Oggi pomeriggio alle ore 18, in occasione dell’ottava festa di Left wing, nel parco Nemorense a Roma, si terrà un incontro dal titolo “Un patto per università e ricerca”. Interverrà anche Marcello Pacifico, presidente nazionale del sindacato Anief.
Il leader del sindacato, a proposito della sua partecipazione all’incontro, ha affermato - nel corso di un’intervista rilasciata a Italia Stampa - che per Anief è “necessario introdurre la Carta europea dei ricercatori, con la creazione di un albo per chi ha il dottorato di ricerca e tre anni di esperienza e ha pure insegnato all’Università. Gli atenei dovrebbero poi da questo albo istituire la prima fascia. La precarietà è legata al fatto che da 10 anni non c’è più la figura del ricercatore, poiché è stata trasformata a tempo determinato e la proposta di legge allunga la precarietà senza affrontare il problema della stabilizzazione. Per fare ricerca presso gli atenei c’è bisogno di reintrodurre la figura del ricercatore a tempo indeterminato e andando a coniugare tale figura con la Carta europea del 2005”.
Nel decreto legge Rilancio, il Governo ha stanziato un finanziamento specifico per i comparti Università e Ricerca che prevede anche l’assunzione in ruolo di migliaia di nuovi ricercatori pure per gli enti di ricerca grazie ad ulteriori 250 milioni: l’iniziativa è stata confermata durante la conferenza stampa sul tema tenuta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Sono anche previsti “165 milioni sul Fondo di finanziamento ordinario per allargare l’area no tax degli studenti, poi 40 milioni in più sulle borse di studio, 15 milioni per i dottorati, 62 milioni per l’Alta formazione musicale. Il Fondo per la ricerca First sale di 300 milioni.
“Come Anief – dice il suo leader Marcello Pacifico – siamo convinti che occorra lavorare alacremente per la stabilizzazione dei precari con conseguente stop ai licenziamenti per non perdere professionalità acquisite. Come anche all’avvio della contrattazione per lo smart working e a garantire norme di sicurezza che in questo periodo di pericolo di contagio diventano prioritarie. Dopo lo stanziamento dei fondi mirati, bisogna anche provvedere alla programmazione pluriennale per l’immissione in ruolo dei 4.000 ricercatori e tecnici, dando la priorità a chi è in lista di attesa da lungo tempo. Sull’Afam occorre puntare sulla sperimentazione e sul supporto degli studenti e del personale per l’acquisto degli strumenti”.
L’approfondimento odierno di ‘Repubblica’ riporta cifre impressionanti: duecento milioni di studenti affollano gli atenei del globo e a oggi rappresentano un terzo dei giovani in età da università. Tra otto anni cresceranno fino a 260 milioni. L'Unione europea non è da meno: guida la classifica delle pubblicazioni universitarie e ha il blocco di atenei con maggiore proiezione internazionale. Il Belpaese è in pericolosa controtendenza con investimenti pubblici e privati non adeguati: il Paese attrae pochi stranieri e i nostri laureati restano il 25,3% della popolazione tra i 30 e i 34 anni anche se nell'agenda di Lisbona si chiede come soglia minima il 40%.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): si continua a investire poco per l’orientamento. La stessa Legge 107/2015 ha previsto investimenti per l’alternanza scuola-lavoro, anello anch’esso rilevante (se ben fatto) ai fini della collocazione post-diploma, ma quasi nulla per ancorare i nostri ‘maturati’ al mondo accademico. A rendere la situazione ancora più difficile, considerando le difficoltà delle famiglie e degli stipendi bloccati per tanti lavoratori, è stato il continuo innalzamento delle tasse d’iscrizione: basta dire che nell’ultimo decennio per gli studenti fuori corso i costi di frequenza sono aumentati dal 25% al 100%. E, dulcis in fundo, ogni tanto qualche benpensante al Governo propone pure di cancellare il valore legale del titolo di studio.
Anief-Cisal ricorda che le immatricolazioni a un corso accademico dal 2003 (anno del massimo storico di 338 mila) al 2013 (con 270 mila) sono calate del 20%. La tendenza al ribasso non si è arrestata. Addirittura, non c’è nemmeno più il desiderio di diventare ‘dottori’: si è ridotta del 10% la percentuale dei quindicenni italiani che vogliono iscriversi all'università (da circa il 50% al 40%). Nel nostro Paese, la spesa pubblica pro capite per l’istruzione è pari a 1.103,89 euro l’anno, contro i 1.511,04 della media Ue, circa il 27% in meno. Il risultato è che all’Università si registra una situazione di stand by, con sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso e un numero altissimo di cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori (figura a esaurimento) e quasi-docenti in perenne attesa. E nel 2015 è stato pubblicato il decreto-beffa sul riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e sul ‘costo standard’ di formazione per studente, che penalizza gli atenei minori.
Lo scorso anno, la legge di bilancio di fine 2014 tagliò al funzionamento ordinario degli atenei ben 98 milioni con modalità progressive. Nello stesso periodo, il governo Renzi ha approvato il nuovo riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali, legandone una parte alla qualità e tipologia dei servizi offerti dagli atenei agli studenti. Ma decretando, in tal modo, la fine di tante università del Sud e di tutte quelle collocate in contesti svantaggiati. Intanto, le tasse sono triplicate, le iscrizioni crollano e l’investimento nazionale rispetto al Pil rimane in fondo alla classifica Ocse.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): basta con le manovre spot. Per rilanciare l’Università italiana, serviva prima di tutto andare a rivedere la Legge 240/2010, che ha sancito la precarizzazione del personale accademico e cancellato la figura del ricercatore a tempo indeterminato, che ha bisogno di stabilità. Invece tanti di loro hanno tra i 40 e i 50 anni, svolgono attività scientifica da tempo, continuano a stipulare solo contratti a termine. E di investimenti veri non si parla. Come si fa a pensare di risolvere tutto assumendo un po’ docenti?