In Europa, solo l’Ungheria ha più donne in cattedra (82,5%); in Spagna le insegnanti si fermano al 63%, negli Stati Uniti al 74%. Nel Belpaese, invece, a livello di scuola dell’infanzia le docenti costituiscono il 99,3% dell’organico. Nella scuola primaria, alle maestre sono affidate il 96% delle cattedre (in Spagna il 75%, nel Regno Unito l’81%, in Francia l’82%).
A questa alta presenza, tuttavia, non corrisponde una valorizzazione professionale. Anzi, si può parlare di un assetto lavorativo particolarmente difficile: le lavoratrici della scuola, infatti, risultano fortemente discriminate nello svolgimento dell’occupazione, del rapporto con l’amministrazione pubblica per la quale operano, con riflessi negativi anche nella tutela della propria vita familiare. La mancata considerazione per il corpo insegnante parte dagli stipendi ridotti: oggi una donna che insegna in Italia guadagna tra i 24mila e i 38mila euro. Se si considerano anche gli Ata, il compenso annuo medio - complice il blocco decennale e l’inflazione salita a doppia cifra – è sceso a poco più di 28mila euro annui medi, che fanno vestire alla Scuola la maglia nera degli stipendi di tutta la PA. Anche il raffronto con il comparto privato e con l’estero è in perdita. Il problema è anche quello dalla mancata crescita professionale, visto che quasi sempre una dipendente della scuola va in pensione con lo stesso profilo professionale con cui è entrata decenni prima: non è un problema di competenze, perché queste donne nel frattempo hanno vinto concorsi, si sono abilitate e specializzate.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La realtà è quella di stipendi ridotti, molto lontani dell'inflazione registrata negli ultimi dieci anni, di vincoli sulla mobilità, di una lunga precarietà che precede l'assunzione a tempo indeterminato, di un allungamento di un decennio dell'età pensionabile spostata fino alla soglia dei 70 anni: le condizioni di lavoro delle donne italiane che hanno scelto il comparto dell'istruzione devono fare riflettere. E pensare che agli occhi dell’opinione pubblica queste lavoratrici sono considerate fortunate. L’emblema del trattamento iniquo a cui sono sottoposte è rappresentato dalla recente vicenda delle 50mila maestre precarie chiamate ad insegnare nelle nostre scuole dell'infanzia e della primaria: a seguito di una sentenza dal vago sapore politico, ora sono a rischio licenziamento perché vengono tirate fuori dalle Graduatorie ad esaurimento e a breve non potranno nemmeno fare più supplenze annuali, visto che con la riforma, la Legge 107/2015, è stato deciso di espellerle anziché assumerle come dice da tempo l’UE, alla pari di tutto coloro che hanno superato i 36 mesi di precariato. Lo stesso vale per tutte le docenti di altri ordini scolastici o che hanno svolto un altro percorso formativo, ad esempio attraverso i corsi Tfa o di Scienze della formazione primaria.