Illegittimo il decreto legge del Governo che dovrà essere impugnato davanti alla Consulta. Con la collaborazione dei legali Anief in convenzione con l’associazione Radamante, parte il contenzioso per sbloccare il recupero delle somme spettanti dopo la sentenza della Consulta.
Lo ha detto Marcello Pacifico – presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal –, nel giorno del convegno Confedir “Rinnovi contrattuali e previdenza”, svolto oggi pomeriggio a Roma. Il Governo intende restituire solo una piccola parte dei soldi non corrisposti, una ridicola una tantum, relativa al 2012/2013, con una incidenza che varia dal 40% al 10% degli aumenti bloccati indicizzati all’inflazione, dimenticando pure gli assegni superiori ai 3.000 euro. Dai calcoli del sindacato risulta che gli arretrati spettanti ai lavoratori arrivano a superare i 5mila euro. E la perdita a regime i 2mila euro annui.
Il sistema di calcolo, atteso da 20 anni e che nel 2016 sarà accessibile a 23 milioni e mezzo di dipendenti, permetterà al lavoratore di individuare il proprio conto contributivo. Il problema è che la “stretta” su requisiti di accesso e assegno di quiescenza produrrà effetti devastanti: anche chi lascerà con 40 anni di lavoro, nella maggioranza dei casi andrà in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio. La beffa è dovuta al fatto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale decisamente più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici precedenti. Negli altri Paesi, però, si continuano a percepire pensioni dignitose.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non dimentichiamo che circa quasi tre milioni di dipendenti statali si ritrovano con gli stipendi bloccati da sei anni e così sarà fino al 2019. E che quelli della scuola, dopo un fermo di stipendio decennale, riceveranno appena 5 euro come indennità. Intanto, i ‘Quota 96’ rimangono bloccati in servizio: ora serve anche un censimento. Ci rendiamo conto che il rispetto per il lavoratore e per la sua dignità umana è ormai sceso sotto il livello di guardia?
Il ddl Damiano, al vaglio in questi giorni della Commissione Lavoro alla Camera, prevede flessibilità in uscita permettendo il pensionamento già a 62 anni con 35 anni di contributi e penalizzazioni dell’8% (una sorta di quota 97) sull’assegno pensionistico, già ridotto all’osso: per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese. Nel comparto istruzione la situazione è da allarme rosso: turn over ridotto ai minimi termini, pur con l’età media dei docenti ormai più alta di tutti.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): da quota 96 si sta andando verso quota 120 e forse più. È inammissibile, ancora oggi in Germania si ha diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza riduzioni. E non dimentichiamo che in Italia si continua a violare il principio della parità retributiva, anche perché lo Stato paga soltanto contributi figurativi, mentre trattiene una quota nelle buste paga per corrispondere le pensioni. Noi, però, non ci stiamo.
Per sanare il problema non bastano le rassicurazioni fornite nelle ultime ore dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, secondo cui l'operazione di confluenza dell'Inpdap nell'Inps sta avvenendo senza problemi perché “la previdenza legata ai dipendenti pubblici è a carico dello Stato”. Lo stesso neo presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha ammesso che appena il suo ruolo diventerà operativo si metterà alla ricerca di fondi per salvare esodati e Quota 96 della scuola.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non si può pensare di mandare in pensione i giovani con meno del 50 per cento dell’ultimo stipendio: una busta paga, tra l’altro, già penalizzata, nel caso degli statali, da lunghi blocchi contrattuali. Lo Stato si deve mettere in testa di finanziare l’ente previdenziale con soldi veri, non più figurativi. Non si può pensare di fare cassa con chi ha lavorato tutta una vita.