Dopo il grandissimo successo del corso sul nuovo PEI in ICF a cura della dott.ssa Chiocca e del Dott. Ciraci, da settembre avvieremo un nuovo percorso formativo, rivolto a docenti specializzati sul sostegno di ruolo, docenti a tempo determinato privi del titolo di specializzazione e docenti curricolari
Le prossime saranno ore decisive per l’emanazione del Decreto Covid: a breve si svolgeranno la cabina di regia dell’emergenza Covid e il Consiglio dei ministri. Le interlocuzioni e il lavoro sul nuovo decreto sarebbero ancora in corso, per valutare anche le nuove disposizioni sulla formulazione del green pass, che per viaggiare o partecipare a particolari eventi necessiterà della doppia dose di vaccino anti Covi19. Il decreto sarà approvato subito per entrare in vigore il 26 luglio. Invece, la norma che regola l’eventuale obbligo vaccinale per la scuola non sarà inserita nel prossimo decreto legge: determinante sarà il parere del Cts. Anief rileva, tuttavia, che il Comitato Tecnico Scientifico si è già espresso dieci giorni fa: nel documento prodotto, gli esperti nominati dal Governo indicano sostanzialmente l’importanza di vaccinare il personale e gli studenti sopra i 12 anni, ma non l’obbligo, più l’importanza di “mantenere il distanziamento fisico tra le persone”.
“Il Cts è stato già chiarissimo – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – e non comprendiamo cosa altro debba indicare visto che sono passati pochi giorni da quel giudizio espresso sul ritorno a scuola: le condizioni epidemiologiche sono in via di peggioramento e siccome il Comitato tecnico scientifico non può di certo imporre le vaccinazioni obbligatorie, l’unica soluzione da adottare rimane quella di distanziare alunni e docenti. Per farlo, non ci stancheremo mai di ricordarlo, non servono regolamenti o pareri: occorre introdurre altre sedi scolastiche, andando a recuperare quelle smantellate negli ultimi 13 anni per via di una politica tutta incentrata sulla spending review sulla pelle degli alunni. I quali sono stati ammassati senza ritegno. È giusto di oggi la notizia di 51 alunni iscritti in una sola classe di un istituto romano: vogliamo sperare che si tratti di una boutade, perché rischiamo di diventare la barzelletta d’Europa. Mentre gli altri Paesi regolarizzano il numero di allievi e introducono limiti per evitare rischi pandemici e per migliorare la didattica, noi andiamo a picco negli apprendimenti, come registrato la scorsa settimana dalle prove Invalsi 2021, e perseveriamo non mantenere dei parametri di formazione delle classi da terzo mondo”.
A margine nella riunione tra Ministero e sindacati rappresentativi sul contingente delle nomine in ruolo e le procedure informatizzate per la fase straordinaria di immissioni utilizzando le Graduatorie Provinciali delle Supplenze, l'Anief ha esternato contrarietà alla decisione Ministeriale di riconoscere l'abilitazione all'insegnamento e il conseguente diritto all'inserimento negli elenchi aggiuntivi di I Fascia solo ai candidati del concorso straordinario che nell'a.s. 2020/2021 abbiano stipulato un contratto almeno al 30 giugno nel sistema nazionale di istruzione. Marcello Pacifico (Anief): “Con l'intervento del decreto Sostegni Bis sulla norma che regolamentava il concorso straordinario prevedendo la semplificazione della procedura di riconoscimento dell'abilitazione e, di fatto eliminando la prova disciplinare, il Ministero ben avrebbe potuto riconoscere a tutti gli i candidati la relativa abilitazione. Non dimentichiamo che sono docenti che da anni lavorano nella scuola come precari. Valuteremo le giuste azioni legali”.
Le pensioni medie degli italiani non sono tra le più floride. Soprattutto quelle delle donne, che hanno in alto numero dei trascorsi lavorativi meno regolari e dei compensi più bassi. L’Inps oggi ci ha detto che il gap rispetto agli uomini è notevole: in media quasi 500 euro al mese, per l’esattezza 498 euro. Il dato emerge dal Monitoraggio sui flussi di pensionamento nei primi sei mesi del 2021. Parliamo di pensioni lorde modeste: di poco più di 1.400 euro per gli uomini e di 900 euro per le donne. I conteggi riguardano da vicino il mondo della scuola, dove, tra personale di ruolo e precario, operano a vario titolo quasi un milione e mezzo di dipendenti: circa un milione e 200mila, più dell’80 per cento, sono donne, che nella metà dei casi hanno oltre 55 anni e quindi cominciano ad entrare nell’orbita del pensionamento.
SecondoMarcello Pacifico, presidente nazionale Anief siamo all’assurdo: “Le donne vengono penalizzate durante la vita professionale e anche da pensionate. Lo Stato non fa nulla per venire loro incontro. Nemmeno una forma di anticipo pensionistico degna di questo nome: basta dire che dal 2022, a parte l’Ape sociale rivolta a poche categorie, l’unica modalità per lasciare il servizio potrebbe essere quella di Opzione Donna, che attraverso un meccanismo ‘a perdere’ taglia di netto fino al 30-40% dell’assegno, permettendo quindi di andare in pensione ma in cambio di un costo per la lavoratrice davvero salato. Come sindacato continuiamo a dire che è offensivo lavorare una vita, in condizioni precarie, stipendi ricevuto a singhiozzo, di importi fortemente al di sotto delle medie europee e Ocse, per poi ritrovarsi con una pensione da fame. La storia delle donne che lavorano a scuola è emblematica: arrivano all’assunzione in alto numero dopo essersi formate, sottoposte a più valutazioni e decenni di supplenze, si spostano a centinaia di chilometri e devono rimanervi per un quinquennio pur in presenza di cattedre libere vicino casa, con il calcolo degli anni di precariato valutati in parte, compensi dimezzati rispetti alle colleghe tedesche. Da qualche tempo, sono pure costrette a curarsi per le patologie figlie del burnout accertato da tutti meno che dallo Stato. Di recente, il Cnel ha ricordato che non c’è per loro alcuna assistenza diretta. Adesso l’Inps dice che quando lasciano la scuola, a 67 anni, ricevono la pensione sociale. Non abbiamo altre parole: ‘vergogna’”.
Mentre la politica si continua ad occupare di questioni scolastiche marginali, quelle rilevanti continuano a rimanere nel dimenticatoio: non si opera per il riconoscimento delle malattie derivanti dalla sindrome di burnout, non si adegua lo stipendio agli effettivi rischi che comporta la professione, non si considerano forme di pre-pensionamento che permetterebbero a tanti docenti e Ata di evitare di ammalarsi dopo i 60 anni. Eppure il fenomeno è noto da tempo. Ed è anche normato: lo stress da lavoro correlato è previsto dal decreto legislativo n. 81, del 9 aprile 2008, che ha dato attuazione all’articolo 1 della Legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme vigenti prevedono quindi da tempo che chi ha alle dipendenze dei lavoratori è tenuto a controllare e prevenire le malattie professionali. Ma nel migliore dei casi negli ultimi 13 anni nelle scuole non si è mai andati oltre alla somministrazione di questionari per registrare lo stato di fatto, anche perché lo Stato si è ben guardato dal finanziare l’attuazione delle norme. E intanto il personale si ammala.
“La verità – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che il Covid19 ha reso ancora più evidente questa tendenza: operare in condizioni ambientali difficili, spendersi e studiare in continuazione metodologie didattiche efficace e da personalizzare in base alle esigenze dei singoli alunni, svolgere contemporaneamente didattica a distanza e in presenza, lavorare a centinaia di chilometri da casa per anni senza possibilità di tornare ad abbracciare figli e parenti, hanno contribuito ad innalzare i già elevati rischi di incorrere in patologie da burnout. Tutto questo, però, non viene riconosciuto. Né contrattualmente, né nello stipendio, nel quale andrebbe collocata una specifica indennità di rischio biologico e di burnout. Così ci ritroviamo con compensi che non coprono nemmeno il costo della vita e dopo 35 anni di servizio gli incrementi sono maggiori pure in Romania, Polonia e Slovenia. E neppure si affronta il problema a livello previdenziale, visto che sta andando in soffitta Quota 100 e non si parla più di una formula di pre-pensionamento che permetta, come noi chiediamo, di lasciare nella scuola il lavoro a 62 anni conservando per intero il montante previdenziale fino a quel momento accumulato”.