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La sentenza della Corte Costituzionale, che ha reputato incostituzionale far collaborare i dipendenti pubblici all’accantonamento del Tfr, è stata sovvertita da dl n.185: al personale della scuola non andranno nemmeno gli arretrati. I sindacati rimangono senza parole. L’Anief fa notare che nel decreto si citano 41 milioni di euro, una cifra risibile: il Governo avrebbe sbagliato i conti “seguendo una vecchia relazione tecnica”.

Diventa sempre più ingarbugliata la vicenda del 2,5% di trattenuta per il fondo di previdenza dell'INPS ex INPDAP, sull’80% dello stipendio: come rilevato da questo giornale on line, attraverso il Decreto legge n. 185 del 29 ottobre 2012, il Governo è voluto correre ai ripari introducendo una norma che, se approvata definitivamente, spazzerebbe via il pericolo di restituzione ai pubblici dipendenti di una quota vicina ai 4 miliardi di euro. Si tratta di quella fetta di stipendio sottratta negli ultimi 22 mesi che la Corte Costituzionale, attraverso la sentenza 223 dell’8 ottobre scorso, ha di fatto dichiarato incostituzionale, “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del dPR 1032/73”.

Per i ministri del Governo Monti, però, la necessità di “salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica” prevale sui diritti dei lavoratori: pertanto, sempre attraverso il dl 185/2012, “non si provvede al recupero a carico del dipendente delle eventuali somme già erogate in eccedenza”. Ma non solo: “i processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base contributiva utile prevista dall'articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall'articolo 37 del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, si estinguono di diritto; l'estinzione è dichiarata con decreto, anche d'ufficio; le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti”.

Insomma, per i quasi tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, il 30 per cento dei quali in forza alla scuola, non sembrerebbero esserci più molte speranze. Ma viene ora da chiedersi perché il Governo, appena quattro giorni fa, abbia emesso un comunicato rassicurante nel quale sosteneva che “Il Consiglio ha approvato un decreto legge che, in attuazione della recente sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del personale interessato dalla pronuncia. Per quanto riguarda le altre parti della sentenza della Consulta, il Consiglio ha stabilito che si procederà in via amministrativa attraverso un DPCM ai sensi della legislazione vigente”.

La pubblicazione del decreto legge ha lasciato basiti i lavoratori interessati. Ma anche i sindacati. Ad iniziare dalla Flc-Cgil, che dopo aver impugnato l’applicazione della trattenuta, qualche giorno fa sembrava cantare vittoria. Definendo il dl approvato dal governo come “ilrisultato della iniziativa della nostra organizzazione che da anni si batte anche nelle sedi dei tribunali per affermare il valore delle regole e della legalità”. Il sindacato guidato da Mimmo Pantaleo, rimaneva comunque in attesa di prendere visione di “un provvedimento serio che restituisca ai lavoratori - anche a quelli che per aderire ad Espero hanno trasformato in TFR parte del loro TFS - quanto gli è stato ingiustamente decurtato dallo stipendio sin dal 1 gennaio 2011”. Sinora, a poche ore dalla pubblicazione del decreto, dai lavoratori della conoscenza Cgil non sono pervenute repliche.

Un comunicato decisamente anonimo è quello emesso dalla Cisl Scuola. Che si è limitata a fotografare l’accaduto, ricordando che se dal una parte “si ripristina la modalità di calcolo del TFS precedente il decreto-legge 78/2010, modalità più favorevole rispetto a quella introdotta dal decreto stesso”, dall’altra viene “rilegittimata la trattenuta del 2,5% a carico del dipendente pubblico. Non ci sarà, pertanto, alcuna restituzione delle somme trattenute nel 2011 e nel 2012. Per quanto riguarda le cause pendenti, ne consegue - conclude la Cisl - la loro estinzione di diritto”.

Anche la Uil Scuola, dal canto suo si sofferma sul fatto che il nuovo decreto legge “è subito attuativo, ripristina le modalità di calcolo del TFS facendo venire meno la materia del contendere, determina l’estinzione di tutti i processi pendenti (ad eccezione di eventuali sentenze “passate in giudicato”), priva di effetti le sentenze emesse. Per tutti coloro che, nel frattempo, hanno avuto la liquidazione della buonuscita in base alle disposizioni dell’art. 12, comma 10, della Legge sopra citata, si procederà nell’arco di 1 anno alla riliquidazione della stessa e, in ogni caso, non si provvederà al recupero delle eventuali somme già erogate in eccedenza”. Dalle organizzazioni di Francesco Scrima e Massimo Di Menna non giunge, di fatto, alcun commento negativo sul ripristino del 2,5% per l’accantonamento del Tfr e sul fatto che gli arretrati non verranno corrisposti.

Al momento, l’unico sindacato che si lascia subito andare a giudizi severi sulla soluzione trovata dall’esecutivo di Monti sul ripristino del 2,5% è l’Anief. Che oltre a sposare la teoria dei giudici e a minacciare un “nuovo contenzioso” con l’amministrazione, si sofferma sul fatto che “i conti non tornano”, poiché il Governo li avrebbe sbagliati “seguendo una vecchia relazione tecnica”. L’Anief fa notare che sono “previsti 41 milioni per riportare la disciplina alle norme previgenti la legge 122/2010, ma non bastano a coprire le sole riliquidazioni dei precari della scuola”. Mentre “per ricostituire la quota 9,60% per i dipendenti della P. A. prevista dalla legge 75/1980 e ricordata dalla Consulta” servirebbero “diversi miliardi”.

I conteggi sembrano dare ragione al sindacato degli educatori in formazione: in base a quanto sostengono i giudici, le amministrazioni dello Stato, in quanto datori di lavoro, dovrebbero infatti versare la quota rimanente al netto della trattenuta, il 7,10% sull’80% della retribuzione come quantizzato al 31 dicembre 2010 rispetto al 4,41% pagato sull’intera retribuzione dal 1 gennaio 2011 (che dovrebbe corrispondere al 4.91% sull’80%). E l’applicazione di questa ritenuta, da quasi due anni corrisposta non legittimamente in busta paga, non corrisponde di certo solo a qualche milione di euro. Visto che si tratta di arretrati che variano tra quale centinaio ad oltre mille euro, da assegnare a 3,4 milioni di dipendenti, gli arretrati ammontano necessariamente a miliardi di euro.

Per l’Anief la “svista” del Governo si spiegherebbe in un solo modo: il Governo ha confermato i numeri della relazione tecnica allegata dal ministro Tremonti al D. L. 78 del 31 maggio 2010, che prevedeva nel passaggio alla nuova norma un risparmio di 1 milione di euro per il 2012 e di 7 milioni di euro per il 2013, aggiungendone a regime 33 milioni. “Quanto sopra potrebbe anche essere considerato – prosegue il sindacato autonomo - un ragionamento di “finanza creativa”, se l’attuale decreto legge non prevedesse anche di riliquidare, alla luce delle norme previgenti alla L. 122/2010, i TFR/TFS già liquidati”.

A questo punto, per l’organizzazione di di Marcello Pacifico la matassa può essere ancora sciolta dagli “uffici legislativi del Parlamento”, che nelle prossime settimane “saranno chiamati a un’ardua verifica dei conti pubblici per evitare un buco all’erario”. Per l’Anief, che in attesa degli eventi ha sospeso le diffide già predisposte, comunque anche le modifiche parlamentari al decreto non salverebbero il Miur dal “pagare già la metà delle nuove spese, fino a 20 milioni su 41 dal fondo di riserva”.

Resta ora da capire chi ha sbagliato. Il Governo dei tecnici, costretti a decisioni difficili e al limite della fattibilità, pur di non mandare in sofferenza le casse dello Stato? Oppure i giudici che, sulla base delle norme vigenti, hanno esaminato il caso nelle aule dei tribunali?

Fonte: Tecnica della Scuola

 

"Il Governo, per non restituire la quota del 2,5% trattenuta ai dipendenti pubblici, riporta la norma alla disciplina previgente ma sembra dimenticare che le amministrazioni dello Stato, in quanto datori di lavoro, dovrebbero versare – a detta dei giudici - la quota rimanente al netto della trattenuta, il 7,10% sull'80% della retribuzione come quantizzato al 31 dicembre 2010 rispetto al 4,41% pagato sull'intera retribuzione dal 1 gennaio 2011 (che dovrebbe corrispondere al 4.91% sull'80%)". Lo sottolinea l'Anief in una nota, in merito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl 185/2012.

"L'intera questione, infatti, dal punto di vista normativo è stata ricostruita dai giudici del Tar Calabria che, con la sentenza n. 53/2012, hanno condannato l'amministrazione alla restituzione della trattenuta del 2,5% e al pagamento della quota dovuta in quanto datore di lavoro, prima ancora della sentenza n. 223/12 della Corte costituzionale - prosegue l'Anief -. Ora, se con decreto legge il Governo ha annullato i processi in corso riportando la liquidazione e il calcolo per la costituzione del TFR/TFS allo status quo ante, è evidente che per i 3.000.000 di dipendenti pubblici ogni amministrazione dovrà versare-accantonare il 2,69% in più rispetto a prima sia per il biennio appena trascorso che per il futuro. Ma i conti sembrano negare questa tesi sostenuta dalla magistratura visto che il Governo ha confermato i numeri della relazione tecnica allegata dal ministro Tremonti al D. L. 78 del 31 maggio 2010, che prevedeva nel passaggio alla nuova norma un risparmio di 1 milione di euro per il 2012 e di 7 milioni di euro per il 2013, aggiungendone a regime 33 milioni".

"Quanto sopra potrebbe anche essere considerato un ragionamento di 'finanza creativa', se l'attuale decreto legge non prevedesse anche di riliquidare, alla luce delle norme previgenti alla L. 122/2010, i TFR/TFS già liquidati - sottolinea il sindacato -. Come pagare, infatti, i soli 50 milioni da rivalutare per i 100.000 precari della Scuola che hanno lavorato negli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012, considerato che ognuno di essi aveva diritto con le vecchie regole a un TFR di quasi 1.000 euro ad anno, che negli ultimi due anni è stato decurtato di un quarto? Gli uffici legislativi del Parlamento saranno chiamati a un'ardua verifica dei conti pubblici per evitare un buco all'erario".

Anief, che nei mesi scorsi aveva fornito un modello di diffida per recuperare la trattenuta del 2,5% del TFR dal 1 gennaio 2011, seguirà con attenzione il dibattito parlamentare "al cui termine darà precise istruzioni ai lavoratori per il ripristino dei diritti maturati, se necessario, attraverso un nuovo contenzioso - conclude -. Di certo, il ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca dovrà pagare già la metà delle nuove spese, fino a 20 milioni su 41 dal fondo di riserva".

Fonte: Italpress

 

Tutti gli studi, nazionali ed internazionali, convogliano su un dato inequivocabile: tra i paesi economicamente e socialmente più avanzati, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati.

L’ultima indicazione giunge da un’elaborazione delle tabelle, aggiornate al 2010, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: rispetto alle retribuzioni dei 35 paesi dell’area Ocse che hanno fornito i dati, l’Italia si colloca al 24° posto su 35.

Se si analizza il dato per settori scolastici, pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari). Non va meglio per i docenti delle medie, per i quali se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza). Ma i più penalizzati in Italia rimangono i maestri dalla scuola primaria, che hanno un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrisponde a quasi 5.000 dollari.

Per non parlare del fatto che lo stipendio dei maestri italiani nell’ultimo decennio è aumentato del 5,2%, a fronte di una media del +22,5%. E questo sebbene alla primaria il numero di ore raggiunga la considerevole quota di 770, in linea con quella degli altri paesi dell’area.

“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola – confermano che, a dispetto di quanto vogliono farci credere il Governo e il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse ‘Education at a Glance’ è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila”. Per non parlare del fatto che in Italia non esiste una carriera dei docenti: “dal momento dell’accesso alla professione, i nostri insegnanti – ricorda Pacifico - si ritrovano in busta paga 28.000 euro, una cifra abbastanza in linea con i colleghi europei. Ma nel corso dell’ultimo anno di servizio, quello precedente alla pensione, si forma un gap incredibile: tra i 7mila e gli 8mila euro”.

Il sindacalista di Anief e Confedir ritiene che non c’è altro tempo a perdere: “questa perdita secca dei salari influisce molto sulla motivazione del corpo insegnante, che accede al ruolo dopo anni di sfruttamento da precario e che di fatto non ha una prospettiva di carriera. Per cambiare rotta - conclude Pacifico - bisogna assolutamente tornare ad alzare l’asticella degli investimenti delle spesa pubblica nel settore dell’istruzione, sbloccare gli stipendi fermi al 2009, ridefinire gli organici e attuare un piano di assunzioni su tutti i posti vacanti”.

Fonte: AgenParl

 

Commento Anief sulle retribuzioni degli insegnanti: risultano tra i meno pagati dell'area OCSE e analisi dei dati per ordine di scuola.

Docenti scuola secondaria II grado: pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari).

Docenti scuola secondaria I grado: se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza).

Docenti scuola primaria: sono i più penalizzati, con un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrisponde a quasi 5.000 dollari.

“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola – confermano che, a dispetto di quanto vogliono farci credere il Governo e il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse ‘Education at a Glance’ è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila”.

Fonte: Orizzonte Scuola

 

Il concorso bandito dal ministro Profumo, oltre ad aver sollevato una marea di giustificate critiche e di perplessità, ripropone una schema ormai consueto delle nostre istituzioni scolastiche: sempre di più infatti il destino della scuola e degli insegnanti sarà deciso nelle aule dei tribunali che, nelle prossime settimane, saranno chiamati ad esprimersi sui ricorsi presentati dagli "esclusi", a loro avviso in modo ingiustificato, da questo concorso.

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