Dichiarato inammissibile il ricorso proposto presso la Suprema Corte di Cassazione dal Miur sulla giurisdizione, ora si attende la fissazione dell'udienza in Adunanza Plenaria per la definitiva decisione sul diritto all'inserimento in GaE dei docenti abilitati con Diploma Magistrale. Marcello Pacifico: prima della Plenaria che il Governo si assuma le sue responsabilità e proceda a sanare l'ingiustizia perpetrata da più di dieci anni a discapito di questa categoria di docenti abilitati.
Il ricorso, pendente presso il Consiglio di Stato e interessato della questione sulla giurisdizione, era stato proposto dagli avvocati Francesco e Giuseppe Cundari cui si sono affiancati i legali Anief Sergio Galleano e Nicola Zampieri. A questo punto, l'Adunanza Plenaria potrà fissare la data per la definitiva discussione sul diritto dei diplomati magistrale all'inserimento in Gae: è probabile che la discussione si possa svolgere a ottobre o, comunque, entro la fine dell'anno. Ricordiamo che l’esito interessa oltre 60mila diplomati con titolo magistrale prima del 2002, ma soprattutto i tanti ricorrenti (oltre 20mila), una parte di quali sono stati anche già immessi in ruolo.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): “Questa sentenza, dall'esito per noi scontato, ribadisce la questione della competenza del giudice amministrativo e, finalmente, sblocca la discussione in Adunanza Plenaria. Attendiamo, ora, con fiducia l'esito della stessa, ma chiediamo con forza al Miur che prenda in carico le proprie responsabilità nei confronti di questi docenti abilitati con diploma magistrale e che preveda una risoluzione per sanare l'ingiustizia dell'esclusione ormai decennale di personale abilitato dalle graduatorie da cui si attinge per le immissioni in ruolo. Nel frattempo, è chiaro che continueremo a tutelare tutte le inclusioni nelle GaE dei nostri ricorrenti: non possiamo accettare fughe in avanti, come quella di cui si è reso protagonista nei giorni scorsi l'ATP di Bergamo, che ha improvvisamente depennato dalle GaE oltre 270 diplomati magistrale, disponendo pure la rescissione delle avvenute immissioni in ruolo e dei contratti a tempo determinato con scadenza 31 agosto 2017. Si tratta di un atto illegittimo, contro cui stiamo intervenendo in tutte le sedi legali possibili per contrastare quello che riteniamo un vero e proprio colpo basso che viola gli ordini giudiziali del Tribunale Amministrativo. Nelle prossime ore i ricorrenti riceveranno specifiche istruzioni volte alla risoluzione immediata della problematica e, se ancora l'Amministrazione dovesse dimostrarsi ferma sulle sue decisioni, sarà il tribunale a dirimere la questione”.
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Non bastano 85 euro, recuperare inflazione indicizzata al 7%
ROMA, 30 LUG - Sugli "aumenti miseria" del rinnovo del contratto della scuola, i sindacati Anief e Udir chiedono di ascoltare il personale. Per mercoledì, infatti, l'Aran ha convocato il governo e i rappresentanti dei lavoratori per l'avvio della negoziazione, sui temi generali, in previsione dell'imminente accordo sull'Atto di indirizzo preliminare. "Sono diverse - spiega una nota - le problematiche irrisolte: il cumulo degli aumenti con il bonus 80 euro in modo che uno non escluda l'altro; la scarsità degli incrementi medi lordi, solo 85 euro, da mettere sulla parte fondamentale della retribuzione, a cui si aggiunge il salario accessorio che sarà distribuito per merito. Tra le questioni trasversali ai comparti ci sono, oltre alle risorse, i capitoli relativi a orari e ferie, nonché la revisione dei permessi e delle assenze per malattia". Secondo Marcello Pacifico (Anief-Cisal-Confedir), "prima di firmare un contratto del genere, ascoltiamo la 'base' con un referendum. Perché dai nostri calcoli servono 2.400 euro di aumenti annui per i docenti e 6 mila per i dirigenti. I nodi da sciogliere, tuttavia, non sono solo economici. Riguardano, a esempio, la perdurante discriminazione del personale precario rispetto a quello di ruolo. E perché per i neo assunti è stato introdotta, con i sindacati rappresentativi d'accordo, l'assurda abolizione del primo scatto stipendiale? E come mai non è stata ancora introdotta la figura del vicario del dirigente scolastico? È giunto poi il momento di ripristinare le 4mila dirigenze scolastiche tagliate negli ultimi dieci anni. Lo stesso vale per il taglio di 50mila Ata e la mancata assunzione di Ata. Tra il personale non docente, inoltre, grida vendetta il trattamento riservato ai Dsga: che fine ha fatto il loro concorso, più volte annunciato dal Miur, come quello dei presidi e dei Coordinatori di segreteria. Inoltre, non si può gestire un Ata come si faceva 20 anni fa, quando le loro competenze erano decisamente diverse. Come bisogna prevedere organici differenziati per il Sud e le zone disagiate. Per questi motivi diffidiamo i sindacati a non svendere la categoria per pochi denari e arretrando sui loro diritti, come la malattia, i permessi e l'orario di lavoro: rappresenterebbe un errore storico, che il personale, mai come stavolta, si legherebbe al dito". Il sindacato ha già fatto sapere, al tavolo di contrattazione sull'Atto di indirizzo, che "il minimo che il Governo possa proporre è il recupero dell'inflazione indicizzata pari al 7%, come previsto dalla Consulta. A cui si aggiunge la stessa cifra per l'aumento effettivo. Ma siccome sinora non ci sono i presupposti, ha così deciso di presentare ricorso per il recupero totale degli arretrati". (ANSA).
Per mercoledì, l’Aran ha convocato il governo e i rappresentanti dei lavoratori per l’avvio della negoziazione, sui temi generali, in previsione dell’imminente accordo sull’Atto di indirizzo preliminare. Sono diverse le problematiche irrisolte: il cumulo degli aumenti con il bonus 80 euro in modo che uno non escluda l’altro; la scarsità degli incrementi medi lordi, solo 85 euro, da mettere sulla parte fondamentale della retribuzione, a cui si aggiunge il salario accessorio che sarà distribuito per merito. Tra le questioni trasversali ai comparti ci sono, oltre alle risorse, i capitoli relativi a orari e ferie, nonché la revisione dei permessi e delle assenze per malattia.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal-Confedir): prima di firmare un contratto del genere, ascoltiamo la ‘base’ con un referendum. Perché dai nostri calcoli servono 2.400 euro di aumenti annui per i docenti e 6mila per i dirigenti. I nodi da sciogliere, tuttavia, non sono solo economici. Riguardano, ad esempio, la perdurante discriminazione del personale precario rispetto a quello di ruolo. E perché per i neo assunti è stato introdotta, con i sindacati rappresentativi d’accordo, l’assurda abolizione del primo scatto stipendiale? E come mai non è stata ancora introdotta la figura del vicario del dirigente scolastico? È giunto poi il momento di ripristinare le 4mila dirigenze scolastiche tagliate negli ultimi dieci anni. Lo stesso vale per il taglio di 50mila Ata e la mancata assunzione di Ata. Tra il personale non docente, inoltre, grida vendetta il trattamento riservato ai Dsga: che fine ha fatto il loro concorso, più volte annunciato dal Miur, come quello dei presidi e dei Coordinatori di segreteria. Inoltre, non si può gestire un Ata come si faceva 20 anni fa, quando le loro competenze erano decisamente diverse. Come bisogna prevedere organici differenziati per il Sud e le zone disagiate. Per questi motivi diffidiamo i sindacati a non svendere la categoria per pochi denari e arretrando sui loro diritti, come la malattia, i permessi e l’orario di lavoro: rappresenterebbe un errore storico, che il personale, mai come stavolta, si legherebbe al dito.
Il sindacato ha già fatto sapere, al tavolo di contrattazione sull’Atto di indirizzo, cheil minimo che il Governo possa proporre è il recupero dell’inflazione indicizzata pari al 7%, come previsto dalla Consulta. A cui si aggiunge la stessa cifra per l’aumento effettivo. Ma siccome sinora non ci sono i presupposti, ha così deciso di presentare ricorso per il recupero totale degli arretrati. Per maggiori informazioni: ricorso Anief; ricorso Udir.
Roma, 29 lug. (askanews) - "Fa bene il Ministero dell'Istruzione a prendere in considerazione la proposta giunta in questi giorni, a furor di popolo, di trasformare in modo automatico e gratuitamente gli anni spesi per laurearsi in contributi previdenziali: è un'iniziativa che andrebbe incontro alle esigenze di tutti i lavoratori, non solo giovani, costretti già oggi a lasciare il lavoro alle soglie dei 70 anni". A dichiararlo è Marcello Pacifico, segretario confederale Cisal, a seguito del successo ottenuto dalla campagna mediatica "Riscatta la laurea", su cui pure il Miur ha detto di essere disponibile a confrontarsi perché "il tema del riscatto della laurea è serio e importante" e occorre quindi "approfondire le proposte avanzate e a farlo, nelle prossime settimane, per le parti di propria competenza".
"Chiedere a un dipendente di riscattare la laurea, con gli stipendi praticamente fermi e piegati dal peso dell'inflazione, è una procedura che oggi non ha più alcun senso - continua il sindacalista -: il riscatto in cambio di diverse decine di migliaia di euro è un vero ricatto. Una legge che diventa persino autolesionista quando si ha a che fare con professioni a rischio burnout: riteniamo, pertanto, che i 4 o 5 anni di studi all'Università debbano essere considerati in modo automatico come periodi di vero e proprio lavoro. Per chi lavora nella scuola, tra l'altro, andrebbero conteggiati pure i periodi di formazione Ssis, Tfa e Pas, che possono arrivare anche a due anni".
"Ne consegue - prosegue il sindacalista Cisal - che un docente, ma anche un lavoratore Ata o gli stessi presidi, oggi costretti ad andare in pensione a 67 anni, potrebbe anticipare di 5-6 anni.
Lasciando l'insegnamento, di fatto, alla stessa età dei colleghi che andavano in pensione prima della riforma Monti-Fornero.
Stiamo parlando di dipendenti che svolgono, tra l'altro, un lavoro particolarmente stressante che anche le ultime indagini sulle varie categorie della pubblica amministrazione indicano ad alto rischio di insorgenza di malattie professionali, che si presentano spesso proprio a fine carriera".
"Paradossalmente - conclude Pacifico - uscire quindi prima dal lavoro, anche grazie al riscatto gratuito della laurea e degli anni di specializzazione all'insegnamento, porterebbe allo Stato dei vantaggi non solo sociali, ma anche economici. Perché lo stesso Stato non si dovrebbe più fare carico delle cure mediche di milioni di suoi cittadini, vittime di patologie perché è stato negato loro il diritto di lasciare il lavoro al momento giusto".
ROMA, 29 LUG - Da uno studio approfondito svolto sulla base del numero dei posti vacanti e disponibili presenti in ogni provincia/regione, suddivisi per tipo di posto, classe di concorso e risultanti al sistema informativo al termine delle operazioni di mobilità emerge che le regioni settentrionali avranno a disposizione complessivamente il 58% dei 52 mila posti per le immissioni in ruolo da svolgere entro il prossimo 14 agosto. Al resto della Penisola e alle Isole andranno le 'briciole'". Lo rende noto in un comunicato l'Anief. "Il sindacato non contesta la ripartizione oggettiva del contingente "ma il fatto che non siano stati adottati altri parametri. Sconfessando, in questo modo, gli accordi presi ai tavoli di confronto con le organizzazioni sindacali, che indicavano la necessità di attuare delle assunzioni 'intelligenti' che andassero oltre al mero conteggio del numero di alunni e alla conseguente formazione delle cattedre da assegnare a ogni scuola. Il calcolo sulla quantità di assunzioni a tempo indeterminato, quindi, non doveva essere solo ragionieristico". "Abbiamo fatto presente in tutte le sedi possibili, anche parlamentari - afferma Marcello Pacifico, di Anief-Cisal - che nell'assegnare le immissioni in ruolo occorre per forza di cose tenere conto degli abbandoni scolastici, dei flussi migratori, dei rischi connessi alla povertà socio-culturale, della presenza di alunni difficili. Oltre che situazioni oggettive a livello logistico-geografico e legate alla sicurezza. Viene da chiedersi a questo proposito - conclude - come si fa a relegare Abruzzo e Umbria agli ultimissimi posti delle regioni per numero di assunti". (ANSA).
Da uno studio approfondito - svolto sulla base del numero dei posti vacanti e disponibili presenti in ogni provincia/regione, suddivisi per tipo di posto, classe di concorso e risultanti al sistema informativo al termine delle operazioni di mobilità – ne consegue che le regioni settentrionali avranno a disposizione complessivamente il 58% dei 52 mila posti per le immissioni in ruolo da svolgere entro il prossimo 14 agosto. Al resto della Penisola e alle Isole andranno le ‘briciole’. Il sindacato non contesta la ripartizione oggettiva del contingente, ma il fatto che non siano stati adottati altri parametri. Sconfessando, in questo modo, gli accordi presi ai tavoli di confronto con le organizzazioni sindacali, che indicavano la necessità di attuare delle assunzioni ‘intelligenti’ che andassero oltre al mero conteggio del numero di alunni e alla conseguente formazione delle cattedre da assegnare a ogni scuola. Il calcolo sulla quantità di assunzioni a tempo indeterminato, quindi, non doveva essere solo ragionieristico.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Abbiamo fatto presente in tutte le sedi possibili, anche parlamentari, che nell’assegnare le immissioni in ruolo occorre per forza di cose tenere conto degli abbandoni scolastici, dei flussi migratori, dei rischi connessi alla povertà socio-culturale, della presenza di alunni difficili. Oltre che situazioni oggettive a livello logistico-geografico e legate alla sicurezza. Viene da chiedersi, a questo proposito, come si fa a relegare Abruzzo e Umbria agli ultimissimi posti delle regioni per numero di assunti. A complicare il quadro è il fatto che per le assunzioni a titolo definitivo, come per i trasferimenti, non si è tenuto conto dei tanti posti in organico di fatto ma in realtà vacanti e disponibili: quelle cattedre, quindi, andavano considerate utili per l’organico di diritto e quindi per le assunzioni. Serviva l’adozione di flessibilità e di organici differenziati. Invece, ha prevalso la fredda logica delle caselle vuote e piene.
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