Diverse sono le proposte di legge per evitare il ritorno alla Legge Fornero integrale, con l’accesso alla pensione non prima dei 70 anni o di 42 anni di contributi versati. Nessun ddl, però, sembra volere essere recepito dal Governo. Si tratta di una evidente contraddizione. Perché a fornire idee sulle modalità di anticipo pensionistici, durante l’attuale legislatura, sono stati praticamente tutti i maggiori partiti politici: gli stessi che, tranne Fratelli d’Italia, fanno parte dell’attuale maggioranza. Dunque, a dire no a una modifica sulle inaccettabili sulle soglie d’accesso alla pensione, dopo tre anni di “Quota 100”, che ha permesso di lasciare il lavoro ai lavoratori con almeno 38 anni di contributi e 62 anni di età, sono gli stessi raggruppamenti politici che hanno promosso azioni di modifica.
Secondo il sindacato Anief, che chiede di introdurre almeno per i dipendenti della scuola “Quota 96”, si sta giocando sulla pelle di tantissimi dipendenti che dopo decenni di servizio chiedono di lasciare e fare largo ai giovani: “Non si può obbligare a rimanere fino a 67 anni anche chi è sfinito e chiede solo di vedere materializzarsi un suo diritto – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale del sindacato autonomo -, stiamo assistendo ad una evidente ingiustizia. Che si somma a quella del mancato riconoscimento della sindrome di burnout, al non adeguamento stipendiale ai rischi biologici che comporta la professione. Negare delle forme di pre-pensionamento alla categoria scolastica significa poi caricare il sistema sanitario nazionale, perché risulta alta la percentuale di docenti e Ata attorno ai 60 anni con patologie per motivi legati allo stress da lavoro correlato. E nemmeno le leggi si applicano, perché il decreto legislativo n. 81, del 2008 prevede che chi ha alle dipendenze dei lavoratori è tenuto a controllare e prevenire le malattie professionali: una norma che al massimo ha prodotto la somministrazione di questionari per registrare lo stato di fatto. Nel frattempo, il personale scolastico si ammala. Noi, attraverso la Confederazione, continuiamo a chiedere al ministro del Lavoro e delle politiche sociali di introdurre “Quota 96” e di estendere l’Ape Sociale a tutto il personale e non solo ai colleghi della primaria, oltre a quelli dell’infanzia che già ne beneficiano”, conclude Pacifico.
A parole, l’obiettivo per tutti (o quasi) i partiti è evitare un ritorno integrale alla legge Fornero. Alla resa dei conti, però, gli stessi partiti si oppongono al modello di cambiamento. Di sicuro, scrive Orizzonte Scuola, “il tema delle pensioni sarà il prossimo terreno di scontro dei partiti. Si preannuncia un autunno caldo in tal senso con la Legge di Bilancio in arrivo tra poche settimane”. Oggi, Il Sole 24 Ore ha realizzato una ricognizione in merito all’argomento con l’analisi delle nove proposte in atto.
C’è quella della Lega, riassume con il pensionamento anticipato al raggiungimento di 41 anni di contributi (compresi quella figurativi) a prescindere dall’età. Poi c’è quella del Partito Democratico che punta alla “stabilizzazione” dell’Ape sociale, da estendere a nuove categorie di lavori gravosi, a rendere permanente Opzione donna e alla riduzione della “soglia” di vecchiaia per le lavoratrici madri. C’è anche quella di Forza Italia che prevede la possibilità di accedere al pensionamento per i lavoratori con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi, a condizione che l’importo del trattamento non sia inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale e con una riduzione del 2% per ogni anno di anticipo rispetto al limite dei 66 anni. Anche l’opposizione presenta una proposta: è quella di Fratelli d’Italia con soglia minima di 62 anni e una “massima” di 70 anni, oltre ad almeno 35 anni di contributi, con l’importo mensile dell’assegno non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale e con penalizzazioni decrescenti sotto i 66 anni.
Secondo Marcello Pacifico, leader dell’Anief, “è ora di portare in contrattazione il tema della valorizzazione vera del personale tutto della scuola, con il riconoscimento delle indennità di rischio biologico e burnout, di un'indennità di sede lavorativa in caso questa sia diversa dalla residenza abituale e un'indennità di incarico per i contratti successivi ai 24 mesi. Tra le nostre richieste, c’è poi quella dell’anticipo pensionistico, un’esigenza diventata ancora più forte con la pandemia da Covid19: lo stress da lavoro correlato è cresciuto, perché i docenti hanno operato e continuano ad operare in condizioni ambientali difficili, spendersi e a fare loro metodi didattici alternativi e da adattare ai bisogni formativi dei singoli alunni, alternando didattica a distanza e in presenza, lavorando non di rado a centinaia di chilometri da casa per anni senza possibilità di tornare ad abbracciare figli e parenti. Bisogna permettere al personale della scuola di lasciare il lavoro a 62 anni, senza tagli all’assegno di quiescenza”.
“È una modalità – dice Pacifico – già adottata per i lavoratori delle forze armate continuano ad andare in pensione, tutt’altro che decurtata, già prima dei 60 anni. E lo stress psicofisico di chi opera in tutti gli ordini di scuola non può essere considerato da meno: i dati sugli effetti del burnout a scuola parlano chiaro. Come pure il mancato riconoscimento del rischio biologico, invece riconosciuto nel campo medico-sanitario. Ricordiamo che l’insegnante italiano è passato in soli 10 anni da un’età media di 49,1 anni a 52,5 anni. E gli over 60 sono più che raddoppiati. Con il personale di ruolo è invecchiato anche quello precario: solo due supplenti su dieci sono under 35. E nel frattempo la supplentite coinvolge ogni anno almeno 200mila persone”.
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