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“La controversia (di carattere seriale) ha ad oggetto il riconoscimento, in favore della parte ricorrente, del bonus-carta docente di cui all’art. 1, co. 121, Legge 107/2015, con riferimento agli anni scolastici 2019/20, 2020/21, 2021/22 e 2022/23, nei quali la stessa ha prestato servizio a tempo determinato alle dipendenze del convenuto Ministero”: iniziano in questo modo le motivazioni che hanno portato il Tribunale del lavoro di Vicenza ad accordare 2.000 euro, “con maggiorazione di interessi come per legge o rivalutazione monetaria su base Istat con la decorrenza di cui alla parte motiva della presente sentenza fino al saldo”, ad un insegnante che ha svolto quattro supplenze annuali tra il 2019 e il 2023.
Si è da poco concluso l’incontro al MIM con il Capo di Gabinetto prof. Giuseppe Recinto, dopo la richiesta urgente sollecitata dalle OO.SS firmatarie avente ad oggetto l’avvio delle procedure sulle posizioni economiche ed i passaggi verticali da Collaboratori scolastici a Operatori ed infine il confronto sull’utilizzo delle economie discendenti dalla mancata attivazione immediata degli istituti contrattuali.
Quelli della scuola rimangono degli stipendi molto al di sotto della media Ocse e anche inferiori rispetto ai compensi ricevuti nel pubblico impiego italiano: docenti e personale Ata ricevono, rispetto alla media dei colleghi Ocse e della nostra PA, circa 5.000 euro in meno l’anno. A rendere ancora più insopportabile il gap è l’avanzare dell’inflazione, che solo nell’ultimo biennio si è incrementata di oltre il 15%: su questo punto, la Legge di Bilancio 2025 prevede lo stanziamento di risorse limitate che non supereranno il 6%, un risultato superiore agli ultimi rinnovi contrattuali ma molto lontano dall’esigenza di andare a coprire almeno l’inflazione accumulata negli ultimi 24 mesi.
Questo perché non contiene misure di prevenzione (doppio canale di reclutamento chiesto da Anief) dell'abuso dei contratti a termine che ha fatto aumentare del 200% il numero dei precari né ha introdotto il principio di non discriminazione sulla parità di trattamento economica e giuridica tra personale di ruolo e con contratto a termine che svolge lo stesso lavoro, come richiede la direttiva europea (70) del 1999.
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