Lo Stato può rimanere indifferente davanti ad un dipendente pubblico che chiede una sede di lavoro vicina ai genitori anziani entrambi con disabilità? Evidentemente no. Ma se l'atteggiamento è quello, allora è bene che intervenga il giudice. È quello che è accaduto con la Corte di Appello di Firenze, che ha accolto il ricorso di una docente della scuola superiore, specializzata su sostegno, a cui era stata negata la mobilità interprovinciale in Sicilia: sebbene fosse “referente unica di entrambi i genitori, portatori di handicap con connotazione di gravità” e vi fossero i posti liberi dove collocarla, l’insegnante s’è vista negare il trasferimento disapplicando dunque la “precedenza nei trasferimenti interprovinciali per l’assistenza dei genitori con disabilità grave e residenti in una diversa provincia”.
“A prevedere questa facoltà – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - è la Legge 104 del 5 febbraio 1992: una norma ‘regina’ nel campo dei diritti dei lavoratori più deboli e bisognosi, che domani compie trent’anni, ma che continua ad essere sistematicamente calpestata. Come nel caso della collega che per tornare in Sicilia ed assistere i genitori bisognosi del suo apporto, si è vista negare la sua applicazione, anche se le motivazioni per applicarla c’erano tutte. Il vero dramma è che non è stata una svista o di un’eccezione. Purtroppo, casi di questo genere, con negazione di diritti sacrosanti, sono la regola. Noi, comunque, non demordiamo e continuiamo ad ostacolare tale modo di procedere che non fa certo onere – conclude Pacifico - a chi gestisce il personale al servizio dello Stato”.
Anche quest’anno, Anief avvia la campagna “Sostegno: non un'ora di meno”: centinaia di famiglie ogni anno ricorrono gratuitamente per ottenere il corretto numero di ore di sostegno didattico per gli alunni con disabilità e il risarcimento del danno.
Nella sentenza, la Corte d'appello di Firenze spiega che risulta "necessario concludere che alla procedura di mobilità di cui è causa debba applicarsi il disposto dell’art. 33 della L. 104/1992. E a maggior ragione si impone una simile conclusione quanto all’art. 601 del D.Lgs. 297/1994, che alla mobilità fa espresso riferimento. D’altra parte, nella materia di interesse, non [può] prescindersi dalla disciplina dettata dalla Direttiva 78/2000, che “stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” (pacificamente applicabile al rapporto di impiego pubblico, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 3), che all’art. 5 si occupa anche della disabilità, essendo il giudice nazionale tenuto all’interpretazione conforme del diritto interno”.
Per i giudici è certo che “le garanzie approntate dal diritto dell’Unione al lavoratore disabile si applichino anche nei casi in cui si faccia astrattamente questioni di discriminazione associata, in cui cioè il lavoratore o la lavoratrice non sia immediatamente portatore del fattore di protezione (nella specie l’handicap), ma assuma (e provi) comunque un trattamento differenziale in ragione della sua relazione con il portatore del fattore, come nel caso dell’handicap potrebbe tipicamente accadere al care giver, il soggetto che si prende cura del disabile, che è ciò che qui specificamente interessa”.
Sempre la Corte toscana ha rilevato che “una tale condizione rientra infatti sicuramente nell’ambito di applicazione delle tutele antidiscriminatorie come ha chiarito la Corte di Giustizia nella sentenza CgUe, 17 luglio 2008, C-303/06 Coleman, secondo cui “il divieto di discriminazione diretta [...] non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili. Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta”.
È tutto dire che nelle conclusioni della sentenza, il giudice ha ordinato che l’amministrazione dovrà “consentire al familiare che presta l’assistenza di essere vicino al soggetto disabile”. Evitando in questo modo di creare i presupposti per determinare “discriminazione tra i soggetti che prestano l’assistenza” in via esclusiva. Per questi motivi, la Corte di Appello di Firenze ha concesso “il trasferimento, dall’anno scolastico 2019/2020” alla docente che ha presentato ricorso, chiedendo anche all’amministrazione che la collocasse “in una delle sedi di sua preferenza degli Ambiti territoriali” prescelti.
PER APPROFONDIMENTI:
Docenti precari, il Ministero vuole riaprire le Gps nel 2023! Anief: è irragionevole