°Cinquanta milioni in più per il Fondo di funzionamento amministrativo delle scuole
Riportiamo il comunicato (30 gennaio 2015) dell’Ufficio Stampa MIUR. “Il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha inviato la lettera che comunica lo stanziamento a tutte le istituzioni scolastiche. Il fondo per l'anno scolastico 2014/2015 passa da 111 a 161 mln E. Tale incremento, pari al 45% del Fondo di funzionamento stanziato inizialmente, è stato assegnato alle istituzioni scolastiche sulla base dei criteri oggettivi che tengono conto della tipologia dell'istituzione scolastica, della consistenza numerica degli alunni, del numero degli alunni diversamente abili, del numero di plessi e sedi in cui si articola la scuola, oltre la sede principale. "Si tratta di una boccata d'ossigeno per le scuole - sottolinea il Ministro dell'Istruzione Stefania Giannini - Il Ministero ora sta studiando come stabilizzare questo incremento, per almeno 25 milioni all'anno. Stiamo avviando anche un percorso di revisione e aggiornamento dei parametri di ripartizione del fondo di funzionamento". In concreto, una scuola che ad esempio poteva disporre, in via ordinaria, di 15.000 euro per le spese di funzionamento in questo anno scolastico si è vista attribuire, con la recente nota ministeriale, una risorsa aggiuntiva di 7.000 E.”.
° La formazione degli insegnanti: competenze professionali nelle università e bilanci degli atenei
Nell’articolo “Charlie Chaplin e il cattivo infinito” (27 gennaio 2015, Tuttoscuola, Mensile, Anno XLI n. 548 - Gennaio 2015), il professore Benedetto Vertecchi accenna alla funzione che le università hanno di formare gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie, ed esprime una valutazione-dinamite: “Si può insegnare ciò che non si conosce? Chiunque sia entrato in una università, anche solo al fine di ripararsi dalla pioggia, dovrebbe essere consapevole dello stato di sconnessione che per lo più ne distingue l’azione didattica. Chi si è mai preoccupato di formare chi insegna nelle università? Sembra un calco del motore immobile aristotelico quello del formatore non formato… Per farla breve, la didattica nelle nostre università non è da considerarsi un punto di riferimento tale da accreditare la capacità di poterne estendere i benefici alle scuole degli altri ordini del sistema educativo… Ha senso proporre per gli insegnanti una formazione che segua la logica del tempo breve e della quale sia responsabile una struttura in stato comatoso, come sono in generale le università, e in particolare, con poche eccezioni, i settori che al loro interno si occupano di educazione ?”. In effetti, di giorno in giorno vengono fuori magagne: - il Rapporto Eurispes "Italia 2015" evidenzia la dispersione tra le matricole e nel percorso fino alla laurea; sul Corriere delle sera (28/01/2015) G.Antonio Stella scrive che, nei nostri atenei, le ore obbligatorie di lezione – come dire, le ore dell’esperienza didattica del docente – sono al massimo 120 per anno accademico (contro le 192 in Francia, le 279 in Baviera, le 240 in Gran Bretagna), cioè quante – a norma dell’attuale contratto Scuola (comma 5 dell’art.28) – un maestro fa in un mese, e 1/6 delle ore di insegnamento ed esperienza didattica che il docente della Secondaria fa nell’anno scolastico. A parte l’esperienza, Chi si è mai preoccupato di formare chi insegna nelle università?, chiede Vertecchi. Effettivamentein fatto di didattica (nonché, docimologia, orientamento, contrasto alla dispersione, ecc…), al MIUR nessuno mai ha pensato di gratificare i docenti universitari delle stesse attenzioni delle quali gratifica i docenti delle scuole. Andiamo a vedere quali competenze professionali deve dimostrare, al concorso a cattedre, l’insegnante della scuola secondaria superiore, a parte la competenza relativa ai contenuti disciplinari; il decreto direttoriale n.82/2012 - Avvertenze generali, Allegato 3, elenca: - fondamenti epistemologici e strumenti didattici riferiti ai contenuti disciplinari; - conoscenza dei fondamenti della pedagogia e psicologia; - competenze nella programmazione e organizzazione dell’apprendimento, anche in materia di orientamento scolastico e di bisogni educativi speciali; - competenza docimologica, per l’autovalutazione, per la valutazione scolastica e per quella di sistema; - conoscenza delle Indicazioni nazionali e Linee guida; - conoscenza della legislazione e della normativa scolastica; - conoscenza della dimensione europea dell’educazione, e dei documenti europei in materia educativa recepiti dall’ordinamento italiano; - Conoscenza di seconda lingua comunitaria al livello B2 del QCER; - competenze digitali didattiche. Benedetto Vertecchiè laconico ma illuminate; cresce il nostro debito di gratitudine per il magistero di un intellettuale sensibile, eminente pedagogista e docimologo che per noi è fonte di riflessione: rara avis che coniuga competenza pedagogica, sensibilità e apprezzamento per la funzione docente. Il nostro parere. Dopo la chiusura delle SSIS, i decisori della politica scolastica (e, in primo piano, i tre ex rettori di atenei nominati consecutivamente al vertice del MIUR) hanno affidato la formazione degli insegnanti quasi interamente alle università; scelta che abbiamo ripetutamente criticato, in questa rubrica di Aggiornamento, ricordando la proficua collaborazione, nelle Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario, offerta dai docenti delle scuole (in condizione di semiesonero dall’insegnamento) nel prospettare ai colleghi universitari le caratteristiche (didattiche, pedagogiche, normative) dell’insegnamento scolastico e le necessità formative degli specializzandi. Negli anni di operatività delle SSIS, si era creata, una spontanea sinergia, utilissima specialmente agli specializzandi, e non di rado, nell’equilibrio collegiale, risultava naturale che i supervisori (di estrazione scolastica) suggerissero i criteri, e orientassero le scelte programmatiche complessive. Il meccanismo delle SSIS risultava perfetto per qualità della didattica e per l’obiettività docimastica nelle selezioni in entrata e nell’attribuzione del voto di abilitazione. Tuttavia, il tandem Tremonti-Gelmini eliminò i semiesoneri, nel convincimento che gli atenei avessero le risorse professionali necessarie a gestire autonomamente la formazione degli insegnanti, o non ponendosi il problema. Non c’è ragione che noi – ulteriormente confermati dall’autorevole parere di Benedetto Vertecchi – non si dica come stanno adesso le cose: nell’organizzare e gestire i percorsi TFA e PAS, il personale universitario coinvolto nella docenza continua, se ne ha occasione, a consultare i colleghi che insegnano nelle scuole, e la CRUI stessa chiede al MIUR un congruo contingente di distacchi. Questa della specifica competenza didattica di coloro che sono chiamati a gestire la formazione degli insegnanti è stata una precipua preoccupazione dell’ANIEF; ma – insieme ad altri – abbiamo anche evidenziato un altro aspetto scandaloso: il flusso di denaro che dal proletariato intellettuale di cui Gramsci diceva (e che è adesso diventa sottoproletariato) passa nelle casse degli atenei a pareggiarne i bilanci. Perché la grande ipocrisia, per cui insegnano ad insegnare coloro che non ne hanno competenza, aiuta gli atenei a sanare i bilanci, e la torta dei corsi abilitanti (da 2500 a 3500 euro a cranio) scatena gli appetiti per la formazione degli insegnanti (un bacino potenziale di oltre 700 mila persone canalizzate dal MIUR su percorsi formativi di ogni genere). Sarà un caso che gli ultimi tre ministri dell’istruzione provengano dalle file dei Magnifici rettori ? Ce lo siamo chiesti. Tre mesi addietro, il parlamentare del M5S ha volto un’interrogazione alla Giannini sulla questione dei TFA sempre meno utili ai precari (non li immettono nelle G.E.) e molto utili per i bilanci degli atenei. Dal II ciclo dei TFA tarati su 22mila abilitazioni, gli atenei hanno incassato 22000X2500 euro circa, da specializzandi che il lavoro retribuito lo vedranno con il cannocchiale. Non a torto, il “Coordinamento Precari Scuola Bologna” ha scritto (giugno del 2014) di paventare: “- Che i corsi di abilitazione siano organizzati infischiandosene sia della necessità di lavorare dei partecipanti, sia del regolare funzionamento dell’Istituzione scolastica ai danni degli alunni? - Che il Miur istituisca i percorsi formativi per l’insegnamento non secondo il reale fabbisogno, ma per creare concorrenti e procurare risorse ai bilanci delle Università?. Nell’ottica del Ministero tutto ciò è normale amministrazione che serve a dispensare speranze e delusioni con le quali continua a gestire la progressiva riduzione di risorse e diritti della scuola e dei suoi lavoratori.” Ma si tratta di una polemica molto, molto vecchia, se già nella primavera del 2012 l’ASASI – organizzazione professionale di dirigenti scolastici – contestava l’eccessivo profitto economico degli atenei (circa 50 milioni) da tasche non proprio pingui, e concludeva: “La Rete Asasi ha sempre sostenuto che i tirocini formativi attivi dovevano essere gestiti dalle scuole autonome…. La prassi di consentire alle Università di espropriare competenze proprie delle scuole è deleteria e demotiva il personale degli istituti scolastici. Inviteremo le scuole a rifiutare i tirocini gratuiti, e contestiamo che le università esproprino ingenti tasse ai futuri docenti”. Siamo d’accordo. Leonardo MAIORCA