Il giovane sindacato partecipa al sit-in e presenta la piattaforma per trovare una via d’uscita sui “nodi” reclutamento, apprendistato e carriera: assunzioni sui 100mila posti vacanti; sblocco del contratto per allineare le buste paga di base al costo dell'inflazione; obbligo formativo a 18 anni; riforma dell'apprendistato. Marcello Pacifico (presidente Anief): ecco le vere priorità della scuola, non quelle indicate, seppure a titolo personale, dal ministro e da sottosegretari di viale Trastevere, su aumento di orario di lavoro per docenti e Ata e abolizione delle graduatorie di istituto. Bisogna agire sulle urgenze, non alimentare tensioni.
La rivista "Der Spiegel" riferisce che in Baviera, ad Amburgo e in altre città tedesche i cittadini puntano ad un referendum a favore del ritorno del Gymnasium a nove anni: perché i docenti sono costretti a saltare argomenti basilari per mancanza di tempo e i genitori sono sul piede di guerra in quanto i loro ragazzi sono stressati, abbandonano le attività pomeridiane e si ritrovano a sgobbare per gli esami senza approfondire le cose.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): se nei Paesi dove la riduzione è stata introdotta in modo frettoloso si torna indietro, i nostri decisori politici non possono far finta di nulla. Lascino da parte progetti rischiosi e aprano un confronto vero e senza preconcetti. Quanto sta accadendo in Germania - continua il sindacalista - dovrebbe perlomeno far sorgere il dubbio ai nostri decisori politici e aprire un confronto vero sulla necessità di riformare i cicli scolastici nazionali abbreviandone di 12 mesi la durata.
Mentre in Italia il Governo è sempre più intenzionato a ridurre di un anno il percorso scolastico, probabilmente eliminando uno dei cinque anni delle attuali scuole superiori, come oggi ribadito dal sottosegretario Roberto Reggi in un'intervista alla carta stampata, nei Paesi dove questo modello è già stato adottato cresce il malcontento e si sottoscrivono petizioni popolari per tornare all'antico, perché la formazione ridotta si è rivelata un flop.
La notizia, fornita in queste ore dalla stampa specializzata italiana è stata ripresa da "Der Spiegel", la rivista settimanale tedesca con maggiore tiratura: nell'articolo si spiega che "in Germania vogliono abolire la riforma di dieci anni fa che impose gli anni del Gymnasium", l'equivalente del liceo italiano ma che comprende anche le nostre ex scuole medie, "da nove a otto anni”. La protesta è "iniziata il 3 luglio in Baviera con una raccolta firme per indire un referendum a favore del ritorno del Gymnasium a nove anni (definito per brevità "G9″): dovranno essere raccolte 950mila firme entro il 16 luglio, ma iniziative simili sono state prese ad Amburgo e in altre città tedesche".
Nell'articolo si spiga che "l'abbreviazione di corso, varata nel 2004, è stata definita «una delle riforme dell'istruzione più controverse degli ultimi anni»: faceva parte di una serie di provvedimenti presi dalla Germania in seguito ai bassi risultati ottenuti nel 2001 dal test PISA (Programme for International Student Assessment) fra i quali il cambiamento di alcuni libri di testo e la possibilità di restare a scuola anche nel pomeriggio, fatto poco comune in Germania".
Per l'Economist è evidente che in Germania "l'applicazione della norma fu troppo frettolosa, e portò a «insegnare le stesse cose in un minore periodo di tempo». Heinz-Peter Meidinger, un filologo tedesco che insegna al Gymnasium contattato dall'Economist, ha detto che per mancanza di tempo la maggior parte degli insegnanti di storia è costretta a saltare argomenti molto importanti, come la guerra civile americana. I genitori, invece, negli anni si sono lamentati perché «i ragazzi sono stressati, sono costretti ad abbandonare le proprie attività pomeridiane e si ritrovano a sgobbare per gli esami senza approfondire le cose»".
Il taglio di un anno delle superiori non piace nemmeno alle istituzioni germaniche: "il ministro per l'Istruzione tedesco, Johanna Wanka – che fa parte della CDU, il partito di centrodestra del cancelliere Angela Merkel – ha recentemente detto che «io sono sassone, e in Sassonia il Gymnasium a otto anni funziona alla grande»".
Per la rivista "La Tecnica della Scuola" non vi sono dubbi: "sicuramente da quelle parti (in Germania ndr) si discute su un provvedimento che non avrebbe dato i risultati attesi, mentre da noi è ormai costume dare numeri sbagliati, come quello che nel resto d'Europa si faccia un anno in meno al liceo. Che non è così".
"Viene da chiedersi come mai il nostro Governo insista su un progetto che altrove, dove è stato praticato, si sta rivelando fallimentare", commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir. "Quanto sta accadendo in Germania - continua il sindacalista - dovrebbe perlomeno far sorgere il dubbio ai nostri decisori politici e aprire un confronto vero, senza preconcetti, sulla necessità di riformare i cicli scolastici nazionali abbreviandone di 12 mesi la durata".
"Il Governo abbandoni questo progetto di compressione dell'offerta formativa, utile solo in chiave di risparmio economico, e si concentri, piuttosto, sull’estensione dell’obbligo formativo sino alla maggiore età. Perché - conclude Pacidico - gli alunni devono frequentare le nostre scuole per tutta la durata degli studi superiori: solo così si ridurrebbero dispersione e Neet".
Ridurre di un anno il percorso formativo non avrebbe effetti nefasti solo per la didattica. Anief è convinta che anticipare di un anno l’uscita dal percorso formativo di quasi mezzo milione di studenti aumenterebbe la percentuale di disoccupati: poiché sempre meno diplomati, poco più della metà, continuano il percorso formativo all’Università, buona parte dei 200mila giovani rimanenti rischierebbero di diventare nuovi Neet: considerando le difficoltà oggettive nel trovare un impiego, questi ragazzi avrebbero alte possibilità di aggiungersi ai 2 milioni e 200mila giovani che, come ricordato in questi giorni da un’ampia ricerca di Tuttoscuola, costano allo Stato italiano “32,6 miliardi di euro l’anno”.
L’annuncio è arrivato oggi dal sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi: l’attuale sistema di sostituzioni dei prof assenti è del tipo ‘mordi e fuggi’, quindi non è educativo. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): sarebbe un grave errore, perché i precari svolgono un ruolo prezioso e non accessibile a chi svolge già tante ore di lezione frontale. Aumentando il carico di lavoro in aula si rischia di compromettere la regolarità della didattica. Le questioni del precariato su cui discutere sono ben’altre.
“I docenti precari della scuola non danno valore aggiunto, non si incardinano in un progetto educativo”: a dirlo è stato oggi il sottosegretario all’Istruzione, Roberto Reggi, ospite di una trasmissione radiofonica nazionale. Parlando dei punti più importanti che il Governo intende introdurre attraverso un ddl da presentare entro l’estate, il rappresentante del Governo ha speso parole critiche verso l’attuale collaudata organizzazione delle sostituzioni degli insegnanti assenti per brevi periodi, definendola un “sistema mordi e fuggi”: in futuro per le supplenze, ha sottolineato Reggi, bisognerà “usare gli insegnanti di ruolo. Il gruppo degli insegnanti dell’organico ‘funzionale’ dovrà prendersi carico anche delle supplenze brevissime”.
Anief ritiene che con questo genere di progetti e affermazioni si ignora e si dequalifica frettolosamente il ruolo dei tanti insegnanti precari che garantiscono, anche con supplenze di pochi giorni, un prezioso servizio pubblico a favore degli 8 milioni di alunni che popolano le nostre scuole. L’errore, secondo il sindacato, è pensare che si possa migliorare la qualità del prodotto finale, in questo caso delle lezioni da svolgere in assenza del docente titolare, cancellando in un colpo solo la disponibilità a fare supplenze ‘brevi’ di oltre 622mila aspiranti docenti. Di questi, si salverebbero solo i 154.398 abilitati inseriti anche nella Graduatorie ad Esaurimento: per quasi mezzo milione, invece, non ci sarebbe più spazio per le supplenze.
“Dopo le 36 ore di servizio da imporre a tutti gli insegnanti, che sono poi quelle che già svolgono, dal sottosegretario Reggi giunge un’altra convinzione che gli consigliamo di rivedere – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir –: non è infatti possibile affidare le supplenze del personale di ruolo ai colleghi presenti a scuola. Introdurle in modo sistematico, oltre le 6 ore di disponibilità che già oggi danno, significherebbe caricare di lavoro gli insegnanti di ruolo oltre le proprie possibilità”.
“Superando l’attuale numero di ore di lezioni frontali settimanali si rischierebbe, in pratica, di compromettere la mole di lavoro che ogni giorno il docente è chiamato a svolgere: ricerca e preparazione delle lezioni, composizione e correzione dei compiti, partecipazione a riunioni collegiali e via dicendo. Visto che il Governo vuole aggiungervi anche la formazione obbligatoria – conclude Pacifico – non si comprende come e quando avrebbe modo di fare anche le supplenze”.
Le questioni sul precariato su cui discutere sarebbe ben’altre. Perché il Miur, anziché minacciare ciclicamente di cancellare i docenti precari, non ricorda il prezioso lavoro che svolgono? Perché non dice che centinaia di migliaia di supplenti sono impegnati ogni anno ad assicurare la costante erogazione del servizio scolastico? Perché non fa cenno alcuno al fatto che quelli che hanno prestato più di 36 mesi di servizio hanno diritto alla stabilizzazione e al pagamento degli scatti di anzianità? Perché Reggi non ammette che almeno un posto su due ricoperto su supplenze sino al termine delle attività didattiche o al 30 giugno doveva essere assegnato in supplenza annuale? Perché i tecnici del Ministero non dicono che la trattenuta del 2,5% sul TFR è illegittima e che le ferie dei precari devono essere pagate per intero senza decurtazioni? Meno male che lo dicono le leggi vigenti, a partire dalla Costituzione, e il diritto comunitario.
Dal Cantiere Scuola del PD, in corso a Terrasini, il rappresentante del Governo ritratta quanto espresso il 2 luglio: so cosa vuol dire stare in trincea con alunni che spostano a scuola i problemi che non trovano riscontro a casa, stiamo costruendo la proposta a livello di Governo e ciò che chiediamo a docenti e sindacati è di ‘venirci incontro’. Anief raccoglie la proposta di Reggi, ma ad un patto: prima adegui gli stipendi sui livelli dell’area Ocde, recuperando per quel 30% in meno che oggi guadagnano i nostri docenti. Questo significa ridare loro dignità.
Con l’intervista a Repubblica del 2 luglio, il sottosegretario all’Istruzione, Roberto Reggi, intendeva solo spiegare che occorre “ridare dignità ad una professione che deve essere recuperata”, mentre non c’è nessun intendimento del Governo ad imporre 36 ore di servizio a tutti gli insegnanti. A dichiaralo è lo stesso Reggi, nel corso di un intervento alla Città del Mare di Terrasini, dove oggi si è concluso il Cantiere Scuola del PD.
“L'impegno del Governo – ha detto Reggi - è finalizzato al recupero di questa figura. Mai mi son sognato di dire di aumentare il tempo dell'insegnamento. So cosa vuol dire stare in trincea con alunni che spostano a scuola i problemi che non trovano riscontro a casa. Nella mia intenzione c'era di dire valorizziamo il tempo che si sta a scuola. Tanti ci stanno già 36 ore e vengono valorizzati come quelli che non ci stanno e questo non va bene. Sminuisce l'intervento di questi insegnanti e non consente di avere un modello di riferimento da imitare. Col segno di poi la potrei ridire così: saranno riconosciute le attività a scuola fino ad un massimo di 36 ore”.
Reggi ha aggiunto che la formazione “dovrà diventare permanente e non facoltativa: a fianco alle 18 ore devi avere del tempo e delle opportunità di formazione permanente garantite. Altri momenti dovranno essere quelli dedicati all'organizzazione della scuola, quelli in cui si incontrano gli insegnati, quelli dedicati agli studenti in difficoltà. Questa è una proposta che stiamo costruendo a livello di Governo e ciò che chiediamo a docenti e sindacati – ha concluso - è di ‘venirci incontro’”.
Anief risponde a Reggi che c’è disponibilità a venire incontro alla richiesta del Governo. “Ma prima – sottolinea il presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, Marcello Pacifico – occorre allineare gli stipendi di tutto il personale della scuola, ormai fermi da cinque anni. Qualsiasi rinnovo contrattuale non può prescindere da questo: oggi un docente della scuola superiore va in pensione con 8mila euro in meno rispetto ad un collega dell’area Ocde. Che corrisponde ad un 30% in meno”.
“E questo avviene, lo dicono i rapporti internazionali, a parità di attività e prestazioni. Solo in questo modo sarà possibile ridare dignità a dei professionisti che negli ultimi due anni si sono visti corrodere lo stipendio dall’inflazione di oltre 4 punti percentuali. Successivamente a questo - conclude Pacifico - saremo di certo disponibili e parlare di merito e di indennità aggiuntive”.
Anief è contraria, perché sempre meno diplomati che escono dalle superiori continuano il percorso formativo all’Università: quasi 200mila giovani rischierebbero ogni anni di diventare nuovi Neet. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): la vera riforma dei cicli passa per l’estensione dell’obbligo formativo sino alla maggiore età. Siamo d’accordo, invece, sul potenziamento dell’apprendistato, ma a patto che ai tirocinanti venga assegnata una retribuzione minima.
Dal Cantiere scuola, in corso a Terrasini, il Partito Democratico sta discutendo anche della riforma dei cicli scolastici: l’obiettivo è soprattutto quello ridurre l’alta percentuale di giovani che lasciano i banchi prima di arrivare al diploma di maturità. Il dibattito si sta concentrando sull’ipotesi di accesso anticipato di un anno all’Università, come avviene già in alcuni Paesi moderni. In tal caso, però, la scuola superiore si ridurrebbe a quattro anni anziché cinque. Allargando a tutti gli istituti italiani la sperimentazione, autorizzata dal Miur, oggi in atto in alcun scuole superiori statali e parificate.
Anief ritiene che riducendo il percorso della scuola superiore non si risolleverà il livello dell’offerta formativa, né tantomeno si risolverà il problema dell’abbandono scolastico: in questo modo non si farebbe altro che anticipare di un anno l’uscita dal percorso formativo di quasi mezzo milione di studenti. Ma poiché sempre meno diplomati, poco più della metà, continuano il percorso formativo all’Università, buona parte dei 200mila giovani rimanenti rischierebbero di diventare nuovi Neet: considerando le difficoltà oggettive nel trovare un impiego, questi ragazzi avrebbero alte possibilità di aggiungersi ai 2 milioni e 200mila giovani che, come ricordato in questi giorni da un’ampia ricerca di Tuttoscuola, costano allo Stato italiano “32,6 miliardi di euro l’anno”.
“La mossa vincente per ridurre il numero di giovani che non studiano e non lavorano – dichiara da Terrasini Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – rimane l’estensione dell’obbligo formativo sino alla maggiore età: i ragazzi e le famiglie devono essere accolti nelle nostre scuole per tutta la durata degli studi superiori. Bisogna fare attenzione ad introdurre riforme dagli effetti incerti”.
Decisamente più utile sarebbe l’idea, prospettata sempre nel corso dei convegni in svolgimento alla Città del Mare di Terrasini, di introdurre un apprendistato più “spinto”, sulla scia di quelli attuati in altri Paesi ma anche nella nostra provincia autonoma di Bolzano. “È una soluzione che il nostro sindacato sta caldeggiando da tempo – dice ancora Pacifico – perché per alzare le percentuali di assunzioni tra i giovani occorre prima di tutto produrre diplomati già specializzati e con un minimo di esperienza professionale acquisita. Sia ben chiaro, però, che tutti i tirocini presso le aziende dovranno prevedere un minimo di retribuzione per i giovani che li condurranno”.
Durante gli interventi tenuti a Terrasini, si è parlato anche di riforma delle classi di concorso degli insegnamenti. A tal proposito, Anief ricorda che qualsiasi intervento in questa direzione deve tenere conto delle competenze dei docenti. “Occorre inoltre ripensare le discipline di insegnamento sulla base del tessuto economico del Paese, prendendo come riferimento le professionalità richieste dal territorio. Il sindacato, ribadisce, infine la necessità di prevedere organici di personale maggiorato, sia di docente che di Ata, nelle zone d’Italia dove – conclude il sindacalista Anief-Confedir - è maggiore il rischio dispersone scolastica e dove latitano i servizi di supporto ai cittadini”.