"Le proiezioni emesse oggi dall'Istat sull'impennata di disoccupati in Italia rappresentano l'ennesimo colpo al cuore per l'economia italiana. Oltre che per i nostri giovani e per le loro famiglie. Sapere che nel 2013 gli italiani in cerca di occupazione passeranno dall'attuale 10,6% all'11,4%, con 'un deterioramento complessivo delle condizioni del mercato del lavoro', rappresenta un'ulteriore conferma della rottura in atto quella solidarietà sociale e professionale, la cui presenza rimane indispensabile per rilanciare il Paese". Lo afferma in una nota l'Anief.
Secondo Marcello Pacifico, presidente dell'Anief e delegato Confedir ai direttivi, quadri e alte professionalità, "siamo di fronte alla conferma che in Italia occorre da subito rilanciare l'economia attraverso un serio piano di riconversione industriale.
Per farlo è indispensabile che il Governo punti a potenziare quei comparti nei quali il Paese è notoriamente competitivo. Ad iniziare dallo sviluppo del patrimonio culturale. Invece si continua a fare 'cassa' - continua Pacifico - cercando di tagliare migliaia di posti nella pubblica amministrazione. Continuando a fare finta di dimenticare i quasi 280mila tagli che negli ultimi sei anni hanno colpito sempre i soliti 'noti': i ministeriali (che hanno perso 25 mila posti), le regioni e gli enti locali (-19 mila), la sanità (-28 mila) e soprattutto la scuola (-200 mila unità tra docenti e Ata)".
"Bisogna poi ricordare che nella nostra Penisola, rispetto alla media Ocse, si pagano pensioni superiori per via dei privilegi consentiti soltanto ad alcune categorie nel passato, quando con 15 anni di contributi o una legislatura si maturava il diritto a un beneficio a vita. Mentre oggi i giovani dovranno lavorare almeno 50 anni per andare in pensione dopo i 70 di età, peraltro con il 35% dell'ultima retribuzione", sottolinea l'Anief. "Per uscire da questo squilibrio - fa rilevare Pacifico – serve necessariamente più equità e un patto generazionale sulle pensioni. Inoltre, va sempre ricordato che la spesa per il settore dell'istruzione, dell'università e della ricerca è scesa negli ultimi venti anni del 5,4%. Adottando una politica opposta a quella degli Stati Uniti e della Germania. Senza dimenticare che gli stipendi sono stati bloccati per quattro anni, mentre si è proceduto all'utilizzo di personale precario per un settimo del fabbisogno ordinario per risparmiare le spese sugli stipendi. Per questo, consigliamo al Governo di abbandonare la strada controproducente dei tagli lineari ai servizi e dell'aumento della pressione fiscale: l'unica strada rimane la riconversione industriale e produttiva intorno a un progetto condiviso che rilanci il nostro unico patrimonio culturale, anche turistico, che ha già avuto in passato l'onore - conclude - di ospitare la metà dei monumenti Unesco dell'umanità".
I dati emessi oggi dall’Istat sull’impennata di disoccupati in Italia rappresentano un altro colpo al cuore per l’economia italiana. Ma anche per i nostri giovani e per le loro famiglie. Sapere che nel 2013 gli italiani in cerca di occupazione passeranno dall’attuale 10,6% all’11,4%, con “un deterioramento complessivo delle condizioni del mercato del lavoro”, rappresenta un’ulteriore conferma della rottura in atto di quella solidarietà sociale e professionale, la cui presenza rimane indispensabile per rilanciare il Paese.
Secondo Marcello Pacifico, presidente dell'Anief e delegato Confedir ai direttivi, quadri e alte professionalità, “siamo di fronte alla conferma che in Italia occorre da subito rilanciare l’economia attraverso un serio piano di riconversione industriale. Per farlo è indispensabile che il Governo punti a potenziare quei comparti nei quali il Paese è notoriamente competitivo. Ad iniziare dallo sviluppo del patrimonio culturale. Invece si continua a fare ‘cassa’ – continua Pacifico – cercando di tagliare migliaia di posti nella pubblica amministrazione. Continuando a fare finta di dimenticare i quasi 280mila tagli che negli ultimi sei anni hanno colpito sempre i soliti ‘noti’: i ministeriali (che hanno perso 25 mila posti), le regioni e gli enti locali (-19 mila), la sanità (-28 mila) e soprattutto la scuola (- 200 mila unità tra docenti e Ata)”.
Bisogna poi ricordare che nella nostra Penisola, rispetto alla media Ocse, si pagano pensioni superiori per via dei privilegi consentiti nel passato soltanto ad alcune categorie, quando con 15 anni di contributi o una legislatura si maturava il diritto a un beneficio a vita. Mentre oggi i giovani dovranno lavorare almeno 50 anni per andare in pensione dopo i 70 di età, peraltro con il 35% dell’ultima retribuzione.
“Per uscire da questo squilibrio - fa rilevare il sindacalista Anief-Confedir - serve necessariamente più equità e un patto generazionale sulle pensioni. Inoltre, va sempre ricordato che la spesa per il settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca è scesa negli ultimi venti anni del 5,4%. Adottando una politica opposta a quella degli Stati Uniti e della Germania. Senza dimenticare che gli stipendi sono stati bloccati per quattro anni, mentre si è proceduto all’utilizzo di personale precario per un settimo del fabbisogno ordinario per risparmiare le spese sugli stipendi. Per questo, consigliamo al Governo di abbandonare la strada controproducente dei tagli lineari ai servizi e dell’aumento della pressione fiscale: l’unica strada rimane la riconversione industriale e produttiva intorno a un progetto condiviso che rilanci il nostro patrimonio culturale unico, anche turistico, che ha già avuto in passato l’onore di ospitare la metà dei monumenti Unesco dell’umanità”, conclude Pacifico.
Parte dei dirigenti interpretano in tal modo il divieto di monetizzazione introdotto dalla spending review. Ma per i rappresentanti dei lavoratori costringere i precari a fruire delle ferie in periodo che non va tra il 1° luglio al 31 agosto porterà inevitabili controversie. L’Usb Scuola Sicilia parla di presidi-sceriffo e cita il caso della scuola media ‘Gregorio Russo’ di Palermo. Anche il responsabile dell'Ambito Territoriale di Bari si schiera coi supplenti.
Il lungo ponte di Ognissanti è ormai alle spalle. Con un numero imprecisato di precari temporanei, docenti e Ata, che hanno dovuto piegarsi alle richieste più o meno pressanti dei loro dirigenti. E usufruire, nei due giorni di sospensione dell’attività didattica, delle ferie maturate nel corso della loro supplenza. Tutto nasce dalla disposizione normativa prevista dal decreto legge 95/2012, del 6 luglio scorso, più noto come spending review, che vieta il pagamento, anche ai pubblici dipendenti, delle ferie maturate e non godute. In particolare l'art. 5 del dl prevede che “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, devono essere obbligatoriamente fruiti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
Dopo aver chiarito, dopo non poche incomprensioni, che l’adozione della norma non ha effetto retroattivo, nelle ultime settimane la disposizione ha indotto diversi dirigenti scolastici a prendere una posizione sulla questione decisamente rigida. Questi capi d’istituto hanno infatti invitato gli interessati, docenti e personale Ata con supplenze brevi o fino ad “avente diritto”, a consumare le ferie negli immediati giorni successivi alla maturazione. Con l’accortezza di concordare le date con la stessa dirigenza. In alcuni casi i presidi, timorosi di dover pagare di tasca propria le ferie dei precari quando questi saranno licenziati per la scadenza naturale della supplenza, si starebbero anche attivando per stipulare dei nuovi contratti indicanti una clausola dello stesso tenore.
In attesa di una deroga dell’applicazione della norma per il personale precario della scuola, prevista nel ddl Stabilità ora all’esame della Camera, i sindacati hanno sin da subito espresso la loro contrarietà.
Ad iniziare da Flc-Cgil, Cisl, Uil e Snals, che lo scorso 12 ottobre hanno inviato una lettera unitaria attraverso la quale si chiedeva un incontro al MIUR per superare la norma introdotta. I rappresentanti dei lavoratori del comparto scuola hanno tenuto a precisare che “si tratta di una norma di carattere generale che interessa tutti i lavoratori pubblici, la cui applicazione, a parere delle Scriventi Segreterie, risulta impossibile nel comparto scuola nel caso del personale precario (supplenti temporanei fino alla fine delle attività didattiche e supplenti temporanei), la cui assenza per ferie farebbe sorgere il bisogno di una supplenza, con il consequenziale costo aggiuntivo”. Per poi aggiungere che “in alcuni casi (nominati fino all’avente diritto) risulta addirittura impossibile mettere i lavoratori nelle condizioni di fruire delle ferie maturate, dal momento che non si conosce in anticipo quando terminerà il rapporto di lavoro”.
Nei giorni scorsi si è espressa anche la Gilda degli Insegnanti, secondo cui le richieste dei dirigenti di far fruire ai supplenti temporanei le ferie maturate nel corso del ponte di Ognissanti sarebbero “iniziative fantasiose in aperto contrasto con le disposizioni contrattuali in vigore”. Il sindacato guidato da Rino Di Meglio ha sottolineato che il “14 ottobre 2009, le Sezioni unite della Corte di cassazione, in funzione nomofilattica hanno stabilito che “nel contratto di lavoro nulla si rinviene in riferimento ad eventuali obblighi di fruizione delle ferie nei periodi di sospensione delle lezioni, essendo previsto che tale fruizione possa avvenire solo nei periodi di sospensione delle attività didattiche”.
In effetti il Ccnl obbliga il personale docente a fruire delle ferie esclusivamente nei periodi di sospensione delle attività didattiche, quindi dal 1° luglio al 31 settembre. “Mentre detto periodo è sufficiente a consentire la fruizione delle ferie a tutto il personale di ruolo e a quello supplente annuale – sottolinea la Gilda - ciò non vale per il personale supplente sino al termine delle attività didattiche e breve e saltuario. Si ritiene quindi, anche per evitare la probabile soccombenza dell´Amministrazione nelle inevitabili controversie, di consentire la ‘monetizzazione’ delle ferie”.
Anche la Usb Scuola Sicilia non sembra avere dubbi: “la norma della ‘spending review’ che vieta il pagamento delle ferie maturate e non godute oltre ad essere in pieno contrasto con l’art. 19 del CCNL della scuola, con la Costituzione italiana e col Codice Civile, non prevede nessun ‘consiglio o obbligo’ per i dirigenti scolastici a modificare i contratti a loro piacimento”.
Per la Usb siciliana, che teme l’espandersi dei “dirigenti-sceriffo”, “finchè si resta nell'ambito dell'‘invito’, i docenti possono tranquillamente declinare la sconcia proposta e decidere loro quando usufruire dei giorni di ferie, ma nel momento in cui si trascende nell'illegalità e nella tracotanza come è accaduto nella scuola secondaria di I grado ‘Gregorio Russo’ di Palermo, dove i colleghi precari sono stati ‘collocati d’ufficio’ in ferie, è necessario denunciare con forza l'arroganza di alcuni dirigenti scolastici e il loro collaborazionismo nella distruzione del Ccnl”.
“L’atto compiuto in questa scuola ad opera del dirigente scolastico – conclude la sezione siciliana - dimostra chiaramente la totale deriva e lo sprezzo dei diritti dei lavoratori, lasciando intravedere con chiarezza alcune delle conseguenze che produrrà l'ex ddl Aprea: i lavoratori in balìa delle ‘libere associazioni/interpretazioni’ di dirigenti-padroni che decidono persino quando un lavoratore debba riposarsi!”. Il concetto è ribadito da un comunicato, stavolta, nazionale dei Comitati di base nel quale si ricorda che “alla luce della normativa attualmente vigente non sussiste alcun obbligo di richiedere le ferie in giorni predeterminati di sospensione delle lezioni per cui qualsiasi imposizione in tal senso è da considerarsi illegittima”.
Sulla questione si è poi espressa l’Anief, che ha messo in guardia i dirigenti scolastici inviando loro una lettera proprio alla vigilia del ponte d’inizio novembre. Anief sostiene che “non esiste nessun riferimento legislativo o contrattuale che può collocare in ferie d’ufficio durante la sospensione delle lezioni i precari con contratto temporaneo, sino ad avente diritto o con supplenze fino al 30 giugno 2013, né tantomeno li autorizza a realizzare modifiche unilaterali dei contratti per prevenire ipotetiche richieste di pagamento”. Secondo il sindacato degli educatori in formazione “nessuna norma ha attualmente superato il disposto del c. 2 art. 19 del Ccnl Scuola, ove si stabilisce che ‘la fruizione delle ferie nei periodi di sospensione delle lezioni non è obbligatoria”. Dopo aver sottolineato che i periodi di sospensione delle lezioni (Ognissanti, pausa natalizia, pasquale, etc.) risultano “ben diversi da quello identificato come periodo di riferimento per la fruizione delle ferie, ovvero quello di sospensione delle attività didattiche (1° luglio-31 agosto)”, l’Anief ha chiesto a tutto il personale precario interessato di “non dare seguito alcuno agli ‘inviti’ a fruire delle ferie durante i periodi di sospensione delle lezioni da parte dei dirigenti scolastici. Nel caso in cui questi ultimi volessero ‘forzare la mano’, emanando provvedimenti di collocamento in ferie d’ufficio”, il sindacato ha fatto sapere di avere già predisposto le contromisure attraverso un modello di risposta ad hoc.
Sul caso si sono espressi però anche alcuni dirigenti ministeriali. Come quello responsabile dell'Ambito Territoriale di Bari,Giovanni Lacoppola, che, sollecitato dalle “numerose lamentele e richieste di chiarimenti” riguardo alle iniziative unilaterali dei ds, non ha esitato ad asserire, attraverso una lettera ufficiale che si tratta di prese di posizione fuori luogo. “In attesa di tali chiarimenti – ha scritto Lacoppola - si ritiene che il comportamento di quei Dirigenti scolastici che procedono alla ridefinizione unilaterale del contratto di lavoro a tempo determinato del personale scolastico sia di dubbia legittimità e si esponga inevitabilmente al contenzioso dei lavoratori interessati”. Il dirigente ha quindi invitato i ds ad evitare iniziative incaute, “in attesa di opportune indicazioni che perverranno nei prossimi giorni, allo scopo di rendere applicabili le norme approvate nel rispetto dei diritti di tutti gli operatori scolastici coinvolti. Inoltre, per la stessa ragione, non sembra condivisibile il comportamento di taluni Dirigenti Scolastici, i quali avrebbero manifestato l’intenzione di collocare in ferie i docenti a tempo determinato in concomitanza con il prossimo ‘ponte’ di Ognissanti”.
L’avviso però, a quanto ci risulta, non è servito a spazzare via gli equivoci. Nella provincia d Bari, come in molte altre. Il Miur farebbe bene a dare indicazioni. A meno che non intenda aspettare l’approvazione della Legge di Stabilità.
Passando per gli studenti. Un autunno costellato da proteste, il mondo della scuola è in subbuglio e i motivi sono molti: dall'edilizia, agli scatti stipendiali, dal concorso a cattedra ai nuovi tagli previsti nella legge di stabilità.
Partono i sindacati non rappresentativi (USB-Scuola, ANIEF, USI Scuola, CUB-Sur, Orsa Scuola e Università e SAB), che dal 5 al 10 di novembre hanno avviato l'iniziativa "Profumo di didattica". Si tratta di giorni cruciali, perchè in parlamento si discuteranno gli emendamenti alla legge di stabilità. Vi rimandiamo al nostro video servizio
Giorno 14 novembre i sindacati di base aderiranno allo sciopero generale europeo contro le politiche di austerità imposte dall'Europa.
Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Fgu scioperano invece il giorno 24 novembre. Il motivo di base è il riconoscimento ai fini delle progressioni economiche e di carriera degli scatti di anzianità, ma si sono aggiunte anche altre ragioni,a partire dal disegno di legge di stabilità, nei confronti della quale è netto il dissenso delle quattro organizzazioni. Senza dimenticare i tagli previsti dalla Spending Review. Vi rimandiamo all'articolo specifico
Ma sul piede di guerra ci sono anche gli studenti dell'UDU che si dice pronto nuove mobilitazioni. oggetto della contestazione la diminuzione del fondo nazionale per il diritto allo studio. "Non accettiamo che il Governo scarichi il finanziamento delle borse di studio sulle tasse degli studenti" afferma Michele Orezzi, Coordinatore dell'Unione degli Universitari. "Occorre una risposta immediata e definitiva per gli oltre 45 mila studenti che ogni anno reclamano un diritto sancito dalla nostra Costituzione. Le politiche di austerità portate avanti finora hanno bloccato ogni investimento nell'istruzione, ma è ora di cambiare. Per questo saremo in piazza sia il 14 novembre per la mobilitazione dei lavoratori europei contro le politiche di austerità che il 17 novembre per la Giornata Internazionale dello Studente. Saremo in piazza per dimostrare che siamo il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo".
Sale il malcontento per lo spettro delle sei ore d’insegnamento in più, l’approdo in Senato del ddl 953, il concorso a cattedra ritenuto inadeguato, il mancato rinnovo del Ccnl, il blocco degli scatti d’anzianità. Dai collegi dei docenti mozioni anti tagli con astensione dalle attività extra. A Roma decine di istituti in mobilitazione: il 10 un corteo. Il 14 primo sciopero generale europeo contro le politiche di Commissione europea e Bce e si fermano i sindacati di base. Il 17 la Giornata Internazionale dello Studente. Si chiude il 24 con l’astensione dei sindacati maggiori.
Cresce il malcontento per la politica dei tagli imposta alla scuola dal Governo Monti. I motivi sono molteplici: dalla minaccia dell’aumento dell’orario settimanale dei docenti di medie e superiori all’approvazione (manca solo il sì del Senato) del ddl 953, ribattezzato Aprea-Ghizzoni, dalla “stretta” arrivata in estate con la spending review al graduale processo di accorpamento degli istituti, dal ritorno ad un concorso a cattedra troppo pre-selettivo e in concorrenza coi candidati inclusi nelle GaE al mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale sino al blocco degli scatti di anzianità. Ma il malcontento serpeggia pure tra gli studenti, in mobilitazione per i continui attacchi al diritto allo studio, alla riduzione di risorse per la scuola pubblica e per le borse di studio.
Le modalità delle proteste sono molteplici e trasversali. A livello nazionale e locale. A Roma oltre cinquanta istituti sono già in mobilitazione. E nei collegi dei docenti si approvano continue mozioni: quasi sempre si concretizzano con l’astensione da tutte le attività extradidattiche (funzioni strumentali, progetti, visite culturali, ecc.). Come al professionale alberghiero "U. Tognazzi" di Velletri, in provincia di Roma, dove la larghissima maggioranza del collegio dei docenti (98 voti a favore su 99) ha espresso “grave preoccupazione, indignazione e profondo dissenso nei confronti delle scelte politiche del Governo fortemente punitive verso la scuola pubblica, caratterizzate da tagli di risorse e personale, attuati in forme diverse e non sempre trasparenti. nonché da una martellante svalutazione della professionalità e della libertà di insegnamento”. Dopo aver elencato la “netta contrarietà” ad una serie “di provvedimenti all’ordine del giorno dell’agenda politica”, gli insegnanti hanno chiesto anche “con forza al Ministero di stanziare subito tutte le risorse utili alla copertura totale degli scatti (automatici in busta paga ndr) senza ulteriori decurtazioni dal bilancio della scuola pubblica, anche e soprattutto alla luce degli ultimi stanziamenti ad hoc per il comparto della scuola privata”. In attesa di risposte concrete, i docenti del “Tognazzi” annunciano quindi che nel corso dell’anno adotteranno “una didattica essenziale”, fatta di “lettura e commento dei testi, verifiche e interrogazioni, correzione in classe dei compiti e delle verifiche scritte”. Di mozioni di questo tenere se ne contano oramai sempre di più.
Ci sono poi le iniziative comuni. Come il funerale della scuola pubblica, andato on scena il 31 ottobre in piazza del Popolo. E come i due flash-mob svolti ad ottobre davanti al Miur: un terzo si è svolto domenica 4 novembre. Stavolta i manifestanti si sono presentati con delle rose in mano, in ricordo del collega di Carmine Cerbara, il 48enne docente precario di storia dell'Arte suicidatosi nei giorni scorsi dopo che aveva manifestato un crescente malcontento per le decisioni del Governo di tagliare ulteriori posti per il personale non di ruolo della scuola.
Da lunedì 5 a sabato 10 novembre, in concomitanza con la discussione in Parlamento egli emendamenti al testo del decreto di stabilità, è in programma l'iniziativa “Profumo di didattica”, promossa da Unicobas, USB-Scuola, ANIEF, USI Scuola, CUB-Sur, Orsa Scuola e Università e SAB: il programma prevede assemblee dei lavoratori, con gli studenti, con i genitori, didattica alternativa e l'astensione da ogni attività aggiuntiva non obbligatoria, presidi ed iniziative locali.
Nella capitale le scuole si sono organizzate in un coordinamento che, dopo tre assemblee molto partecipate, si rivedrà martedì 6 novembre alle 15,30 al Liceo Mamiani. Sabato 10 novembre a Roma partirà un corteo alle ore 14,30 da piazza dell'Esquilino (via Cavour) che si concluderà in piazza Ss. Apostoli.
La protesta degli istituti potrebbe presto svilupparsi su un livello extraregionale. Nelle ultime ore, il Coordinamento delle scuole di Roma ha lanciato un “appello a tutte le scuole d'Italia” per “coordinarsi e partecipare alla giornata del 10 novembre indicendo manifestazioni in tutte le città, per far sentire la voce di chi nella scuola ci lavora e ci studia e in generale dei cittadini tutti che vedono leso un diritto fondamentale come è quello all'istruzione; fa appello inoltre a tutte le organizzazioni sindacali di aderire e rafforzare la mobilitazione”.
La scuola sarà in piazza anche il 14 novembre per il primo sciopero generale europeo insieme ai lavoratori e cittadini del vecchio Continente, per contestare le politiche di austerità imposte dalla Commissione europea e dalla BCE, come è stato già fatto il 27 ottobre nell'ambito del No Monti Day. Nella stessa giornata si fermeranno i sindacati di base: allo sciopero indetto dai Cobas, con annessa manifestazione a Roma, ha già dato la propria adesione l’Unicobas. E nei prossimi giorni potrebbero unirsi anche altre organizzazioni sindacali minori.
Ma sul piede di guerra ci sono pure gli studenti. "E' inaccettabile prevedere una diminuzione del fondo nazionale per il diritto allo studio", tuona Michele Orezzi, coordinatore dell'Unione degli Universitari. "Ogni anno più di 45 mila studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi non ricevono la borsa di studio per mancanza di fondi. Più di 45 mila giovani cui viene negato il diritto a costruirsi un futuro. Di fronte a questa situazione per ora il Governo è stato capace solo di aumentare enormemente la tassa che gli studenti pagano per il diritto allo studio, aumentando ancora l'importo delle tasse universitarie, già fra i più alti in assoluto in Europa. Ora nella legge di stabilità vediamo un nuovo calo delle risorse a disposizione del finanziamento del diritto allo studio, da circa 180 milioni di quest'anno ad appena 103 per il prossimo, un calo di oltre il 40%". Il sindacato studentesco si dice pronto alla mobilitazione: "saremo in piazza sia il 14 novembre per la mobilitazione dei lavoratori europei contro le politiche di austerità che il 17 novembre per la Giornata Internazionale dello Studente", conclude Orezzi.
Una settimana dopo, venerdì 24 novembre, sarà la volta dei sindacati più rappresentativi e che siedono al tavolo della contrattazione. Con la Flc-Cgil che dopo quattro anni tornerà ad incrociare le braccia e a scendere in piazza, sempre a Roma, assieme a Cisl, Uil, Snals e Gilda.
Mancata emanazione dell'atto di indirizzo all'Aran per individuare per via negoziale le risorse aggiuntive per il recupero dell'anno 2011, nonostante le rassicurazioni di Profumo. La Flc-Cgil, già scettica in passato, ha scioperato il 12 ottobre (anche per altri motivi), mentre l'Anief afferma che l'unica possibilità è il ricorso al tribunale.
La sentenza della Corte Costituzionale, che ha reputato incostituzionale far collaborare i dipendenti pubblici all’accantonamento del Tfr, è stata sovvertita da dl n.185: al personale della scuola non andranno nemmeno gli arretrati. I sindacati rimangono senza parole. L’Anief fa notare che nel decreto si citano 41 milioni di euro, una cifra risibile: il Governo avrebbe sbagliato i conti “seguendo una vecchia relazione tecnica”.
Diventa sempre più ingarbugliata la vicenda del 2,5% di trattenuta per il fondo di previdenza dell'INPS ex INPDAP, sull’80% dello stipendio: come rilevato da questo giornale on line, attraverso il Decreto legge n. 185 del 29 ottobre 2012, il Governo è voluto correre ai ripari introducendo una norma che, se approvata definitivamente, spazzerebbe via il pericolo di restituzione ai pubblici dipendenti di una quota vicina ai 4 miliardi di euro. Si tratta di quella fetta di stipendio sottratta negli ultimi 22 mesi che la Corte Costituzionale, attraverso la sentenza 223 dell’8 ottobre scorso, ha di fatto dichiarato incostituzionale, “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del dPR 1032/73”.
Per i ministri del Governo Monti, però, la necessità di “salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica” prevale sui diritti dei lavoratori: pertanto, sempre attraverso il dl 185/2012, “non si provvede al recupero a carico del dipendente delle eventuali somme già erogate in eccedenza”. Ma non solo: “i processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base contributiva utile prevista dall'articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall'articolo 37 del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, si estinguono di diritto; l'estinzione è dichiarata con decreto, anche d'ufficio; le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti”.
Insomma, per i quasi tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, il 30 per cento dei quali in forza alla scuola, non sembrerebbero esserci più molte speranze. Ma viene ora da chiedersi perché il Governo, appena quattro giorni fa, abbia emesso un comunicato rassicurante nel quale sosteneva che “Il Consiglio ha approvato un decreto legge che, in attuazione della recente sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del personale interessato dalla pronuncia. Per quanto riguarda le altre parti della sentenza della Consulta, il Consiglio ha stabilito che si procederà in via amministrativa attraverso un DPCM ai sensi della legislazione vigente”.
La pubblicazione del decreto legge ha lasciato basiti i lavoratori interessati. Ma anche i sindacati. Ad iniziare dalla Flc-Cgil, che dopo aver impugnato l’applicazione della trattenuta, qualche giorno fa sembrava cantare vittoria. Definendo il dl approvato dal governo come “ilrisultato della iniziativa della nostra organizzazione che da anni si batte anche nelle sedi dei tribunali per affermare il valore delle regole e della legalità”. Il sindacato guidato da Mimmo Pantaleo, rimaneva comunque in attesa di prendere visione di “un provvedimento serio che restituisca ai lavoratori - anche a quelli che per aderire ad Espero hanno trasformato in TFR parte del loro TFS - quanto gli è stato ingiustamente decurtato dallo stipendio sin dal 1 gennaio 2011”. Sinora, a poche ore dalla pubblicazione del decreto, dai lavoratori della conoscenza Cgil non sono pervenute repliche.
Un comunicato decisamente anonimo è quello emesso dalla Cisl Scuola. Che si è limitata a fotografare l’accaduto, ricordando che se dal una parte “si ripristina la modalità di calcolo del TFS precedente il decreto-legge 78/2010, modalità più favorevole rispetto a quella introdotta dal decreto stesso”, dall’altra viene “rilegittimata la trattenuta del 2,5% a carico del dipendente pubblico. Non ci sarà, pertanto, alcuna restituzione delle somme trattenute nel 2011 e nel 2012. Per quanto riguarda le cause pendenti, ne consegue - conclude la Cisl - la loro estinzione di diritto”.
Anche la Uil Scuola, dal canto suo si sofferma sul fatto che il nuovo decreto legge “è subito attuativo, ripristina le modalità di calcolo del TFS facendo venire meno la materia del contendere, determina l’estinzione di tutti i processi pendenti (ad eccezione di eventuali sentenze “passate in giudicato”), priva di effetti le sentenze emesse. Per tutti coloro che, nel frattempo, hanno avuto la liquidazione della buonuscita in base alle disposizioni dell’art. 12, comma 10, della Legge sopra citata, si procederà nell’arco di 1 anno alla riliquidazione della stessa e, in ogni caso, non si provvederà al recupero delle eventuali somme già erogate in eccedenza”. Dalle organizzazioni di Francesco Scrima e Massimo Di Menna non giunge, di fatto, alcun commento negativo sul ripristino del 2,5% per l’accantonamento del Tfr e sul fatto che gli arretrati non verranno corrisposti.
Al momento, l’unico sindacato che si lascia subito andare a giudizi severi sulla soluzione trovata dall’esecutivo di Monti sul ripristino del 2,5% è l’Anief. Che oltre a sposare la teoria dei giudici e a minacciare un “nuovo contenzioso” con l’amministrazione, si sofferma sul fatto che “i conti non tornano”, poiché il Governo li avrebbe sbagliati “seguendo una vecchia relazione tecnica”. L’Anief fa notare che sono “previsti 41 milioni per riportare la disciplina alle norme previgenti la legge 122/2010, ma non bastano a coprire le sole riliquidazioni dei precari della scuola”. Mentre “per ricostituire la quota 9,60% per i dipendenti della P. A. prevista dalla legge 75/1980 e ricordata dalla Consulta” servirebbero “diversi miliardi”.
I conteggi sembrano dare ragione al sindacato degli educatori in formazione: in base a quanto sostengono i giudici, le amministrazioni dello Stato, in quanto datori di lavoro, dovrebbero infatti versare la quota rimanente al netto della trattenuta, il 7,10% sull’80% della retribuzione come quantizzato al 31 dicembre 2010 rispetto al 4,41% pagato sull’intera retribuzione dal 1 gennaio 2011 (che dovrebbe corrispondere al 4.91% sull’80%). E l’applicazione di questa ritenuta, da quasi due anni corrisposta non legittimamente in busta paga, non corrisponde di certo solo a qualche milione di euro. Visto che si tratta di arretrati che variano tra quale centinaio ad oltre mille euro, da assegnare a 3,4 milioni di dipendenti, gli arretrati ammontano necessariamente a miliardi di euro.
Per l’Anief la “svista” del Governo si spiegherebbe in un solo modo: il Governo ha confermato i numeri della relazione tecnica allegata dal ministro Tremonti al D. L. 78 del 31 maggio 2010, che prevedeva nel passaggio alla nuova norma un risparmio di 1 milione di euro per il 2012 e di 7 milioni di euro per il 2013, aggiungendone a regime 33 milioni. “Quanto sopra potrebbe anche essere considerato – prosegue il sindacato autonomo - un ragionamento di “finanza creativa”, se l’attuale decreto legge non prevedesse anche di riliquidare, alla luce delle norme previgenti alla L. 122/2010, i TFR/TFS già liquidati”.
A questo punto, per l’organizzazione di di Marcello Pacifico la matassa può essere ancora sciolta dagli “uffici legislativi del Parlamento”, che nelle prossime settimane “saranno chiamati a un’ardua verifica dei conti pubblici per evitare un buco all’erario”. Per l’Anief, che in attesa degli eventi ha sospeso le diffide già predisposte, comunque anche le modifiche parlamentari al decreto non salverebbero il Miur dal “pagare già la metà delle nuove spese, fino a 20 milioni su 41 dal fondo di riserva”.
Resta ora da capire chi ha sbagliato. Il Governo dei tecnici, costretti a decisioni difficili e al limite della fattibilità, pur di non mandare in sofferenza le casse dello Stato? Oppure i giudici che, sulla base delle norme vigenti, hanno esaminato il caso nelle aule dei tribunali?
"Il Governo, per non restituire la quota del 2,5% trattenuta ai dipendenti pubblici, riporta la norma alla disciplina previgente ma sembra dimenticare che le amministrazioni dello Stato, in quanto datori di lavoro, dovrebbero versare – a detta dei giudici - la quota rimanente al netto della trattenuta, il 7,10% sull'80% della retribuzione come quantizzato al 31 dicembre 2010 rispetto al 4,41% pagato sull'intera retribuzione dal 1 gennaio 2011 (che dovrebbe corrispondere al 4.91% sull'80%)". Lo sottolinea l'Anief in una nota, in merito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl 185/2012.
"L'intera questione, infatti, dal punto di vista normativo è stata ricostruita dai giudici del Tar Calabria che, con la sentenza n. 53/2012, hanno condannato l'amministrazione alla restituzione della trattenuta del 2,5% e al pagamento della quota dovuta in quanto datore di lavoro, prima ancora della sentenza n. 223/12 della Corte costituzionale - prosegue l'Anief -. Ora, se con decreto legge il Governo ha annullato i processi in corso riportando la liquidazione e il calcolo per la costituzione del TFR/TFS allo status quo ante, è evidente che per i 3.000.000 di dipendenti pubblici ogni amministrazione dovrà versare-accantonare il 2,69% in più rispetto a prima sia per il biennio appena trascorso che per il futuro. Ma i conti sembrano negare questa tesi sostenuta dalla magistratura visto che il Governo ha confermato i numeri della relazione tecnica allegata dal ministro Tremonti al D. L. 78 del 31 maggio 2010, che prevedeva nel passaggio alla nuova norma un risparmio di 1 milione di euro per il 2012 e di 7 milioni di euro per il 2013, aggiungendone a regime 33 milioni".
"Quanto sopra potrebbe anche essere considerato un ragionamento di 'finanza creativa', se l'attuale decreto legge non prevedesse anche di riliquidare, alla luce delle norme previgenti alla L. 122/2010, i TFR/TFS già liquidati - sottolinea il sindacato -. Come pagare, infatti, i soli 50 milioni da rivalutare per i 100.000 precari della Scuola che hanno lavorato negli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012, considerato che ognuno di essi aveva diritto con le vecchie regole a un TFR di quasi 1.000 euro ad anno, che negli ultimi due anni è stato decurtato di un quarto? Gli uffici legislativi del Parlamento saranno chiamati a un'ardua verifica dei conti pubblici per evitare un buco all'erario".
Anief, che nei mesi scorsi aveva fornito un modello di diffida per recuperare la trattenuta del 2,5% del TFR dal 1 gennaio 2011, seguirà con attenzione il dibattito parlamentare "al cui termine darà precise istruzioni ai lavoratori per il ripristino dei diritti maturati, se necessario, attraverso un nuovo contenzioso - conclude -. Di certo, il ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca dovrà pagare già la metà delle nuove spese, fino a 20 milioni su 41 dal fondo di riserva".
Tutti gli studi, nazionali ed internazionali, convogliano su un dato inequivocabile: tra i paesi economicamente e socialmente più avanzati, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati.
L’ultima indicazione giunge da un’elaborazione delle tabelle, aggiornate al 2010, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: rispetto alle retribuzioni dei 35 paesi dell’area Ocse che hanno fornito i dati, l’Italia si colloca al 24° posto su 35.
Se si analizza il dato per settori scolastici, pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari). Non va meglio per i docenti delle medie, per i quali se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza). Ma i più penalizzati in Italia rimangono i maestri dalla scuola primaria, che hanno un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrisponde a quasi 5.000 dollari.
Per non parlare del fatto che lo stipendio dei maestri italiani nell’ultimo decennio è aumentato del 5,2%, a fronte di una media del +22,5%. E questo sebbene alla primaria il numero di ore raggiunga la considerevole quota di 770, in linea con quella degli altri paesi dell’area.
“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola – confermano che, a dispetto di quanto vogliono farci credere il Governo e il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse ‘Education at a Glance’ è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila”. Per non parlare del fatto che in Italia non esiste una carriera dei docenti: “dal momento dell’accesso alla professione, i nostri insegnanti – ricorda Pacifico - si ritrovano in busta paga 28.000 euro, una cifra abbastanza in linea con i colleghi europei. Ma nel corso dell’ultimo anno di servizio, quello precedente alla pensione, si forma un gap incredibile: tra i 7mila e gli 8mila euro”.
Il sindacalista di Anief e Confedir ritiene che non c’è altro tempo a perdere: “questa perdita secca dei salari influisce molto sulla motivazione del corpo insegnante, che accede al ruolo dopo anni di sfruttamento da precario e che di fatto non ha una prospettiva di carriera. Per cambiare rotta - conclude Pacifico - bisogna assolutamente tornare ad alzare l’asticella degli investimenti delle spesa pubblica nel settore dell’istruzione, sbloccare gli stipendi fermi al 2009, ridefinire gli organici e attuare un piano di assunzioni su tutti i posti vacanti”.
Commento Anief sulle retribuzioni degli insegnanti: risultano tra i meno pagati dell'area OCSE e analisi dei dati per ordine di scuola.
Docenti scuola secondaria II grado: pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari).
Docenti scuola secondaria I grado: se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza).
Docenti scuola primaria: sono i più penalizzati, con un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrisponde a quasi 5.000 dollari.
“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola – confermano che, a dispetto di quanto vogliono farci credere il Governo e il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse ‘Education at a Glance’ è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila”.
Il concorso bandito dal ministro Profumo, oltre ad aver sollevato una marea di giustificate critiche e di perplessità, ripropone una schema ormai consueto delle nostre istituzioni scolastiche: sempre di più infatti il destino della scuola e degli insegnanti sarà deciso nelle aule dei tribunali che, nelle prossime settimane, saranno chiamati ad esprimersi sui ricorsi presentati dagli "esclusi", a loro avviso in modo ingiustificato, da questo concorso.
Tutti gli studi, nazionali ed internazionali, convogliano su un dato inequivocabile: tra i paesi economicamente e socialmente più avanzati, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati. L'ultima indicazione, fa sapere l'Anief, giunge da un'elaborazione delle tabelle, aggiornate al 2010, per la cooperazione e lo sviluppo economico: rispetto alle retribuzioni dei 35 paesi dell'area Ocse che hanno fornito i dati, l'Italia si colloca al 24° posto su 35.
Se si analizza il dato per settori scolastici, pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari). Non va meglio per i docenti delle medie, per i quali se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza). Ma i più penalizzati in Italia rimangono i maestri dalla scuola primaria, che e hanno un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrispondono a quasi 5.000 dollari.
Per non parlare del fatto che lo stipendio dei maestri italiani nell'ultimo decennio è aumentato del 5,2%, a fronte di una media del +22,5%. E questo sebbene alla primaria il numero di ore raggiunga la considerevole quota di 770, in linea con quella degli altri paesi dell'area.
"Questi dati - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola - confermano che, a dispetto di quanto vuole farci credere il Governo ed il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse 'Education at a Glance' è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l'incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era
di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila".
Per non parlare del fatto che in Italia non esiste una carriera dei docenti: "Dal momento dell'accesso alla professione, i nostri insegnanti - ricorda Pacifico - si ritrovano in busta paga 28.000 euro, una cifra abbastanza in linea con i colleghi europei. Ma nel corso dell'ultimo anno di servizio, quello precedente alla pensione, si forma un gap incredibile: tra i 7mila e gli 8mila euro".
Il sindacalista di Anief e Confedir ritiene che non c'è altro tempo a perdere: "Questa perdita secca dei salari influisce molto sulla motivazione del corpo insegnante, che accede al ruolo dopo anni di sfruttamento da precario e che di fatto non ha una prospettiva di carriera. Per cambiare rotta - conclude Pacifico - bisogna assolutamente tornare ad alzare l'asticella degli investimenti delle spesa pubblica nel settore dell'istruzione, sbloccare gli stipendi fermi al 2009, ridefinire gli organici e attuare un piano di assunzioni su tutti i posti vacanti".
I ricorrenti avevano segnalato la presenza nella Commissione di due membri che ricoprivano incarichi sindacali. Il Tar aveva dato loro torto, ma ora il Consiglio di Stato ha ribaltato il giudizio.
Continuano i problemi per il concorso per dirigenti scolastici. La notizia dell’ultima ora riguarda il concorso nel Lazio dove il Consiglio di Stato ha accolto l’appello di due ricorrenti che avevano posto la questione dell’incompatibilità di alcuni dei membri della commissione concorsuale.
In prima battuta il ricorso era stato respinto dal Tar, ma ora il Consiglio di Stato ha riesaminato la situazione e ha deciso che l’incompatibilità potrebbe proprio esserci.
Della Commissione concorsuale facevano infatti parte due membri che ricoprivano incarichi sindacali. E questa sarebbe una palese violazione del 3° comma dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001. I giudici del Consiglio sollecitano il Tar a fissare con urgenza l'udienza di merito in modo da definire la controversia sollevata dai ricorrenti.
La notizia è stata divulgata dall’Anief che segnala manca ormai un mese alla decisione dei giudici amministrativi sui ricorsi promossi dalla stessa associazione sull’erroneità dei quiz somministrati nelle prove preselettive.
Intanto Marcello Pacifico, presidente Anief, ribadisce che l’intricata vicenda del concorso a dirigente scolastico non può che trovare soluzione per via legislativa in modo che a tutti i ricorrenti venga riconosciuto il diritto a essere valutati correttamente nelle prove scritte.
"Accolto l'appello di due ricorrenti con due ordinanze cautelari che sollecitano il TAR a una rapida decisione di merito sulla questione posta in merito all'incompatibilità di alcuni dei membri della commissione concorsuale. Nei mesi scorsi, sullo stesso tema, era intervenuto l'onorevole Russo (PD). Ancora una volta il Tar boccia ma il CdS accoglie. Attesa per l'udienza dei ricorsi Anief del 22 novembre".
È quanto si legge in una nota dell'Anief che aggiunge: "La storia si ripete e, spesso, in appello le sentenze o le ordinanze sono riformulate. È successo ancora una volta per il concorso a dirigente scolastico, dove i ricorrenti trovano ascolto dai giudici di secondo grado che già si erano pronunciati sull'erroneità dei quiz somministrati il giorno delle prove preselettive, sebbene in sede cautelare. In questo caso, i giudici del Tar Lazio nel luglio scorso avevano rigettato la richiesta di ammissione con riserva alle prove orali dei due ricorrenti della regione Lazio perché "le sollevate doglianze, ove fondate [avrebbero condotto] ad efficacia caducante in via generale degli atti impugnati", ovvero avrebbero annullato tutti gli atti delle commissioni preposte con verbali ed elenco degli ammessi annessi; ma per i giudici del Consiglio di Stato, con ordinanze 4259 e 4260 del 25 ottobre 2012, "l'appello sembra presentare apprezzabili profili di fumus boni iuris, con riferimento al motivo di ricorso articolato in primo grado concernente l'incompatibilità di alcuni dei membri della Commissione giudicatrice, con particolare riguardo alla violazione dell'articolo 35, comma 3 del decreto legislativo 165 del 2001"".
"La violazione - prosegue l'Anief - è la stessa denunciata nel giugno scorso dall'onorevole Russo (PD) che aveva annunciato in un comunicato un'interrogazione parlamentare con cui richiedere al ministro Profumo di verificare se alcuni membri della commissioni fossero anche dirigenti sindacali. Concludono i giudici di Palazzo Spada sollecitando il Tar a fissare con urgenza l'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, del codice del processo amministrativo. Mentre, ormai, manca un mese alla decisione dei giudici amministrativi sui ricorsi promossi dall'Anief sull'erroneità dei quiz somministrati nelle prove preselettive e sulla conseguente violazione del bando di concorso che, se acclarata, invaliderebbe l'intera procedura e ne richiederebbe l'immediata rinnovazione".
Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola, a tal proposito ribadisce la richiesta al Parlamento perché affronti quanto prima il tema e riconosca a tutti i ricorrenti il diritto a essere valutati correttamente nelle prove scritte.
Il Consiglio dei Ministri il 26 ottobre 2012 ha approvato un decreto legge che, in attuazione della recente sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la disciplina del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici. In un comunicato Anief e Confedir avvertono però che secondo indiscrezioni la norma non prevede la restituzione delle trattenute del 2,5% illegittimamente sottratte dal 1° gennaio 2011.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2012 qualche settimana fa ha dichiarato illegittima la trattenuta del 2.5% a favore del “fondo di previdenza dell'ex ENPAS” e la contemporanea restituzione delle somme trattenute a decorrere dal 1°.1.2011, data dalla quale è stato modificato il sistema di calcolo della buonuscita sulla base di quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile per il trattamento di fine rapporto (TFR).
Di conseguenza il Consiglio dei Ministri nella seduta del 26 ottobre 2012 interviene con un apposito Decreto Legge, "Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici", del quale non è stato ancora diffuso il testo.
Tuttavia, ci comunicano Anief e Confedir, si apprende che con il decreto si cancella l’assegnazione ai lavoratori del “balzello” del 2,5% sull'80% della retribuzione da accantonare per i trattamenti di fine servizio ma, secondo indiscrezioni, "non prevede la restituzione delle trattenute del 2,5% illegittimamente sottratte dal 1° gennaio 2011 dagli stipendi di quasi tre milioni e mezzo di dipendenti della pubblica amministrazione, di cui un milione operanti nella scuola come docenti e Ata. Facendo così risparmiare allo Stato i 4 miliardi da restituire. Ma in tal caso, se ciò fosse confermato, ogni dipendente dovrà al più presto presentare richiesta individuale per il recupero delle somme indebitamente trattenute dallo Stato"
“Qualora questa ingiusta e incostituzionale eccezione fosse confermata nel testo di legge – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità – il nostro sindacato non si fermerà di certo qui: dopo aver infatti spinto il Governo a varare il decreto, conseguente ai tanti ricorsi da noi presentati in tribunale, Anief e Confedir confermano l’intenzione di continuare a tutelare dipendenti e i dirigenti pubblici a cui è stata ingiustamente sottratta la quota nell’ultimo biennio. Rinunciarvi significherebbe piegarsi a chi continua a calpestare il rispetto per i lavoratori e per i loro diritti acquisiti”.
"La conseguenza dell'innalzamento a 24 ore delle attività di lezione in aula sarebbe quella di abbassare il livello qualitativo della didattica che - tanto per essere chiari anche verso qualche illustre rappresentante istituzionale dell'istruzione, ormai da anni lontano dalla cattedra - è cosa molto diversa dal presentarsi in classe e declamare i principi della propria scienza, senza badare a chi, tra gli studenti, ha bisogno di maggiore cura". Lo afferma l'Anief in una nota.
"Chi potrà permetterselo, si pagherà le ripetizioni private. Tutti gli altri, invece, non potranno far altro che ripetere l'anno, abbandonare la scuola oppure iscriversi a qualche diplomificio, per il quale i finanziamenti si trovano sempre. In sostanza, della didattica resterà solo il profumo – aggiunge -. Pertanto, invitiamo tutti i colleghi a dare un saggio di quello che succederà se, malauguratamente, dovesse essere innalzato l'orario dedicato alle lezioni in classe partecipando attivamente, a partire dal 5 novembre (in concomitanza con il relativo dibattito parlamentare), alla settimana dedicata al 'Profumo... di didattica'.
Si tratta di un'iniziativa promossa da Unicobas Scuola, USB-Scuola, ANIEF, USI Scuola, CUB-Sur, Orsa Scuola e Università e SAB che consisterà nel non partecipare a tutte le attività legate all'ampliamento dell'offerta formativa ed alla riuscita delle attività didattiche: incarichi per la realizzazione del POF, corsi di recupero, sportelli didattici e di supporto, disponibilità ad accompagnare ai viaggi di istruzione.
Queste, infatti, sono tutte attività non obbligatorie, dalle quali è possibile astenersi. Inoltre, l'iniziativa prevede assemblee dei lavoratori aperte a studenti e genitori. Infine, riguardo alle attività obbligatorie di insegnamento - conclude il sindacato -, l'invito è a limitarsi per quella settimana al livello di qualità didattica che sarà possibile fornire in futuro con 24 ore di lezione in classe ed una cinquantina (almeno) di ragazze e ragazzi in più da seguire. Studenti e studentesse di cui riusciremo forse ad imparare i nomi ed a leggere nei loro occhi la delusione per un futuro tradito".
Anief e Confedir esprimono in una nota "soddisfazione" per la decisione del Consiglio dei ministri di approvare un decreto legge che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223 dell'11 ottobre 2012, ha ripristinato la disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del personale dipendente pubblico.
"Con questo decreto si cancella così l'assegnazione ai lavoratori del 'balzello' del 2,5% sull'80% della retribuzione da accantonare per i trattamenti di fine servizio. L'Inpdap si dovrà rassegnare - spiegano i sindacati -: la relativa trattenuta deve essere posta interamente a carico del datore di lavoro. E restituire ai dipendenti pubblici quasi 4 miliardi di euro indebitamente sottratti in questi ultimi due anni".
"Tuttavia, da indiscrezioni si apprende anche che la norma introdotta con decreto legge non prevede la restituzione delle trattenute del 2,5% illegittimamente sottratte dal 1° gennaio 2011 dagli stipendi di quasi tre milioni e mezzo di dipendenti della pubblica amministrazione, di cui un milione operanti nella scuola come docenti e Ata - prosegue la nota -. Facendo così risparmiare allo Stato i 4 miliardi da restituire. Ma in tal caso, se ciò fosse confermato, ogni dipendente dovrà al più presto presentare richiesta individuale per il recupero delle somme indebitamente trattenute dallo Stato".
"Qualora questa ingiusta e incostituzionale eccezione fosse confermata nel testo di legge - afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità - il nostro sindacato non si fermerà di certo qui: dopo aver infatti spinto il Governo a varare il decreto, conseguente ai tanti ricorsi da noi presentati in tribunale, Anief e Confedir confermano l'intenzione di continuare a tutelare dipendenti e i dirigenti pubblici a cui è stata ingiustamente sottratta la quota nell'ultimo biennio. Rinunciarvi significherebbe piegarsi a chi continua a calpestare il rispetto per i lavoratori e per i loro diritti acquisiti".
I rimborsi da riscuotere non sono da poco: vanno da un minimo di 669 euro per il collaboratore scolastico ad inizio carriera ai 1.529 euro per i docenti di scuola secondaria di II grado alle soglie della pensione. E ancora di più per i dirigenti statali.
Per assicurarsi il recupero di tali importi e il conseguente aumento dello stipendio - tra i 25 euro per il collaboratore scolastico neo assunto e i 55 euro per il docente della secondaria superiore a fine carriera - derivante dalla ritenuta finalmente cancellata e messa interamente a carico dello datore di lavoro (lo Stato), l'Anief mette gratuitamente a disposizione il modello di diffida da compilare e inviare all'Amministrazione – concludono Anief e Confedir -. L'invio della diffida è requisito indispensabile per procedere, in caso di rifiuto dell'Amministrazione, a reclamare in giudizio quanto spettante.
Per richiedere le istruzioni operative basta inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.".
Pubblichiamo, insieme al relativo articolo, una video-intervista ai rappresentanti dei sindacati che promuovono l'iniziativa "Profumo di didattica", che si svolgerà dal 5 al 10 novembre 2012. Per l'Anief, interviene il presidente regionale per il Lazio, Orazio De Giulii. (da OrizzonteScuola.it)
Protestano principalmente contro l'aumento a 24 ore, la legge Aprea e il blocco degli scatti di anzianità e propongono nella settimana dal 5 al 10 novembre, in concomitanza con la discussione in Parlamento degli emendamenti al testo della Legge di stabilità, l'iniziativa di lotta "Profumo di didattica". Il 16 sciopero.
Dicono no all'innalzamento dell'orario lavorativo e ritengono "preoccupante, invece, il teatrino politico-sindacale che tenta di annullarne la prospettiva solo per fini elettorali, dando soluzioni minime e temporanee (i rumors della sola cancellazione dell'aumento delle ore a parità di stipendio) nascondendo provvedimenti ben più gravi".
Si oppongono al DdL ‘Aprea’, "alla chiamata diretta dei lavoratori da parte dei Dirigenti, alla spending review che ha colpito in modo indegno il personale ATA, i docenti inidonei, i precari e addirittura le minoranze linguistiche, sono parte integrante della nostra lotta alla politica dei ricatti che sta escludendo i figli dei lavoratori dalla Scuola."
E propongono una settimana di mobilitazione dal 5 al 10 novembre che prevede assemblee dei lavoratori, con studenti e genitori, didattica alternativa e l'astensione da ogni attività aggiuntiva non obbligatoria, presìdi ed iniziative locali. Iniziative che culmineranno nello sciopero generale dei lavoratori per il 16 novembre con manifestazione nazionale a Roma
Unicobas Scuola, USB-Scuola, ANIEF, USI Scuola, CUB-Sur, Orsa Scuola e Università e SAB hanno deciso di avviare un settimana di attività essenziali: i docenti non assolveranno incarichi per la realizzazione del Pof, corsi di recupero, sportelli didattici e di supporto, viaggi di istruzione.
Si susseguono le iniziative di protesta contro l'innalzamento a 24 ore dell’insegnamento settimanale dei docenti della scuola media e superiore. Si va da quelle che si svolgeranno a livello di singolo istituto fino allo sciopero, con manifestazione nazionale a Roma, del 24 novembre.
Tra le contestazioni più originali spicca senz’altra quella avviata da una serie di sindacati - Unicobas Scuola, USB-Scuola, ANIEF, USI Scuola, CUB-Sur, Orsa Scuola e Università e SAB – che a seguito di un incontro tenuto il 24 ottobre a Roma hanno deciso di avviare un settimana di didattica essenziale, priva cioè di tutte quelle attività non obbligatorie che però rendono la scuola funzionale agli obiettivi che si prefissa.
I giorni dello sciopero “bianco”, preannunciati come anticamera dello sciopero del 16 novembre proclamato dall’Unicobas, sono quelli che vanno dal 5 novembre (in concomitanza con il relativo dibattito parlamentare) al 10 novembre. L’iniziativa si chiamerà, ispirandosi al ministro dell’Istruzione, “Profumo... di didattica”.
i sindacati organizzatori della settimana alternativa spiegano che l’iniziativa consisterà nel non partecipare a tutte le attività legate all'ampliamento dell'offerta formativa ed alla riuscita delle attività didattiche: incarichi per la realizzazione del Pof, corsi di recupero, sportelli didattici e di supporto, disponibilità ad accompagnare gli alunni ai viaggi di istruzione. Queste, infatti, sono tutte attività non obbligatorie, dalle quali è possibile astenersi. Inoltre, l’iniziativa prevede assemblee dei lavoratori aperte a studenti e genitori.
“La conseguenza delle attività di lezione in aula – spiega l’Anief attraverso un proprio comunicato - sarebbe quella di abbassare il livello qualitativo della didattica che - tanto per essere chiari anche verso qualche illustre rappresentante istituzionale dell’istruzione, ormai da anni lontano dalla cattedra - è cosa molto diversa dal presentarsi in classe e declamare i principi della propria scienza, senza badare a chi, tra gli studenti, ha bisogno di maggiore cura”.
Anche riguardo alle attività obbligatorie di insegnamento, l’invito dei sindacati è quello di “limitarsi per quella settimana al livello di qualità didattica che sarà possibile fornire in futuro con 24 ore di lezione in classe ed una cinquantina (almeno) di ragazze e ragazzi in più da seguire. Studenti e studentesse di cui riusciremo forse ad imparare i nomi ed a leggere nei loro occhi la delusione per un futuro tradito”.
L’organizzazione di Marcello Pacifico è convinta che con l’incremento a 24 ore dell’orario di lezione rappresenta un ulteriore indebolimento della qualità dell’istruzione pubblica in Italia. Solo “chi potrà permetterselo, si pagherà le ripetizioni private. Tutti gli altri, invece, non potranno far altro che ripetere l'anno, abbandonare la scuola oppure iscriversi a qualche diplomificio, per il quale i finanziamenti si trovano sempre. In sostanza, della didattica – conclude l’Anief - resterà solo il… Profumo”.
Commissione di Garanzia permettendo, dal momento che per il 14 è già programmato lo sciopero generale dei Cobas. D'Errico (Unicobas) non risparmia critiche: "Gli obiettivi dello sciopero del 24 sono miseri".
A questo punto all’appello manca solamente la Flc-Cgil.
Il 24 novembre, infatti, ci sarà lo sciopero di Cisl, Uil, Snals e Fgu-Gilda.
Il 14 è in programma lo sciopero generale dei Cobas.
Ed è di queste ore la notizia che il 16 novembre ci sarà uno sciopero di un ampio settore del sindacalismo di base (Unicobas, Usb, Cub, Usi, Orsa).
Gli obiettivi di questa ulteriore protesta non si fermano alla questione delle 24 ore (ipotesi peraltro già ritirata dallo stesso Governo) e neppure al mancato riconoscimento degli scatti stipendiali.
“Per noi - spiega Stefano d’Errico, segretario nazionale dell’Unicobas - c'è anche il netto rifiuto del cosiddetto ‘Ddl Aprea’, che introdurrebbe la chiamata diretta (e discrezionale) del personale da parte del dirigente scolastico, l’ingresso del privato come committenza nei Consigli di Istituto, la valutazione discrezionale del personale da parte del dirigente medesimo e l’annullamento di fatto degli organi collegiali”.
“In questa prospettiva - aggiunge polemicamente d’Errico - ogni ipotesi di adesione alla giornata di sciopero del 24 novembre appare irricevibile, per la miseria degli obiettivi indicati nella piattaforma proposta (che non menziona l’opposizione al ddl ‘Aprea’, vero e proprio veicolo di privatizzazione dell’istruzione pubblica) e ancor più per la presenza tra le forze promotrici di sigle sindacali da sempre inclini ad avallare le politiche governative, che presumibilmente si preparano ad accettare compromessi al ribasso e a svendere la categoria, come già successo ai tempi dello sciopero del 30 ottobre 2008 ‘contro’ la riforma Gelmini, ‘piazzato’ esattamente per il giorno dopo l’approvazione definitiva di quella legge che destrutturò poi la qualità della scuola, tagliando 130.000 fra cattedre e posti ATA”.
Ma le polemiche non si fermano qui. L’Unicobas, infatti, non risparmia neppure Piero Bernocchi e i Cobas: “Per quanto attiene allo sciopero intercategoriale proclamato dai COBAS per il 14 ottobre, denunciamo le contraddizioni di questa organizzazione che, dopo aver dato l’adesione allo sciopero CISL, UIL, SNALS e Gilda -ai quali s’è poi aggiunta anche la CGIL [va notato che per ora la notizia non trova ancora conferma nel sito della Flc, ndr] - del 24 novembre, è corsa nella stessa mattinata relativa alla nostra indizione del 16 a proclamare uno sciopero intercategoriale per il 14 novembre, scegliendo un giorno infrasettimanale non idoneo ad una manifestazione nazionale”.
D’Errico, peraltro, è ben consapevole che la Commissione di Garanzia potrebbe mettere in dubbio la legittimità dello sciopero del 16: “Con la loro iniziativa, a causa dei parametri restrittivi delle norme anti-sciopero, i Cobas creano un problema serio per l’effettuazione del nostro sciopero, mandano in secondo piano la lotta della scuola ed ipotecano fortemente la riuscita della lotta della categoria. Perciò li invitiamo a convergere con urgenza sul giorno 16”.
In preparazione dello sciopero i sindacati di base, in accordo con l’Anief, promuovono anche l'iniziativa di lotta "Profumo di didattica" che prevede assemblee dei lavoratori, con gli studenti, con i genitori, didattica alternativa e l'astensione da ogni attività aggiuntiva non obbligatoria, presidi ed iniziative locali.
In Sicilia agli alunni delle scuole primarie il tempo pieno è garantito solo nel 3% dei casi. In Lombardia lo stesso servizio è messo a disposizione del 90% degli iscritti. La forte discrepanza si deve anche e soprattutto alla mancanza delle mense scolastiche. È quanto denuncia il sindacato Anief, che lancia un appello ai candidati alla presidenza della Regione siciliana affinché si impegnino sin d'ora, prima di essere eletti, a farle attivare in tutte le scuole siciliane.
"Questa enorme disparità - commenta Marcello Pacifico, presidente dell'Anief - se confermata dimostra che nella scuola siciliana occorre attuare il prima possibile adeguati incentivi. Finanziari, ma anche di carattere strategico. Questi serviranno, tra l'altro, ad attivare il servizio mensa. La cui mancanza, in quasi tutte le scuole primarie della Sicilia, è alla base della scarsità di istituti che garantiscono il tempo pieno nell'isola".
L'Anief si rivolge, quindi, a tutti i candidati alla presidenza e dell'Assemblea della Regione Sicilia, la cui elezione è stata fissata per l'ultima domenica di ottobre: si impegnino sin d'ora, prima di essere eletti, a fare in modo che nel più breve tempo possibile tutte le scuole primarie della regione siano fornite di una mensa. "Solo in questo modo - sottolinea il presidente del giovane sindacato - sarà possibile permettere la permanenza a scuola degli alunni anche nel pomeriggio. Ed in tal modo tentare seriamente di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica e di elevare la qualità della didattica".
C'è, inoltre, un risvolto sindacale non certo marginale su cui vale la pena soffermarsi: "la generalizzata riduzione d'orario - sostiene Pacifico - spiegherebbe anche la penuria di posti di lavoro nelle scuole della Sicilia. Dove, rispetto all'alto bacino d'utenza, l'organico dei docenti e del personale Ata continua ad essere decisamente basso. Incrementare le ore di scuola permetterebbe, quindi, di portare il numero di posti dei docenti, degli amministrativi, dei tecnici e degli ausiliari a livelli più confacenti ad una delle regioni più grandi d'Italia".
"Fa un certo effetto sapere, leggendo il libro 'C'è un'Italia migliore', scritto da Nichi Vendola, candidato alle primarie del Pd, che nel 2012 il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato nel 90 per cento degli istituti della Lombardia; mentre in Sicilia dello stesso servizio pubblico ha usufruito appena il 3 per cento degli alunni. E che, di conseguenza, al termine dei cinque anni di scuola primaria i bambini della Sicilia studieranno 430 giorni in meno, che corrispondono a piu' di 2 anni scolastici". Lo afferma in una nota l'Anief.
"Questa enorme disparità - commenta Marcello Pacifico, presidente del sindacato - se confermata dimostra che nella scuola siciliana occorre attuare il prima possibile adeguati incentivi. Finanziari, ma anche di carattere strategico. Questi serviranno, tra l'altro, ad attivare il servizio mensa. La cui mancanza, in quasi tutte le scuole primarie della Sicilia, e' alla base della scarsità di istituti che garantiscono il tempo pieno nell'isola".
L'Anief si rivolge, quindi, a tutti i candidati alla presidenza e dell'Assemblea della Regione Siciliana, la cui elezione è stata fissata per l'ultima domenica di ottobre: "Si impegnino sin d'ora, prima di essere eletti, a fare in modo che nel più breve tempo possibile tutte le scuole primarie della regione siano fornite di una mensa".
"Solo in questo modo - sottolinea il presidente del sindacato - sarà possibile permettere la permanenza a scuola degli alunni anche nel pomeriggio. Ed in tal modo tentare seriamente di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica e di elevare la qualità della didattica".
"La generalizzata riduzione d'orario - sostiene Pacifico - spiegherebbe anche la penuria di posti di lavoro nelle scuole della Sicilia. Dove, rispetto all'alto bacino d'utenza, l'organico dei docenti e del personale Ata continua ad essere decisamente basso. Incrementare le ore di scuola permetterebbe, quindi, di portare il numero di posti dei docenti, degli amministrativi, dei tecnici e degli ausiliari a livelli più confacenti ad una delle regioni più grandi d'Italia".
A Torino emessa una sentenza che per il Miur potrebbe rappresentare una seria minaccia economica: va rispettato il principio di non discriminazione, un’interpretazione diversa costituirebbe un privilegio, di dubbia costituzionalità. Anief soddisfatta: riconosciuto un diritto.
Lo Stato italiano non può usare due pesi e due misure. A sostenerlo è il giudice del Lavoro di Torino, che esaminando un ricorso dell’associazione sindacale Anief ha sottolineato che poiché nella ricostruzione di carriera ai docenti di religione cattolica vengono considerati, ai fini degli “scatti” biennali automatici, anche tutti gli anni di precariato, lo stesso calcolo deve venire per forza di cose adottato anche per gli insegnanti delle altre materie.
Nella sue sentenza il giudice del Lavoro ha condiviso e riportato la motivazione della Corte d'Appello di Torino, che di recente ha rilevato come “[...] la norma di cui all’art. 53 legge 312/1980, che prevede l’attribuzione al personale non di ruolo docente, educativo e non docente, di aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato, a partire dal 1.6.1977, in ragione del 2,50% sulla base dello stipendio iniziale, risulta esplicitamente richiamato sia dall’art. 142 CCNL 2002 - 2005 Comparto Scuola, sia dall’art.146 del successivo CCNL 2006 - 2009, sicché essa deve ritenersi applicabile prima facie al trattamento economico di tutto il personale docente non di ruolo”.
Per il giudice del Lavoro, quindi, non vi sono dubbi: su questo punto, sulla considerazione del precariato ai fini degli aumenti retributivi automatici biennali, “va rispettato il principio di non discriminazione ex art. 6 d.lgs 368/01”perché “un’interpretazione difforme si tradurrebbe in un ingiustificato privilegio, di dubbia costituzionalità, in favore degli insegnanti di religione”. Anche perché, conclude la sentenza, non vi sono “ragioni ostative per l’equiparazione discendenti dalla natura del contratto a termine”.
Secondo l’Anief, la sentenza di Torino rappresenta “un ulteriore e soddisfacente successo a tutela di una nostra iscritta con conseguente riconoscimento del diritto alla progressione stipendiale che, nonostante gli anni di lavoro a tempo determinato prestati alle sue dipendenze, il Miur non le aveva mai corrisposto”.
La sentenza cosa comporterà? Per il dicastero di viale Trastevere il danno economico non sarà altissimo: il Miur è stato infatti condannato al pagamento degli scatti biennali sino ad oggi non corrisposti alla ricorrente, quantificati in 1.570,10 euro, con ulteriore soccombenza per le spese di giudizio liquidate in 1.100 euro. Qualora però altri docenti (potenzialmente la grande parte di quelli di ruolo, quindi centinaia di migliaia, che prima di diventare tali hanno svolto diversi anni di precariato) dovessero chiedere la medesima equiparazione, è probabile che quanto espresso dal giudice di Torino possa rappresentare un precedente che fa, come si dice in gergo tecnico, “giurisprudenza”. Andando così a determinare il rischio di un effetto-cascata. Di cui il Miur farebbe volentieri a meno. In questo caso, infatti, le somme che andrebbero corrisposte sarebbero di ben altro tenore.
Vittorie nei tribunali per i ricorsi presentati sia da Anief che da Adida, sul riconoscimento degli scatti di anzianità per i docenti precari. E intanto per la Corte di Giustizia Europea, ci informa DirittoScolastico.it, "compito dei giudici deve essere quello di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole del lavoratori a tempo determinato, sulla sola base della durata dei contratti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale.
“Forse siamo ad un giro di boa – ha commentato Barbara Borriero coordinatrice nazionale Adida – questa volta non si tratta di un accoglimento di sparuti e piccoli Tribunali della Penisola, ma di una svolta intervenuta in uno dei Tribunali e fori più importanti d’Italia”.
“L’accoglimento riguarda non solo gli scatti di anzianità ma anche il risarcimento del danno – riferiscono gli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia – il Tribunale ritiene che un lavoratore a tempo determinato sia tale e quale in termini di competenza e professionalità ad uno a tempo indeterminato e non fa distinzioni fra abilitati e non abilitati, equiparandoli finalmente in termini economici”.
Il Tribunale di Milano, riferiscono soddisfatti da Adida, accoglie i diritti dei precari e condanna alle spese del processo il Ministero.
La questione all’esame del Tribunale di Milano, sezione lavoro, concerneva l’impugnazione di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il Ministero, per lo svolgimento dell’attività di docente, tra il 14 maggio 2006 e il 30 giugno 2012 per cui veniva richiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; l’erogazione di una somma indennitaria come per legge; l’aumento periodico della retribuzione in base agli anni di servizio e gli scatti biennali di stipendio.
Il Tribunale di Milano ha così statuito: “orbene, lo scatto di anzianità ha la funzione di parametrare il trattamento retributivo alla progressiva acquisizione di una maggiore professionalità e competenza del lavoratore. Esso, in sostanza, tiene conto della maturazione della sempre più ampia esperienza che ciascun lavoratore consegue in forza del protratto svolgimento della propria prestazione.”
Secondo il Giudice Milanese: “Nel caso di specie, la progressiva reiterazione di rapporti di lavoro a tempo determinato ha di fatto realizzato un contesto del tutto identico, sotto il profilo dello sviluppo della professionalità, a quello tipico di un rapporto a tempo indeterminato.
Non v’è dubbio, infatti, che l’odierna ricorrente abbia prestato la propria attività senza soluzione di continuità e che lo abbia fatto sempre svolgendo mansioni corrispondenti al profilo di docente. Conseguentemente, non può revocarsi in dubbio che la stessa abbia nel tempo acquisito un’esperienza del tutto identica, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, a quella maturata dai colleghi di pari anzianità, legati all’amministrazione da un rapporto a tempo indeterminato. La disparità di trattamento sin qui riservata alla parte attrice non risulta legittimata da alcuna ragione obbiettiva, né in altro modo giustificabile.
Può e deve quindi essere accolta la domanda relativa al risarcimento del danno subito per il pregresso mancato riconoscimento dell’adeguamento retributivo.
Per questi motivi, deve essere dichiarato il diritto della ricorrente al riconoscimento ad ogni effetto di legge e di contratto dell’anzianità maturata dal 11.09.2008, e al risarcimento del danno patito, consistente nella mancata percezione negli anni passati delle retribuzioni di volta in volta adeguate alla corrispondente anzianità”.
Vittorie anche anche per l'ANIEF, nei tribunali di Rossano (CS) e Cuneo.
Il Tribunale di Rossano (CS) ha dato ragione all'ANIEF e all'Avv. Ida Mendicino riconoscendo che il MIUR aveva stipulato con due docenti contratti di lavoro a tempo determinato senza una corretta ragione giustificatrice del termine apposto. Il Giudice ha, infatti, rilevato come “per ciascuna tipologia di assunzione a termine sia, comunque, richiesta la prova delle esigenze temporanee del datore di lavoro e come la parte resistente non abbia, invece, offerto alcuna dimostrazione di carattere fattuale”.
Il MIUR è stato, quindi, condannato al risarcimento del danno, liquidato in un totale di 17 mensilità della retribuzione mensile globale di fatto e ha inoltre condannato il MIUR ad adeguare la retribuzione delle ricorrenti con gli scatti biennali maturati “con riconoscimento degli arretrati retributivi e interessi dalle scadenze al saldo”. Le spese di lite a carico del Ministero sono state quantificate in € 2.000.
Presso il Tribunale di Cuneo, gli Avvocati Giovanni Rinaldi e Patrizia Gorgo hanno sostenuto la tesi da anni portata avanti dall'ANIEF e hanno chiesto al Giudice del lavoro di applicare agli stipendi degli insegnanti precari gli aumenti periodici legati all'anzianità nella misura del 2,5% per ogni biennio di insegnamento, deducendo l'applicabilità di detti benefici anche agli insegnanti non di ruolo, pena una palese discriminazione tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato.
Dando pieno accoglimento a quanto richiesto dai legali ANIEF, quindi, il Giudice ha condannato il MIUR “a pagare al ricorrente a titolo di scatti biennali maturati in corso di rapporto la somma di € 6.442,49, oltre interessi legali e l'eventuale ulteriore somma spettante a titolo di differenza tra questi ultimi e l'eventuale maggior importo della rivalutazione monetaria dalla maturazione delle singole differenze mensili al saldo” e ha concluso con la solita condanna alle spese per il MIUR dell'importo di € 1.550.
Le vittorie nei tribunali d'Italia sono oggi affiancate da un'importante sentenza della Corte di Giustizia europea che nega l'efficacia della norma italiana (contenuta nella finanziaria per il 2007, L. 296/2006), che prevede la possibilità, quando si assume personale nel pubblico impiego, di ignorare le precedenti assunzioni effettuate con contratti a tempo determinato.
Giunge al termine la vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso i docenti neo immessi in ruolo dal 1° settembre 2012, che non hanno ancora ricevuto la retribuzione spettante. Nella risposta inviata al sindacato ANIEF in seguito alla diffida, il Miur spiega le circostanze che hanno determinato questo ritardo e il modo in cui si sta procedendo. Secondo il sindacato i pagamenti dovrebbero arrivare a fine ottobre- inizio novembre.
Come indicato nella risposta, il "Direttore generale per gli studi, la programmazione e i sistemi informativi, Emanuele Fidora, spiega come la causa del ritardato pagamento sia da imputarsi primariamente alla necessità di verificare l’avvenuta presa di servizio del personale individuato per la stipula dei contratti a tempo indeterminato, al fine di evitare indebiti pagamenti che il Tesoro avrebbe poi dovuto sanzionare.
L’elenco dei nominativi di coloro che hanno effettivamente titolo al pagamento delle spettanze, depurato dalle posizioni dei 121 individuati che non hanno preso effettivamente servizio, è stato inviato agli uffici del MEF lo scorso 4 ottobre. Pertanto, il ministero assicura che i pagamenti dovrebbero poter finalmente aver inizio entro la fine dello stesso mese, salvi eventuali ulteriori ritardi dovuti alle procedure di elaborazione ed agli scarti prodotti dalla procedure del sistema informativo del Tesoro."
ANIEF prende atto favorevolmente della risposta del Miur, auspicando che in futuro le procedure possano avvenire con maggiore celerità, onde evitare disagi ai lavoratori che hanno diritto a percepire con regolarità e in tempi brevi lo stipendio e comunica che appare più che probabile che tutti in neoimmessi in ruolo con decorrenza 1° settembre 2012 inizieranno a ricevere i primi pagamenti tra la fine di ottobre e il mese di novembre.
"Non esistono ragioni oggettive per non valutare per intero gli anni di precariato (superiori al quarto) svolti dal personale della scuola assunto dopo l'emanazione della direttiva comunitaria 1999/70/CE". Lo afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla Scuola e alte professionalità.
"La Suprema Corte europea - continua Pacifico - ricorda come il giudice nazionale debba valutare se le mansioni svolte da precario siano state diverse da quelle svolte da neo-assunto, e soltanto in caso di obiettiva diversità della funzione svolta apprezzare la diversa normativa introdotta dal legislatore. In caso contrario, il dipendente assunto in ruolo ancorché attraverso procedure non concorsuali deve avere riconosciuto per intero il servizio pregresso ai fini della progressione di carriera e della pensione".
Il caso – sottolinea l'Anief - calza a pennello per il personale della scuola dove la norma interna recepita nei contratti collettivi di lavoro ancora vigenti anche se scaduti (Ccnl 2006-2009) senza alcuna protesta o indicazione o denuncia dei sindacati rappresentativi, riconosce per intero soltanto i primi quattro anni di precariato, mentre i restanti vengono valutati per 1/3 ai fini economici e per 2/3 ai fini giuridici.
Intervista al presidente del sindacato che predilige i ricorsi al sindacalismo senza più “potere contrattuale”. Ma avverte: devono essere sempre fondati. Critico sulla class action del Codacons. E sull’assunzione dei precari storici non demorde: chiedano all’Ue l’avvio di una procedura d'infrazione, la Cassazione può ancora cambiare idea.
Ridurre il precariato, bandire un nuovo concorso per dirigenti scolastici, salvaguardare i diritti del personale di ruolo, come le vittorie sugli inserimenti a “pettine” nelle GaE e sulla trattenuta del 2,5% per l’accantonamento del Tfr. Sono alcuni dei “cavalli di battaglia” dell’Anief, l’associazione sindacale che negli ultimi anni ha condotto le questioni della scuola in decine di tribunali sparsi per la penisola. Creando, piaccia o no, un nuovo modo di fare sindacato.
C’è, infatti, chi continua a preferire la concertazione. Chi preferisce la strada dello sciopero e della piazza, come le Flc-Cgil. Chi intraprende strade nuove, come il Codacons, protagonista del tentativo di avviare anche nel mondo della scuola la pratica della class action.
Per approfondire questi temi abbiamo intervistato Marcello Pacifico, fondatore e presidente dell’Anief.
D. - Presidente, da quattro anni il suo sindacato porta avanti con fermezza la linea dei ricorsi a favore del personale scolastico. In diversi casi avete ribadito che si tratta dell'unica strada percorribile. E spesso gli esiti delle sentenze vi hanno dato ragione. Per quale motivo siete allora stati critici verso la class action tentata dal Codacons, attraverso cui si è tentato (inutilmente visto che il Tar ha respinto il tentativo) di tutelare i diritti dei supplenti eterni precari?
R. - Nella sentenza del Tar Lazio si legge che il ricorso promosso dal Codacons è in parte irricevibile e in parte non condivisibile. Non è mai corretto commentare ricorsi patrocinati da altre organizzazioni, ma è bene chiarire una cosa: l'Anief utilizza il ricorso per ottenere giustizia, dopo che, non essendo rappresentativa, apre un dibattito, comunque in Parlamento attraverso le audizione e nell'opinione pubblica attraverso gli organi di stampa. Il ricorso è sempre fondato e motivato ed ha un fine sindacale di tutela di diritti soggettivi del personale della scuola e del diritto della collettività a una scuola migliore. Sul tema del precariato, era ed è evidente che la class action non può ottenere la stabilizzazione dei precari. Soltanto il giudice del lavoro ha il potere costitutivo del rapporto di lavoro.
D. - Secondo lei, cosa dovrebbero allora fare i precari "storici" della scuola, con almeno 3-4 anni di supplenze alle spalle, per essere assunti o almeno indennizzati dopo che la Cassazione sembrerebbe aver spazzato via le speranze? R. - Inviare una semplice denuncia alla Commissione UE per la violazione della direttiva comunitaria 1999/70/Ce così da richiedere l'attivazione di una nuova procedura d'infrazione che possa far cambiare idea ai giudici della Cassazione, convinti della legittimità di un intervento derogatorio del legislatore italiano sulla materia dell'attribuzione dei contratti a termini per i precari della scuola. In questo modo, sarebbero confermate le diverse sentenza di primo grado, molte ottenute dall'Anief, di condanna al risarcimento danno o alla stabilizzazione degli stessi precari. Infine, si potrebbe ricorrere al giudice del lavoro per ottenere il rispetto degli impegni assunti con l'Europa. Potrebbero passare mesi, anni. Ma l'erogazione delle borse di studio ai medici specializzandi del 1982 e 1989 fa ben sperare. È bene sapere che quando si riscontra una violazione del diritto comunitario, alla fine si ottiene giustizia.
D. – Anche se certe sentenze continuano a tutelare i diritti dei lavoratori, come quella dei giorni scorsi della Consulta che ha cancellato la sottrazione del 2,5% dello stipendio a favore del Tfr, l’impressione è che negli ultimi anni il “clima” a favore dei ricorrenti sia cambiato in peggio: quanto può pesare sul giudizio dei giudici, che influisce su una grande mole di lavoratori e di soldi dello Stato, la difficile situazione economico-finanziaria che si vive in questo momento?
R. - E' ovvio che la recente sentenza che dichiara incostituzionale il blocco degli automatismi di stipendio per i giudici, il prelievo del 5% sopra una certa soglia di reddito, la trattenuta del 2,5% per la costituzione del Tfr sugli stipendi dei dipendenti pubblici ha un grosso impatto sociale, ma il diritto al lavoro, a una giusta retribuzione proporzionale allo stipendio, a un contratto, sono costituzionalmente protetti e non possono essere barattati sotto il diktat dei mercati. Dovremmo rinnegare, forse, un giorno, la nostra democrazia perchè non possiamo più pagarcela?
D. – Parliamo del concorso per dirigente scolastico, avviato un anno fa ma “appeso” alle sentenze programmate per il prossime mese di novembre: l’Anp non ha nascosto apprezzamenti per il respingimento del Tar del Lazio del ricorso di alcuni ricorrenti privati. Che ne pensa?
R. - Un sindacato non dovrebbe mai esultare quando sull'esito di un ricorso c’è ‘puzza di bruciato’. Anzi, dovrebbe avere il compito di chiedere certezza per salvaguardare l'interesse pubblico a selezionare i migliori secondo prove serie, corrette e non errate, tanto più se vi sono interrogazioni parlamentari sulla presenza di suoi dirigenti nelle commissioni concorsuali. Premesso questo, oggi il sindacato non ha più potere contrattuale perchè i contratti sono bloccati e fino al 2015 può soltanto ricevere informative e mantenere i privilegi in termini di distacchi o risorse. L'unica strada per richiedere il rispetto del diritto rimane il ricorso la tribunale, come la Costituzione prevede.
D. – Quindi l’unica strada percorribile è quella del ricorso seriale?
R. – Non sempre. Bisogna infatti stare attenti, perchè i ricorsi devono essere sempre fondati, se no, si rischia di essere condannati alle spese, tanto i ricorrenti quanto i contro-interessati o le amministrazioni convenute. Un esempio, lo ha dato la stessa Anief quanto ha ottenuto la condanna del Miur al pagamento di 5.000 per ogni ricorso sull'inserimento a pettine dei ricorrenti. O quando continua a ottenere 2.000 euro, in media, di condanne alle spese, sui posti accantonati in questi giorni dai giudici del lavoro.
"L'eventuale decisione di votare favorevolmente una legge di stabilità contenente delle norme sulla scuola palesemente incostituzionali, a fine legislatura ed in particolare in occasione delle votazioni politiche di primavera, difficilmente potrà essere dimenticata da un milione e mezzo di elettori".
A sostenerlo è l'associazione sindacale Anief, che invita i parlamentari a studiare bene le norme approvate dal governo.
Sono diversi i punti contestati dall'Anief: assegnare ai funzionari dell'Inps e non delle U.S.L./S.S.N. il compito di decidere quante ore di sostegno devono avere i nostri alunni disabili (c. 33); convincere il personale inidoneo a dimostrare di essere guarito per non cambiare lavoro grazie a una nuova catartica visita medica (c. 32); autorizzare le scuole autonome a regalare nuovi punti per le graduatorie (c. 35); fondere le direzioni scolastiche regionali in interregionali, dopo l'abrogazione degli ambiti territoriali (c. 39); ridurre della metà l'attuale personale distaccato per l'attuazione dell'autonomia e per lo svolgimento di attività formativa anche in campo di disagio sociale (c. 46); aumentare l'orario di cattedra del personale docente da 18 a 24 ore, a stipendio invariato e bloccato al netto dell'inflazione, irrecuperabile ai fini di progressione di carriera, e con una mole di lavoro che supera del 25% la media Ocde.
"Sul web sono state raccolte 20.000 firme in poche ore contro una norma che allontanerebbe l'Italia dagli altri Paesi dell'Ocse e avrebbe violato due precisi articoli della Costituzione".
Così Marcello Pacifico, Presidente Anief e delegato Confedir per la Scuola, dopo aver apposto anche la sua firma alla petizione pubblica.
L'Anief chiede al ministro della pubblica istruzione Francesco Profumo di fare un passo indietro sull'aumento dell'orario di lavoro degli insegnati a '24 ore' con il contratto bloccato.
I dati della ricerca "Education at a Glance" che pone a confronto i sistemi educativi nell'ultimo decennio nei 37 Paesi più economicamente avanzati, dimostrano come il carico di lavoro (didattica) dei docenti italiani sia nella media, per la scuola materna ed elementare (12 ore in meno), di poco inferiore per la scuola media (74 ore) e per la secondaria superiore (28 ore).
E se complessivamente i docenti italiani lavorano una settimana in meno e dieci giorni in meno rispetto agli altri, hanno avuto, però, soltanto il 5% di aumento di stipendio rispetto al 20% degli altri e continuano a perdere a fine carriera 8.000 euro annui. Per questo l'aumento di 234 ore dell'orario di lavoro (6 ore per 39 settimane) proposto dal Governo è fuori da ogni logica e anche privo di buon senso, vista l'evidente discriminazione nel trattamento economico.
"L'articolo 39 della Costituzione, d'altronde, - prosegue Pacifico - prevede che il rapporto di lavoro sia regolato da un accordo tra la parte datoriale e il sindacato, mentre l'articolo 36 della Costituzione impone uno stipendio proporzionale alla mole di lavoro e l'obbligo delle ferie che non possono essere considerate una monetizzazione di una prestazione lavorativa, ma un riposo dall'ordinario lavoro".
Per queste ragioni, Anief ha lanciato un appello al ministro Profumo perché ritiri questa insensata e incostituzionale proposta.
Il sindacato Anief, con le sue censure, differenzia i ricorsi sentenziati il 26 settembre scorso dal Tar Lazio, di cui abbiamo già dato notizia in un precedente articolo.
La recentissima sentenza del TAR del Lazio sez. III^ bis n. 8141/2012 del 26/09/2012 riguardante la prova preselettiva del concorso per DS, ha stabilito la legittimità della prova preselettiva espletata dagli aspiranti DS su tutto il territorio nazionale. In questa sentenza sono stati condannati alle spese i numerosi candidati ricorrenti che, non superando la prova preselettiva, e risultati quindi esclusi dal concorso, avevano evidenziato in sede giurisdizionale le loro doglianze. Alla luce di questi fatti si potrebbe pronosticare stessa sorte per i numerosi ricorsi proposti ed attualmente pendenti innanzi al TAR Lazio che, autorevolmente, ed in linea con gli ultimi pronunciamenti in materia del Consiglio di Stato (adito in sede cautelare) hanno escluso ipotesi d' illegittimità degli atti inerenti la procedura concorsuale in argomento.
Di parere contrario il sindacato ANIEF (si legga il comunicato pubblicato nella rubrica "La voce degli altri") che differenzia i ricorsi sentenziati il 26 settembre scorso dai propri. Infatti, rispetto al ricorso perso in questi giorni da privati le censure presentate dall’ANIEF sono decisamente diverse. Una di queste riguarda, ad esempio, la violazione di una precisa disposizione del bando di concorso nella parte in cui è venuta a mancare la correttezza di diverse domande e risposte. Altre censure, invece, hanno riguardato l’operato dell’Invalsi.
Quindi ANIEF non ha mai affermato che nelle prove preselettive del concorso per dirigenti scolastici vi sarebbe stata una discriminazione tra ricorrenti esclusi e candidati risultati idonei all’accesso alla successiva prova scritta, ma soltanto il fatto che gli errori docimologici proposti violano quanto scritto nel bando concorsuale. Pertanto la sentenza del 22 novembre sarà completamente indipendente da quella n. 8141/2012 del 26/09/2012, in quanto fondata su presupposti del tutto diversi.
La notizia pubblicata dal nostro sito ha smosso le acque e adesso i sindacati stanno intervenendo sulla questione. Anief soddisfatta. Flc-Cgil lamenta scarsa trasparenza e accusa il Miur di non rispettare le regole delle relazioni sindacali.
La notizia sulla questione del dimensionamento scolastico, da noi pubblicata nella giornata del 14 ottobre, non è passata inosservata. Nella mattinata del 15 Flc-Cgil e Anief sono già intervenuti per chiarire la propria posizione.
L’Associazione-sindacato di Marcello Pacifico si mostra soddisfatta ed “auspica che l’accordo possa essere firmato il prima possibile per porre fine al palese stato di illegalità, con precise clausole di salvaguardia deputate a tenere conto delle specificità territoriali”. “L’azione tempestiva, ancorché isolata, dell’Anief - dichiara Pacifico - ha spinto il Governo a ripristinare il diritto: vi saranno più posti per dirigenti scolastici e personale ATA, mentre sarà salvato il posto di lavoro dei direttori dei servizi generali e amministrativi in esubero”.
Più articolato il giudizio della Flc che parla invece di pura e semplice logica numerica e sottolinea come il nuovo parametro (una istituzione scolastica ogni 900 alunni) rappresenti “un numero del tutto arbitrario, scaturito peraltro da un dibattito al Senato all'indomani della bocciatura della legge da parte della Corte Costituzionale (Sentenza 147), basato su numeri del tutto imprecisi”.
“Quest'anno - prosegue il sindacato di Pantaleo - nel Paese vi sono 9.135 scuole e con quel divisore diventano 8.894 che in realtà sono 8.787 se non si calcolano i 107 CPIA di nuova istituzione. Di nuovo la scuola è chiamata a pagare, nonostante per il corrente anno scolastico si sia operato di già un taglio di 1.078 scuole”.
La Flc rimprovera poi alla Amministrazione la mancanza di confronto con i sindacati (“il testo dell’intesa ci è stato semplicemente consegnato a mano, come fanno i postini”) ma anche di chiarezza su questioni molto rilevanti come ad esempio quella dei comprensivi: “la cogenza di istituire Istituti comprensivi - afferma la Flc - non esiste più anche per evitare il mantenimento di istituzioni "monstres" quali si sono costituiti con provvedimenti rivelatisi incostituzionali”. “La nostra idea - conclude la Flc - è questa: non una scuola di meno rispetto all'anno scolastico corrente”.
Il Condacons chiede al personale di ricorrere contro la Legge di Stabilità collettivamente già a partire dal 13 ottobre. Critica l’Anief, peraltro per natura incline a rivolgersi ai tribunali: azione prematura e incauta, il testo approvato dal Cdm non è stato convertito in legge e non si possono processare le intenzioni. Dubbi poi sulla scelta di agire attraverso una class action.
Che la scuola costituisca il più grande concentrato di lavoratori pubblici è un dato inequivocabile. Che questi lavoratori possano cercare di difendersi da norme vessatorie e penalizzanti rivolgendosi a sindacati, associazioni e avvocati privati è un fatto noto e comprensibile. Soprattutto quando le sentenze sono favorevoli ai ricorrenti. Portando benefici ai dipendenti risultati vincitori, ai legali che li tutelano e all’immagine delle organizzazioni che hanno patrocinato la difesa.
Negli ultimi tempi, complice l’esplosione del precariato, la “stretta” sui dipendenti pubblici, i tagli agli organici, le azioni dei legali hanno assunto sempre maggiore consistenza numerica. Ed economica, con rimborsi sempre più congrui raggiungendo in certi
Tanto è vero che anche organizzazioni non propriamente scolastiche si sono avvicinate al settore. Andando ad alimentare una concorrenza sempre più difficile da vincere. Ecco che allora per associazioni, sindacati e legali vari è diventato fondamentale arrivare prima degli altri. La netta impressione è che, però, si stia davvero esagerando.
La conferma l’abbiamo avuta nelle ultime ore. Subito dopo la pubblicazione della prima bozza degli articoli sulla scuola contenuti nella discussa Legge di Stabilità. Una bozza che, se fosse confermata, andrebbe sicuramente a penalizzare non poco i docenti. In particolare quelli delle scuole medie e superiori. Catapultati, da un giorno all’atro, da un orario d’insegnamento settimanale di 18 ore ad uno decisamente più sostanzioso di 24. Senza possibilità di scelta. Ed in cambio della concessione di giorni di ferie che, di fatto, già vengono fruiti come tali. Il tutto, tra l’altro, superando contratti di lavoro e principi costituzionali che danno indicazioni ben diverse.
Il malcontento della categoria ha assunto subito dimensioni ciclopiche. Basta andare a leggere le proteste dei nostri lettori. Solo che bisogna ricordare che si tratta pur sempre e solo di una bozza di legge. E che in molti casi la norma che viene approvata è diversa da quella iniziale. Eppure, come se questo fosse un particolare ininfluente, la corsa al ricorso è già partita. Con il Codacons che nella stessa giornata in cui è stata divulgata la versione ufficiale della bozza della Legge di Stabilità, approvata il 10 ottobre dal Consiglio dei ministri, ha annunciato “fin da ora una battaglia legale per ottenere l’annullamento dell’incremento delle ore lavorative”. Secondo il Codacons siamo di fronte ad “un provvedimento che incrementa le ore di lavoro senza aumentare proporzionalmente la retribuzione dei lavoratori, è palesemente incostituzionale e, come tale, annullabile”. L’art. 36 della Costituzione afferma infatti che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. La richiesta di adesione immediata ai ricorsi si conclude con un appello ai “docenti di tutta Italia” che, per l’associazione dei consumatori, “possono unirsi e partecipare al ricorso collettivo in preparazione, fornendo a partire da domani (13 ottobre n.d.r.) la propria adesione”.
A conferma che la scelta di adire subito le vie legali sia davvero prematura è addirittura Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, il sindacato che proprio sui ricorsi ha basato la sua ascesa di credibilità e di adesioni. Secondo Pacifico è però “del tutto inutile far ricorso contro queste norme in questo momento. Anche noi siamo convinti che sono da ritirare, in particolare l’estensione dell’orario di servizio degli insegnanti della scuola a 24 ore settimanali, peraltro a parità di retribuzione ed in cambio di insensati giorni di ferie. E che per introdurre una novità di questa portata non basta un decreto d’urgenza del Governo, ma bisogna per forza modificare il contratto di lavoro di categoria. Però da qui ad avere una frenesia attivista, quasi da prestazione, ce ne vuole”.
Per il leader dell’Anief, quindi, quella del Codacons è “un’azione prematura e incauta: il testo approvato dal Consiglio dei ministri non è stato infatti ancora convertito in legge. E non si può andare a fare un processo alle intenzioni”.
A non convincere, infine, è la decisione dell’associazione guidata da Carlo Rienzi di condurre un ricorso collettivo: il recente esito negativo della class action condotta in difesa dei precari di lungo corso non sembra essere di buon auspicio. Ma le esperienze non sembra portare consiglio. Almeno tra gli avvocati.
Portare l’orario di servizio del personale docente della scuola indistintamente a 24 ore settimanali, "in cambio di insensati giorni di ferie in più, non è un’operazione possibile. E per farlo non basta un decreto d’urgenza del Governo, ma bisogna per forza rimettere mano al contratto di lavoro di categoria. Che invece al momento rimane bloccato".
A sostenerlo è l’associazione sindacale Anief, dopo aver preso visione della bozza della Legge di Stabilità 2013: in particolare, non è ammissibile, come indicato nell`art. 3, che "a decorrere dal 10 settembre 2013, nelle sei ore eccedenti l’orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune" possa essere "utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo".
Portare l'orario di servizio del personale docente della scuola indistintamente a 24 ore settimanali, in cambio di insensati giorni di ferie in più, non è un'operazione possibile. E per farlo non basta un decreto d'urgenza del Governo, ma bisogna per forza rimettere mano al contratto di lavoro di categoria. Che invece al momento rimane bloccato".
A sostenerlo è l'associazione sindacale Anief, dopo aver preso visione della bozza della Legge di Stabilità 2013: in particolare, non è ammissibile, come indicato nell'articolo 3, che "a decorrere dal 10 settembre 2013, nelle sei ore eccedenti l'orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune" possa essere "utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell'istituzione scolastica di titolarità e per l'attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo".
L'Anief ricorda al Governo che, "come già previsto dall'art. 39 della Costituzione e dalle norme derivanti, la modifica dell'orario di lavoro del personale della scuola è soggetto a particolari necessità didattico-formative e di preparazione-programmazione delle stesse. E per questo motivo deve passare necessariamente attraverso uno specifico accordo tra amministrazione e parti sociali. Risulta, quindi, incostituzionale e annullabile dal tribunale un decreto di questa portata".
La legge che blocca gli scatti di anzianità è incostituzionale, lede gli articoli 36 e 39 della Costituzione. Pacifico: "l'unica strada percorribile è il ricorso". La video dichiarazione a cura di Fulvia Subania.
La Corte costituzionale ha bocciato la manovra correttiva del 2010 nella parte che disciplinava la trattenuta del tfr per i dipendenti pubblici.
In una sentenza depositata oggi, la Consulta ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 10", del decreto legge 78 del 2010.
Per decisione del quarto governo di Silvio Berlusconi, dal 2011 la trattenuta del Tfr nel pubblico impiego è scesa al 6,91% dal 9,60%. Mentre nel settore privato la trattenuta è totalmente a carico del datore di lavoro, nel pubblico impiego 2,5 punti su 6,91 sono a carico dei dipendenti.
La Corte ha bocciato la misura ravvisandovi una discriminazione per i lavoratori pubblici rispetto ai privati.
L'Anief, l'Associazione professionale sindacale, sostiene in una nota che "lo Stato dovrà adesso versare circa 8 miliardi di euro".
Prolungamento del blocco degli scatti stipendiali e dell'indennità di vacanza contrattuale, penalizzazioni per i dipendenti che assistono i disabili, aumento delle ore d'insegnamento settimanale dei docenti. Secondo il sindacato Anief "se la Legge di stabilità dovesse realmente contenere queste novità peggiorative non vi sono dubbi: il rischio fondato è quello di ritrovarsi una scuola italiana sempre più in ginocchio".
"L'Anief però non starà a guardare. Sull'ennesimo blocco degli stipendi, il nostro sindacato l'ha detto già da un anno: l'unica strada è ricorrere al tribunale. A poco possono, invece, servire iniziative di piazza, scioperi, accordi con l'Aran e revisioni dei contratti d'istituto. Come deciso da altre organizzazioni. La realtà è che non c'è più tempo da perdere, perché la situazione economica che si sta venendo a determinare è davvero grave: non ci dimentichiamo che con gli stipendi dei docenti fermi al 2000, il Governo ha anche deciso di aumentare l'Iva, peraltro per la seconda volta in pochi anni".
"Questo doppio provvedimento - sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato ai quadri e direttivi della Confedir - penalizzerà tutti i dipendenti pubblici, in particolare gli insegnanti. I quali, a parità di lavoro, risultano già i meno pagati tra i 37 paesi più economicamente sviluppati. Per questo, contro il blocco stipendiale non resta che fare ricorso".
L'Anief annuncia una forte opposizione anche alle ipotesi di ridurre del 50% le giornate di assistenza ai disabili non di primo grado e di aumentare a costo zero il carico di ore settimanale degli insegnanti. "L'incremento delle ore frontali - continua Pacifico - non farebbe altro che creare nuovo precariato. Inoltre, saremmo di fronte ad una palese lesione di un diritto costituzionale, quale è a la garanzia dell'adeguata retribuzione per il lavoro svolto. E questo, è bene ricordarlo, a cospetto di un sempre maggiore carico fiscale e del costo della vita".
Per il sindacato si tratta di ipotesi improponibili. "Il Governo deve quindi decidere: riscoprire la sua vocazione pubblica, affrancandosi una volta per tutte dai poteri dei datori di lavori privati; oppure tartassare i suoi cittadini lavoratori, vessandoli attraverso decreti d'urgenza che violano palesamente le regole costituzionali del diritto al lavoro e su cui è fondata - conclude Pacifico - la nostra Repubblica".
"Prolungamento del blocco degli scatti stipendiali e dell'indennità di vacanza contrattuale, penalizzazioni per i dipendenti che assistono i disabili, aumento delle ore d'insegnamento settimanale dei docenti". Secondo l'Anief, "se la Legge di stabilità dovesse realmente contenere queste novità peggiorative, non vi sono dubbi: il rischio fondato è quello di ritrovarsi una scuola italiana sempre più in ginocchio".
"L'Anief però non starà a guardare - si legge in una nota -. Sull'ennesimo blocco degli stipendi, il nostro sindacato l'ha detto già da un anno: l'unica strada è ricorrere al tribunale. A poco possono servire, invece, iniziative di piazza, scioperi, accordi con l'Aran e revisioni dei contratti d'istituto. Come deciso da altre organizzazioni. La realtà è che non c'è più tempo da perdere, perché la situazione economica che si sta venendo a determinare è davvero grave: non ci dimentichiamo che con gli stipendi dei docenti fermi al 2000, il Governo ha anche deciso di aumentare l'Iva, peraltro per la seconda volta in pochi anni".
"Questo doppio provvedimento - sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato ai quadri e direttivi della Confedir - penalizzerà tutti i dipendenti pubblici, in particolare gli insegnanti. I quali, a parità di lavoro, risultano già i meno pagati tra i 37 paesi economicamente più sviluppati. Per questo, contro il blocco stipendiale non resta che fare ricorso".
Sarà, inoltre, altrettanto forte l'opposizione dell'Anief alle ipotesi di ridurre del 50% le giornate di assistenza ai disabili non di primo grado e di aumentare a costo zero il carico di ore settimanale degli insegnanti.
"L'incremento delle ore frontali - continua Pacifico - non farebbe altro che creare nuovo precariato. Inoltre, saremmo di fronte ad una palese lesione di un diritto costituzionale, quale è a la garanzia dell'adeguata retribuzione per il lavoro svolto. E questo, è bene ricordarlo, a cospetto di un sempre maggiore carico fiscale e del costo della vita".
Per l'Anief si tratta di "ipotesi improponibili. Il Governo deve quindi decidere: riscoprire la sua vocazione pubblica, affrancandosi una volta per tutte dai poteri dei datori di lavoro privati; oppure tartassare i suoi cittadini lavoratori, vessandoli attraverso decreti d'urgenza che violano palesemente le regole costituzionali del diritto al lavoro e su cui è fondata - conclude Pacifico - la nostra Repubblica".
Il capo dipartimento del Miur sorpreso dell’alto numero di domande: oltre 15mila in due giorni, ne avevamo stimate 160mila totali ma ora si aspetta che siano molte di più. Replica del sindacato autonomo: se non permette entro il 10 ottobre l’accesso a neo-laureati e a prof di ruolo partiranno le diffide. Ancora Stellacci: ai ricorsi abbiamo fatto il callo. Controreplica di Pacifico: ma noi li vinciamo.
Far sapere all’opinione pubblica che nei primi due giorni di apertura del sistema telematico sono pervenute oltre 15.000 domande per accedere alle prove preselettive del concorso a cattedra, per il Miur doveva essere motivo di vanto. Incarnava la dimostrazione che la macchina organizzativa per reclutare 11.542 nuovi docenti è iniziata con il piede giusto.
“Alle 13 dell’8 ottobre erano arrivate 15.374”, ha spiegato Lucrezia Stellacci, capo Dipartimento per l'Istruzione al ministero della Pubblica Istruzione e tra i primi responsabili dell’organizzazione della procedura concorsuale, a Radio 24 nel corso di 'Scuola in Controluce'. "Sono 7.344 invece le domande inoltrate, cioè quelle già inserite ma che attendono l'ok per l'inoltro definitivo, perchè gli aspiranti prof temono ci siano variazioni o aspettano che gli venga in mente qualche altro elemento da introdurre", ha spiegato la dirigente.
"In totale il ministero della pubblica istruzione aveva stimato 160mila domande totali – ha continuato Stellacci - ma visti questi primi numeri ora si aspetta che siano molte di più". Per quanto riguarda il sistema informatico Polis, attraverso cui inoltrare le domande, il dirigente ministeriale ha fatto sapere che non si sono stati problemi: "Il sistema ha retto. Incrociamo le dita".
Solo che attraverso la modulistica on line il Miur ha di fatto anche confermato l’esclusione del personale di ruolo o laureatosi nell’ultimo decennio, mandando su tutte le furie migliaia di potenziali candidati. I quali si sono rivolti al sindacato ormai da alcuni anni più combattivo sul fronte dei ricorsi: l’Anief.
L’organizzazione guidata da Marcello Pacifico ha promesso che interverrà subito, “per consentire ai docenti laureati negli ultimi dieci anni e ai docenti di ruolo di partecipare alla prova pre-selettiva: se entro 48 ore (quindi entro la serata di mercoledì 10 ottobre ndr) non avverrà la modifica, il sindacato metterà a disposizione di chi ha chiesto le istruzioni operative per ricorrere al Tar Lazio, il modello di diffida e di domanda da presentare in forma cartacea”.
Immediata è stata la replica della Stellacci: "abbiamo fatto il callo, siamo a rischio ma non significa che dobbiamo fermarci, altrimenti l'Amministrazione non assolverebbe alla sua funzione. Andiamo avanti, poi vedremo cosa dirà la magistratura". Sempre il capo dipartimento del Miur ha poi risposto ad alcune telefonate degli ascoltatori. Tra cui quella di un laureato palermitano che annunciava l’intenzione di ricorrere a causa della sua esclusione del concorso, perché laureatosi nel 2003, quindi un anno oltre il limite consentito dal Miur per l’accesso a questo concorso, nonostante in questi anni abbia svolto attività di ricerca e d’insegnamento presso l’università: la Stellacci ha di fatto risposto che la colpa non è dell’amministrazione ma da una parte del legislatore, dall’altra in parte del laureato stesso che fino al 2008 non è riuscito ad abilitarsi presso le Ssis.
Controreplica del presidente dell’Anief. “Il Capo Dipartimento avrebbe fatto bene – ha detto Pacifico – a spiegare perché per dodici anni il ministro non ha bandito un concorso o ancora perché 200.000 precari abilitati con i corsi riservati o i corsi SSIS, pur avendo superato un concorso, non sono stati assunti dallo Stato, invece di lavarsene le mani come Ponzio Pilato. Ecco perché poi il sindacato vince i suoi ricorsi, anche se per il Miur, comunque, la macchina deve andare sempre avanti”.
Se il buongiorno si vede dal mattino, la selezione a cattedra rischi di trasformarsi nell’ennesima diatriba giudiziaria. Dagli esiti incerti e a lunga scadenza.
Gli interessati possoo presentarle, solo per via telematica, dal 6 ottobre sino alle ore 14 del prossimo 7 novembre: indispensabile avere l’e-mail con estensione istruzione.it. A dicembre la prova preselettiva: passa chi risponde a 35 quesiti su 50 proposti. Attese tre le 160mila e le 200mila domande. Non tutti però potranno accedere: fuori causa i non abilitati ed il personale di ruolo. Via libera solo per chi ha acquisito un diploma di laurea prima di 9-12 anni fa. Chi è in difetto coi requisiti può essere espulso in qualsiasi momento. Intanto i sindacati fanno ricorso.
Dopo tante parole, polemiche, proteste e ricorsi annunciati è giunta l’ora x: tra poche ore diverse decine di migliaia di candidati, forse si arriverà a quota 200mila, potranno iscriversi alle prove preselettive per il concorso a cattedra. La selezione diretta che, dopo 13 anni di attesa, porterà in ruolo (tra le estati del 2013 e del 2014) 11.542 nuovi docenti appartenenti ad una ventina di aree e raggruppamenti di classi di concorso selezionati dal Miur, sulla base dei posti liberi, dei pensionamenti futuri e della consistenza delle GaE.
Per iscriversi c’è tempo un mese: dal 6 ottobre sino alle ore 14 di mercoledì 7 novembre. Chi ha intenzione di farlo (abilitati non di ruolo e coloro che hanno acquisito il titolo di studio d’accesso alle classi di concorso messe a concorso non oltre il 2001-2004, dipende dalla tipologia) è bene che sappia sin d’ora che per la prima volta l’unica procedura consentita sarà quella telematica. Gli interessati (il Miur si aspetta 160mila domande) dovranno produrre la richiesta di accesso al concorso utilizzando la casella di posta elettronica ministeriale (con estensione @istruzione.it), attraverso il sistema “Polis” raggiungibile dal sito del Miur.
Anche se dal ministero dell’Istruzione si continua a ribadire che si tratta di una procedura selettiva impostata sulle vecchie regole concorsuali, ci sono alcune novità importanti. La prima riguarda la scelta di non rendere il concorso abilitante all’insegnamento: l’abilitazione scatterà solo per coloro che verranno immessi in ruolo. La sola idoneità, l’aver superato tutte le prove, senza però approdare all’assunzione, non basterà. Rendendo così impossibile la replica delle situazioni, quasi kafkiane, venutesi a creare nei giorni scorsi in molti Ust, con gli impiegati chiamati ad escogitare il sistema migliore per cercare di rintracciare i vincitori del concorso a cattedra di 22 anni fa (ancora non esistevano i telefoni cellulari).
La strada che conduce al ruolo sarà davvero in salita: viale Trastevere si aspetta almeno 160mila candidati. I quali, se in possesso di più titoli, potranno concorrere anche per più ordini di scuole e classi di concorso. Il primo scoglio da superare sarà la preselezione: i candidati saranno chiamati a rispondere, tutti posizionati davanti ad un computer, ad una serie di test incentrati principalmente su argomenti di logica, comprensione del testo e cultura generale. Ogni partecipante avrà la sua “batteria” di 50 quesiti, estratti rigorosamente a sorte attraverso un meccanismo automatizzato. Non sarà dunque necessario che le prove, da svolgere in circa 150 atenei e 2mila sedi scolastiche, si svolgano tutte contemporaneamente: sono previste più tornate, da “spalmare” al massimo nel corso di due giorni.
Diversi candidati saranno subito messi di fronte ad un bivio: il concorso è infatti bandito a livello regionale e non sempre la scelta è facile. In compenso il candidato potrà farlo per tutti i posti o classi di concorso per i quali è in possesso del titolo di accesso. Innovativa è anche la fase di scrematura iniziale: se in passato ci si è affidati soli ai titoli, stavolta l’amministrazione ha deciso di introdurre una prova preselettiva composta da 50 domande a risposta chiusa su quesiti principalmente di tipo logico e deduttivo (su una batteria di 3.500 complessivi che verranno messi a disposizione dei candidati a fine novembre, quando alle prove mancheranno tre settimane). Per passare alla fase selettiva vera e propria servirà risponderne a 35: non sono poche.
Per la prima volta nella storia dei concorsi pubblici, inoltre, ogni candidato non risponderà su un foglio di carta, ma su un computer. Per i candidati la novità non è da poco. Soprattutto per la poca dimestichezza a scrivere su una testiera: una cosa è riempire un foglio elettronico di dati o inviare una e-mail. Un’altra rispondere a quesiti che si preannunciano ostici e con un solo minuto a disposizione per ognuno. Lo sa bene anche il Miur, che infatti ha predisposto un training on line, una sorta di esercitatore, proprio per prepararsi al nuovo test.
Cambia anche la fisionomia della prova scritta (in alcuni casi pratica) sulla disciplina: il tema tradizionale lascia spazio ad una serie di quesiti a risposta aperta (tra i 5 gli 8). E cambia il metodo di valutazione, visto che le commissioni dovranno utilizzare una griglia nazionale predisposta dall’amministrazione centrale. Innovativa pure la verifica orale, divisa tra una lezione simulata, da “calibrare” sulla base della tipologia dell’istituto e degli studenti cui sarebbe ipoteticamente rivolta, sorteggiata ventiquattrore prima, ed un’interrogazione generale. Sul fronte dei titoli si dà maggiore considerazione a quelli già acquisiti per diventare prof, in particolare alle Siss: se la laurea vale anche 2 punti, l’abilitazione ne può fare incassare infatti ben 5. Una curiosità: verranno presi in considerazione anche gli articoli giornalistici attinenti la materia per cui si concorre: varranno 0,20 punti ciascuno.
Ultima notazione: chi non è posto con i requisiti di accesso potrebbe venire escluso in qualsiasi momento della procedura selettiva. Anche dopo aver superato alcune o tutte le prove.
Per quanto riguarda le proteste contro il ritorno del concorso a cattedra, per una volta ci sembra il caso di dare la precedenza alla “voce” di un singolo cittadino. Si tratta di un nostro lettore, Giovanni Maraia, che ci dice di aver “ritenuto di presentare un esposto al Direttore Generale del Miur, al Procuratore della Corte dei Conti del Lazio e al Procuratore della Repubblica di Roma contro il decreto del Direttore Generale del Miur n. 82 del 24/9/2012. Ho richiesto al Direttore Generale del Miur – prosegue il docente - l'adozione di un provvedimento di autotutela che annulli (ai sensi art. 21/nonies della legge n. 241/90 e succ. mod.) il bando di concorso, in quanto illegittimo per violazione di legge ed eccesso di potere”.
Secondo Maraia vi sono almeno quattro violazioni insite nel bando di concorso. In sintesi, contiene “un eccesso di potere che può assumere connotati di violenza morale nei confronti di quei docenti concorrenti costretti o a non partecipare al concorso o a scegliere una sede regionale non consona alla propria esistenza di vita”, conclude il nostro lettore.
Con il malcontento, intanto, cresce anche il numero dei sindacati che hanno deciso di impugnare il concorso. La precedenza è d’obbligo per l’Anief, che ha reso pubblica la volontà di ricorrere contro la selezione diretta nella stessa giornata, il 25 settembre, in cui il Miur ha divulgato il bando pubblicato in gazzetta ufficiale. Il giovane sindacato si schiera dalla parte del diritto e denuncia diversi punti su il dicastero di viale Trastevere non avrebbe ragionato a sufficienza. Prima di tutto, i legali del sindacato autonomo sostengono che, se si accetta la deroga al principio di ammissione dei soli abilitati, non si può impedire ragionevolmente di far partecipare il candidato laureato in possesso di titolo di accesso valido per le vecchie SSIS o per il nuovo TFA. Né appare legittimo vietare la partecipazione al personale abilitato assunto a tempo indeterminato, specie se in esubero o in altro ordine di scuola.
L’Anief ha rilevato “una disparità di trattamento tra candidati che sono in possesso dello stesso titolo di accesso alla procedura concorsuale (laurea o abilitazione) e che hanno diritto a partecipare al di là dell’anno di conseguimento dello stesso titolo o dello status ricoperto. Il bando di concorso, infatti, in maniera irragionevole, arbitraria esclude sia i laureati tra il 2001 e il 2012 (art. 2, c. 3, lettera b), sia i docenti di ruolo (art. 2, c. 6)”.
Pertanto, l’Anief ha consigliato a tutti questi candidati di inoltrare regolare domanda attraverso il sistema on-line (art. 3, c. 3) o in cartaceo, nel caso in cui il sistema informativo gli precluderà l’inserimento della domanda. Contestualmente, i candidati devono avviare le procedure per ricorrere al Tar Lazio al fine di chiedere, in via cautelare, l’inserimento con riserva negli elenchi regionali degli ammessi alle prove preselettive.Ma nelle ultime ore vi sono anche altri sindacati che hanno organizzato il ricorso di massa in tribunale. La Gilda degli insegnanti, ad esempio, ha dato mandato al suo ufficio legale di iniziare l’iter che tra 60 giorni approderà nelle aule del tribunale amministrativo del Lazio.
E' lungo l’elenco di vistose violazioni di legge rilevate dalla Fgu e che ha fatto scattare il ricorso. Qualche esempio: l’attuale normativa fissa in tre anni la durata delle graduatorie mentre il bando emanato da viale Trastevere la riduce a due anni; la legge stabilisce che l’abilitazione all’insegnamento viene assegnata attraverso il concorso mentre secondo il bando il titolo può essere acquisito soltanto da chi prende il posto in cattedra. E ancora: per la legge la prova di inglese per la scuola primaria è facoltativa ma il bando di concorso appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale la rende obbligatoria.
Nel giorno della giornata mondiale del docente, celebrata in più di cento Paesi per ricordare l'alta valenza sociale di questa professione, la Commissione europea pubblica un rapporto nel quale risulta che se si tiene conto del costo dell'inflazione l'entità degli stipendi degli insegnanti italiani è ferma addirittura al 2000.
Secondo l'Anief i dati confermano quanto sottolineato nei giorni scorsi che, nel riportare l'ultima indagine Ocse "Education at a Glance", si era soffermata su un punto: tra il 2000 e il 2010, fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 Paesi economicamente più progrediti, lo stipendio in Italia è cresciuto ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l'incremento è stato del 15-22%.
"Questi dati confermano che se si vuole cambiare il futuro delle nuove generazioni e della nostra società – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato ai quadri e direttivi della Confedir - bisogna immediatamente ripartire dalla valorizzazione del ruolo del docente. Cancellando una volta per tutte la tendenza degli ultimi anni, durante i quali l'insegnante italiano è stato sempre più mortificato da iniziative peggiorative della qualità della professione".
"Per quale motivo i dirigenti scolastici vengono formati dal Miur gravando la spesa sulle scuole, mentre i docenti che acquisiscono gli strumenti e le conoscenze per insegnare, prima attraverso la frequenza delle SSIS ed oggi dei Tfa, sono obbligati a pagare delle tasse proibitive, anche superiori ai 3 mila euro?".
A chiederlo è l'associazione sindacale Anief, dopo essere venuta a conoscenza che le spese di viaggio che i prossimi dirigenti scolastici vincitori dell'ultimo concorso, su cui peraltro si attendono ancora importanti sentenze della giustizia amministrativa, dovranno affrontare per raggiungere Roma, dove il 5 ottobre si svolgerà un seminario formativo utile allo svolgimento della professione, risultano "a carico del bilancio delle scuole".
E nel caso i fondi degli istituti non fossero sufficienti, il Miur ha già allertato i direttori degli Uffici scolastici regionali, chiedendo loro di "adoperarsi per la migliore riuscita dell'iniziativa".
"La discrasia - dichiara il presidente dell'Anief, Marcello Pacifico - diventa ancora più evidente se si guarda ai precari, costretti da decenni ad iscriversi e a frequentare costosissimi corsi di perfezionamento e master annuali per non perdere posizioni nelle graduatorie ad esaurimento. Lo Stato non può usare due pesi e due misure, peraltro con il personale dello stesso settore pubblico: i docenti e i precari non sono figli di un dio minore".
La Flc-Cgil sciopera. Cisl, Uil, Snals e Gilda scrivono ai Ministri dell'istruzione e della funzione pubblica per attivare il tentativo di conciliazione, preludio alla protesta più estrema. Contraria l’Anief: inutile fermarsi contro una legge approvata da due anni, l’unica strada è il ricorso di massa.
Con l’inizio di ottobre torna a farsi sentire il malcontento conseguente al blocco degli scatti di anzianità. Ad esternarlo è stata dapprima la Gilda degli Insegnanti: nel corso dell’assemblea nazionale, svolta ad Amantea, i vertici del sindacato autonomo hanno ammesso di aver perso la pazienza e rotto gli indugi. Reputando, attraverso il coordinatore nazionale, Rino Di Meglio, oramai "lo sciopero necessario per ottenere il pagamento degli scatti di anzianità più volte promessi dal governo".
Molto seccato si è detto anche Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola, il quale ha ricordato con un duro comunicato che “sono mesi che il ministro Profumo si dice pronto a concludere le procedure per recuperare gli scatti maturati nel 2011, ma in realtà non muove un passo. La certificazione delle economie è stata fatta, i sindacati si sono detto disponibili a trovare in sede negoziale le integrazioni necessarie, ma la trattativa non parte”.
Scrima ha sottolineato che quello che manca è solo “l'atto di indirizzo del Governo all'Aran”. Anche la Cisl non intende più aspettare. “A questo punto non ci sono più ragioni che possano giustificare un ritardo così penalizzante per i lavoratori. Non possiamo accettare il mancato rispetto delle intese grazie alle quali sono stati già pagati gli scatti del 2010, né le inadempienze del Ministro rispetto agli impegni ripetutamente assunti”.
Assieme a Uil Scuola, Snals e la stessa Gilda, con cui nel luglio del 2010 era stato trovato un accordo (formalizzato alcuni mesi dopo) con l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per reperire i fondi utili a “coprire” gli scatti automatici con il 30% dei risparmi derivanti dai tagli (inizialmente destinati al merito), la Cisl ha inviato ai ministri dell'Istruzione e della Funzione pubblica la richiesta di attivare il tentativo di conciliazione, cioè l'atto preliminare a un'eventuale azione di lotta.
“La mobilitazione dei lavoratori - continua Scrima - segue un percorso coerente e chiaro: abbiamo definito un'intesa, ci stiamo confrontando da mesi perché si continui ad attuarla, non possiamo accettare che venga disattesa. Chiediamo che ai vuoti annunci segua la concretezza dei fatti”.
Manca all’appello la Flc-Cgil. Che, però, non starà di certo a guardare. Anzi. Il sindacato di Pantaleo lo sciopero lo ha già indetto. Per la prossima settimana, venerdì 12 ottobre. E tra i motivi della protesta, oltre al rifiuto della spending review, i tagli alle risorse e il blocco del contratto, c’è proprio lo stop triennale degli aumenti in busta paga: “il mancato ripristino degli scatti per l’anno 2011 - ha scritto la Flc-Cgil - oltre a creare disparità di trattamento in alcuni casi per 1 solo giorno (maturazione al 1° gennaio 2011 anziché al 31 dicembre 2010), fa sì che il personale che volontariamente o in modo coatto andrà in pensione dal 1° settembre 2012 perderà a vita un beneficio economico che aveva già maturato sia nel trattamento di pensione che in quello di fine servizio; per il personale in servizio il mancato riconoscimento giuridico dell’anno 2011 comporterà un differimento della progressione di carriera che impedirà a molti di maturare prima del pensionamento l’ultima posizione stipendiale”.
A non credere nello sciopero è invece l’Anief. Secondo cui “scioperare contro il blocco degli scatti di anzianità della scuola è inutile, perché la legge è già stata approvata dal 2010 ed ora il Governo non fa che applicarla. L’unica possibilità che ha il personale è il ricorso di massa al tribunale del Lavoro”. L’Anief, del resto, aveva detto sin da subito che gli scatti erano irrecuperabili e che l’unica strada percorribile era quella di impugnarla attraverso ricorsi nominali. “Per questo motivo - ha dichiarato il suo presidente, Marcello Pacifico – abbiamo chiesto al tribunale del Lavoro di rendere inapplicabile, per illegittimità costituzionale, l’art. 9, della legge 122/2010 (c. 23) che espressamente vieta per il triennio 2011-2013 la firma di un Contratto collettivo nazionale di lavoro e la progressione di carrieraviolando ben sei articoli della Costituzione”.
“Come abbiamo sempre detto - ha continuato Pacifico - per la prima volta, il Parlamento italiano in un ‘colpo’ solo ha deciso che nel nostro Paese una categoria di lavoratori dovrà lavorare per tre anni senza poter veder riconosciuto il merito del lavoro svolto (scatti di anzianità di carriera), l’adeguamento dello stipendio all’aumento del costo della vita (v. inflazione), il riconoscimento del lavoro per la pensione (i maggiori contributi versati): in poche parole, si lavorerà senza alcun riconoscimento economico, e per di più, senza poter per tutta la vita recuperare il blocco previsto”.
L’Anief boccia quindi l’azione degli altri sindacati. “Ma perché solo due anni dopo ci si accorge di questa scelta scellerata e si decide di scioperare? La verità è che coloro che non vogliono soccombere - ha concluso Pacifico - ha una sola scelta: presentare ricorso in tribunale”.
Sulla questione della diminuzione dei posti a concorso nelle regioni del sud, Pittoni non ha dubbi e sostiene che i calcoli vanno fatti non sui pensionamenti ma sui posti disponibili. "Ma il problema urgente - aggiunge il senatore leghista - è la riforma delle procedure per il reclutamento".
E’ guerra aperta fra Pittoni (Lega Nord) e Alessandra Siragusa (PD) sulla ripartizione regionale dei posti disponibili per il prossimo concorso. Nei giorni scorsi la parlamentare del PD aveva depositato alla Camera il testo di un'interrogazione al Ministro Profumo per conoscere le ragioni di una improvvisa diminuzione di posti nelle regioni del Sud (e in Sicilia in particolar modo) a tutto vantaggio di alcune regioni del Nord (Lombardia e Piemonte soprattutto). Diminuzione che aveva allarmato anche gli stessi sindacati.
Adesso, a dare man forte a Siragusa c’è anche l’Anief che, per bocca del presidente Marcello Pacifico, sostiene che “il numero di cattedre attualmente vacanti e quelle che si liberanno nei prossimi due anni, per effetto dei pensionamenti, sono di gran lunga a favore delle regioni del Sud”. L’Anief fornisce anche qualche numero: “In Sicilia - sostiene Pacifico - il numero di coloro che lasceranno il servizio tra il prossimo anno e il 2015 è in media di oltre 1.100 unità l’anno. Mentre al Nord i numeri sono decisamente più bassi: vale per tutti il caso della Lombardia, dove al termine di quest’anno saranno solo 678 i docenti ad andare in pensione, ancora meno (666) nel 2014, per poi salire nel 2015, ma comunque non oltre le 700 unità”.
Di tutt’altro avviso è il senatore leghista Mario Pittoni che dichiara: “Mi pare evidente che, dopo l'incredibile sproporzione a favore del Sud da noi segnalata nella prima bozza di assegnazione dei posti del concorso insegnanti, i criteri - originariamente incentrati in via quasi esclusiva su supposti pensionamenti futuri - sono stati rivisti sulla più corretta base dei posti attualmente disponibili”.
In una prima fase i posti disponibili in Sicilia erano poco meno di 1.600 ma nel bando si parla di circa 1.200 cattedre. Il “taglio” sarebbe servito ad incrementare i posti di 301 unità in Lombardia e di 172 in Piemonte.
Pittoni non ha dubbi e spiega: “Ci mancherebbe che non si intervenisse su una situazione che, anche dopo l'aggiornamento, vede il Nord fortemente penalizzato nei numeri”.
Ma il senatore leghista cambia anche gioco e parla del prossimo concorso annunciato dal Ministro per il 2013: “Forse sarebbe più utile ottenere qualche delucidazione sulle regole con cui si svolgerà concorso del 2013”.
“Per intanto comunque - aggiunge Pittoni - siamo riusciti a limitare i danni, in quanto, in attesa della riforma del reclutamento, abbiamo ottenuto dal ministero la "compressione" del punteggio sui diplomi di laurea, riducendo la distanza tra chi possiede un voto basso e chi ha conseguito il massimo del punteggio. Il range tra valore massimo e minimo passa da 7,5 a 0,5 punti”.
“E’ ovvio - conclude Pittoni - che questa non può essere la soluzione e proprio per questo rinnoviamo al Ministro l'appello a concentrare le forze su una riforma vera delle procedure di reclutamento dei docenti”.
"Un concorso a cattedra anche nel 2013? Si tratterebbe di una disfatta. A meno che non si annulli quello decretato in questi giorni dal Miur, ma ufficialmente ancora non avviato".
E’ questa la reazione di Marcello Pacifico, presidente Anief, alle voci corse nelle ultime ore relative all’intenzione attribuita al ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, di voler bandire nel corso della prossima estate un altro concorso pubblico, subito dopo aver approvato un nuovo regolamento per l'accesso alla professione di docente nella scuola pubblica.
Secondo Pacifico, se il progetto dovesse concretizzarsi, "peraltro a Governo ormai abbondantemente caduto, stavolta la nuova selezione degli insegnanti italiani si coprirebbe di tragicomico”, afferma in una nota.
Infatti, argomenta il sindacalista, “il concorso a cattedre deve essere bandito ogni tre anni: mentre anticipando di un anno questa periodicità o modificando quanto previsto dal Testo unico, la Legge 297/1994, modificata dalla 124/99, si vuole far credere all'opinione pubblica che con queste mosse geniali si risolveranno i problemi del reclutamento scolastico. Il vero problema è che Profumo si è dimenticato delle graduatorie ad esaurimento e dei suoi 200mila 'inquilini' precari, già tutti abilitati e vincitori di concorso".
Non solo: “Se l'intenzione del ministro è, invece, quella di annunciare un altro concorso per tranquillizzare i partecipanti ai Tfa, che in questo modo potranno dare seguito alla loro abilitazione visto che sarà impedito loro di entrare nelle graduatorie ad esaurimento, allora l'Anief sostiene sin d'ora che anche questo non servirà: grazie al ricorso del nostro sindacato, infatti, tutti i laureati potranno comunque partecipare al concorso. Abilitati e non”.
“Caro ministro” - conclude Pacifico - così non si va da nessuna parte".
Da sabato 6 ottobre iniziano le iscrizioni: è il momento di fare il punto sul bando per l'assunzione di 11.542 posti come insegnanti nelle scuole materne, elementari, medie e superiori. A partite dall'ormai famigerato quizzone di ammissione. Non mancano le polemiche e i ricorsi.
Dopo mille polemiche, tante anticipazioni e qualche smentita, il concorsone nella scuola è realtà. Il bando è stato pubblicato una settimana fa ed è bene fare il punto della situazione. Le polemiche e le minacce di ricorsi sono proseguite anche in quest’ultima settimana, mentre è partito il business dei corsi di preparazione per superare la lotteria del test di preselezione, la prova più difficile in assoluto del concorso atteso da 13 anni.
In tutte le librerie è possibile trovare ponderosi volumi che traboccano di test di logica e comprensione del testo. Mentre su internet con 200 euro ci si può iscrivere ad un corso online, sempre con lo stesso fine: raggiungere quota 35 nel maledetto quizzone di ammissione alle prove scritte.
Requisiti di ammissione. I 160mila partecipanti previsti dal ministero saranno precari già abilitati e laureati con lauree del vecchio ordinamento. Il bando apre le porte al concorso esclusivamente a coloro che sono già in possesso di una abilitazione all’insegnamento: i precari e gli inclusi nelle graduatorie degli ultimi concorsi del 1990, del 1999 e del 2000.
Ma, per la scuola primaria e dell’infanzia, potranno partecipare anche i “semplici” diplomati degli istituti e delle scuole magistrali purché abbiamo conseguito il titolo entro l’anno scolastico 2001/2002. Ammessi a partecipare anche i laureati in Scienze della formazione, mentre per partecipare al concorso di scuola media e superiore occorre essere in possesso di una laurea del vecchio ordinamento: conseguita entro l’anno 2001/02, per i corsi di studio quadriennali, 2002/03 per quelli quinquennali e 2003/04 per quelli di sei anni di durata.
Esclusi, invece, coloro che sono già di ruolo e meditano di partecipare per un’altra classe di concorso. Le domande, in modalità esclusivamente on line, dovranno essere presentate per una sola regione dal 6 ottobre al 7 novembre.
I posti disponibili. Secondo il bando, sono 11.542 i posti che dovranno contendersi tutti i partecipanti. Il concorso si svolgerà a livello regionale e non per tutte le classi di concorso: il ministero ha svelato i numeri soltanto a bando pubblicato in Gazzetta. Oltre al concorso per la scuola dell’infanzia e primaria, che si svolgerà in quasi tutte le regioni italiane, saranno soltanto 25 (7 per la scuola media e 18 per la scuola superiore) le classi di concorso alle quali sarà possibile partecipare. Per tutte le altre materie d’insegnamento resteranno in vigore le graduatorie dei concorsi del 1990 e del 1999.
La prova preselettiva. Per la prima volta, la prova di apertura di un concorso a posti nella scuola sarà un test a risposta multipla uguale per tutte le discipline d’insegnamento e i gradi d’istruzione. In 50 minuti, gli aspiranti insegnanti dovranno districarsi tra 50 quesiti a risposta multipla: 18 di comprensione del testo, 18 di logica, 7 di informatica e 7 di lingua straniera. Per accedere alla fase successiva, occorrerà totalizzare 35 punti, stando attenti che ad ogni risposta errata se ne perderà mezzo. La prova si svolgerà i primi di dicembre, probabilmente in più giorni, e si svolgerà davanti ad un computer che darà l’esito in tempo reale. Ogni candidato risponderà ad una diversa batteria di test, selezionati al momento dal cervellone ministeriale. E come si conviene ormai nei concorsi pubblici, 20 giorni prima il ministero pubblicherà una panel di 3000/3500 test tra i quali saranno sorteggiati quelli della prova preselettiva.
Le polemiche. Lunghissimo l’elenco di polemiche contro un concorso che non sembra volere nessuno, soprattutto i precari della scuola già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Alcuni sindacati – Flc Cgil in testa – considerano questo concorso una semplice passerella del ministro Profumo. Secondo l’ex viceministro alla Pubblica istruzione, Mariangela Bastico, “il concorso per l’assunzione di 11.542 insegnanti, a causa della tempistica sbagliata, esclude di fatto i più giovani, e cioè proprio coloro che ripetutamente il ministro dell’Istruzione Profumo ha dichiarato essere interlocutori privilegiati per il rinnovamento della scuola”.
E sono moltissimi anche quelli che considerano la procedura di selezione poco idonea a reclutare i meritevoli. Se il test di preselezione dovrà verificare le capacità logiche e di comprensione del testo scritto dei futuri insegnanti, che senso ha pubblicare prima i test, risposte comprese? Basta una buona memoria per superare la prova, altro che logica.
Ma non solo. Lo spostamento dell’ultima ora di quasi 1100 posti dalle regioni meridionali a quelle settentrionali non è piaciuta ai sindacati, ai quali pochissimi giorni prima che venisse pubblicato il bando i tecnici del ministero avevano comunicato una situazione completamente diversa. “L’ultima e definitiva ripartizione dei posti allegata al bando del concorso ordinario, rappresenta l’ennesima correzione dei dati sulle disponibilità per le assunzioni dei prossimi due anni e alimenta le perplessità intorno ad una operazione frettolosa, approssimativa, carente di trasparenza e di certezza sui criteri utilizzati”, spiega Francesco Scrima della Cisl scuola.
E l’Anief già prepara un megaricorso al Tar che rileva otto punti di criticità nel bando e chiede, tra le altre cose, che vengano ammessi i laureati dell’ultimo decennio e gli insegnanti di ruolo.
I tempi e le altre prove. Il ministero ha più volte manifestato l’intenzione di immettere in ruolo i vincitori di concorso entro il prossimo anno. Per questa ragione, la prova preselettiva si svolgerà a dicembre e pochi mesi dopo si svolgerà la prova scritta, una prova strutturata con domande a risposta aperta e, eventualmente, una prova di laboratorio. Per superare l’ostacolo e presentarsi per la prova orale basterà ottenere 28 dei 40 punti a disposizione della commissione giudicatrice. L’orale consisterà in due momenti: “Una lezione simulata, della durata di 30 minuti, su una traccia estratta dal candidato 24 ore prima della prova orale; un colloquio immediatamente successivo, della durata massima di 30 minuti, nel corso del quale verranno approfonditi i contenuti, le scelte didattiche e metodologiche della lezione”, recita il bando. Otterranno l’abilitazione all’insegnamento e la cattedra soltanto i vincitori del concorso.
Non è ancora partito l'attuale che già si discute del prossimo, almeno quello degli annunci di Profumo che nel 2013 vuole bandire un secondo concorso a cattedra. Un concorso che non parte con i migliori auspici, a ben leggere i comunicati di alcune realtà politiche e sindacali.
E' l'ANIEF che per prima interviene sull'argomento, affermando che se il progetto del Ministro dovesse concretizzarsi “stavolta la nuova selezione degli insegnanti italiani si coprirebbe di tragicomico. Come previsto dal comma 416 della Legge 244/2007, il concorso a cattedre deve essere bandito ogni tre anni: mentre anticipando di un anno questa periodicità o modificando quanto previsto dal Testo unico, la Legge 297/1994, modificata dalla 124/99, si vuole far credere all’opinione pubblica che con queste mosse geniali si risolveranno i problemi del reclutamento scolastico. Il vero problema è che Profumo si è dimenticato delle graduatorie ad esaurimento e dei suoi 200mila ‘inquilini’ precari, già tutti abilitati e vincitori di concorso”.
"Una disfatta", secondo l'ANIEF", "a meno che non si annulli quello decretato in questi giorni dal Miur, ma ufficialmente ancora non ancora avviato”.
Sulla vicenda è intervenuto anche Mario Pittoni, della Lega Nord, che chiede regole rinnovate per il prossimo concorso, ma lancia anche un allarme "Non risulta ci siano posti per un nuovo concorso: quelli autorizzati dal ministero delle Finanze se li prenderà tutti questo. E, senza posti, non può esserci concorso".
Inoltre, il Senatore chiede che vengano riviste le regole per "filtrare il merito e garantire omogeneità di valutazione sul territorio". "Rinnoviamo al ministro - conclude Pittoni - l'appello a concentrare le forze su una riforma vera, non un semplice "regolamento" che consentirebbe solo qualche ritocco a vecchi meccanismi, non in grado di evidenziare correttamente il merito".
"Come si fa a dire, come ha fatto oggi Attilio Oliva, presidente di Treelle, che 'la scuola italiana non ha bisogno di più soldi' perché 'la spesa per ogni bambino è tra le più alte d'Europa'?
A smentire quanto detto da Oliva non sono solo i noti dati sugli investimenti che l'Italia dedica all'istruzione, di oltre un punto e mezzo inferiori alla media europea, ma anche quanto riportato alcuni giorni fa dal Rapporto Ocse 2012 'Education at a Glance 2012', che nel fotografare lo stato della spesa per la scuola nei Paesi Ocse ha confermato proprio la scarsa propensione dell'Italia". È quanto afferma l'Anief in una nota.
"Per l'Ocse, infatti, bisognerebbe 'aumentare gli investimenti in programmi per l'infanzia e mantenere i costi ragionevoli per l'istruzione superiore, al fine di ridurre le disuguaglianze, aumentare la mobilità sociale e migliorare le prospettive di occupazione delle persone' - sottolinea l'Anief -. Il presidente di Treelle, inoltre, nel dire che i docenti italiani sono uno ogni 11,3 alunni contro i 21,5 della Francia e i 12,6 tedeschi ha dimenticato un particolare: la presenza nel nostro sistema scolastico, a differenza degli altri Paesi, di circa 100 mila docenti di sostegno. I quali rappresentano un valore aggiunto fondamentale per la qualità della nostra istruzione e la formazione dei suoi studenti disabili e più in difficoltà. Dei docenti di sostegno andiamo fieri. Da chi, invece, sostiene che per colpa loro i nostri docenti sono 'pagati la metà di quella dei colleghi tedeschi' sarebbe bene prendere le distanze".
"Un concorso a cattedra anche nel 2013? Si tratterebbe di una disfatta. A meno che non si annulli quello decretato in questi giorni dal Miur, ma ufficialmente ancora non ancora avviato".
A sostenerlo è il presidente dell'Anief, Marcello Pacifico, a seguito dell'intenzione manifestata nelle ultime ore dal ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, di voler bandire nel corso della prossima estate un altro concorso pubblico, subito dopo aver approvato un nuovo regolamento per l'accesso alla professione di docente nella scuola pubblica.
Secondo Pacifico, se il progetto del ministro dovesse concretizzarsi, "peraltro a Governo ormai abbondantemente caduto, stavolta la nuova selezione degli insegnanti italiani si coprirebbe di tragicomico - afferma in una nota -. Come previsto dal comma 416 della Legge 244/2007, il concorso a cattedre deve essere bandito ogni tre anni: mentre anticipando di un anno questa periodicità o modificando quanto previsto dal Testo unico, la Legge 297/1994, modificata dalla 124/99, si vuole far credere all'opinione pubblica che con queste mosse geniali si risolveranno i problemi del reclutamento scolastico. Il vero problema è che Profumo si è dimenticato delle graduatorie ad esaurimento e dei suoi 200mila 'inquilini' precari, già tutti abilitati e vincitori di concorso".
"Se l'intenzione del ministro è, invece, quella di annunciare un altro concorso per tranquillizzare i partecipanti ai Tfa, che in questo modo potranno dare seguito alla loro abilitazione visto che sarà impedito loro di entrare nelle graduatorie ad esaurimento, allora l'Anief sostiene sin d'ora che anche questo non servira': grazie al ricorso del nostro sindacato, infatti, tutti i laureati potranno comunque partecipare al concorso. Abilitati e non. Caro ministro - conclude Pacifico -, così non si va da nessuna parte".