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Anche quest’anno si parte con 70 mila alunni in meno, ma le classi pollaio rimangono

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Sta prendendo corpo la riduzione di iscrizioni scolastiche conseguenti alla denatalità: annunciate mesi fa dal Miur, che stimò 43 mila alunni complessivi in meno in un solo anno, di cui 23 mila alla primaria e 20 mila alla secondaria, adesso si stanno traducendo in assenze che pesano anche sul fronte delle classi in meno e della riduzione di organici del personale. Considerando il maggior numero di uscite dal percorso scolastico, sia per la conclusione degli studi con la maturità, sia per il permanere dell’alto numero di abbandoni precoci dei banchi, con il ritorno a scuola si conteranno ben 70 mila allievi in meno rispetto al settembre 2018. E non è più una riduzione occasionale, ma una tendenza acclarata da alcuni anni, tanto che alcune regioni, come la Sardegna, fanno registrare il record minimo di iscritti. Solo che anziché cogliere l’occasione per migliorare la qualità della didattica e intraprendere un nuovo modello di formazione degli organici del personale, non si fa nulla, perché gli Usr continuano ad autorizzare classi con oltre 30 alunni e non sempre ci si ferma a 20 in presenza di disabili.

“Gli alunni calano, ma purtroppo – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – non ci aspettiamo nulla di buono da chi amministra la scuola. Perché la realtà degli ultimi lustri ci dice che il numero di docenti, Ata e dirigenti scolastici non ha seguito il numero delle iscrizioni, ma quella del risparmio pubblico. Tanto è vero che quando queste andavano bene, pur di tagliare, si è alzata l’asticella del numero di alunni per docente, preludio delle attuali classi sempre più numerose, oppure ci si è inventati un vergognoso dimensionamento dell’intero sistema che, con il DPR gelminiano 81/2009, ha tagliato in un colpo solo 4 mila scuole autonome, 67 mila docenti e 50 mila Ata. La stessa autonomia differenziata applicata avrebbe portato le scuole di certe regioni alla resa finale. Quello che va fatto, invece, è agire con organici differenziati, con l’anticipo e l’aumento totale dell’obbligo formativo, con il ritorno del tempo scuola che avevamo fino al 2008”

 

Sono numeri emblematici quelli che arrivano dalle iscrizioni degli ultimi anni: gli alunni che hanno svolto un corso di studi sono risultati “oltre 45mila in meno nel 2016/17 rispetto all’anno precedente. Altri 67.754 in meno nell’anno successivo e 75.215 quest’anno scolastico rispetto al precedente. In totale si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo del 2,4%”, scrive La Stampa. Oggettivamente, ci troviamo dinanzi a un calo sensibile, pari quasi all’1 per cento: in pratica, è come se in dodici mesi si fosse perso l’intero pubblico di una finale dei Mondiali di calcio. La linea di tendenza riguarda pure il futuro: per il prossimo quinquennio, sulla base dei dati Istat relativi alle nascite ufficiali, si prevede un calo di quasi 370 mila alunni, con una media, quindi, di 74 mila allevi persi ogni anno.

 

Le situazioni regionali, anche il Nord si adegua

Le scuole, alle prese in questi giorni con l’organizzazione del nuovo anno scolastico, se ne stanno rendendo conto: le paventate riduzioni delle classi, sono diventate certezze. In Sardegna, dove si registra il tasso più basso di nascite a livello nazionale, pari a 1,07 figli per coppia, per la prima volta da quando è entrata in vigore la scuola obbligatoria, si è scesi sotto i 200mila gli studenti. “Dalla scuola materna e le superiori, dal 16 settembre – primo giorno delle lezioni – tra i banchi ci saranno 199.760 bambini e ragazzi. In totale 2788 in meno rispetto al precedente anno scolastico, che già era partito con un calo di 2600 unità. Un dato preoccupante e che riguarda soprattutto materna-elementari e medie”, scrive La Nuova Sardegna.

Il caso riguarda tutte le regioni, in particolare quelle del Sud: in Campania, si viaggia al ritmo di 15 mila alunni iscritti in meno l’anno; in Puglia il decremento è altrettanto importante, anche se si ferma a 11 mila allievi per anno scolastico. In Sicilia la perdita è su quelle cifre, anche considerando il record di oltre il 35% dei giovani che iniziano le superiori senza però mai conseguire la maturità. Per la prima volta anche il Nord Italia, dove si compensava il calo di nascite di bambini italiani con quelli stranieri, pure dalla Toscana in su, tranne l’Emilia-Romagna, si allinea alla tendenza di meno iscritti: più di 5 mila alunni in meno in Veneto; oltre 3 mila in Piemonte.

 

Le conseguenze

Cosa comporterà questo andamento sugli organici? Diciamo subito che quest’anno la riduzione di alunni non ha portato, come in passato, la mannaia sugli organici. Perché sono stati mantenuti i 617 mila dell’a.s. 2018/19. Inoltre, ci sono stati i 2 mila posti in più per iniziare il tempo pieno alla primaria anche nelle regioni del Sud, più di mille Itp e 400 posti in più nei licei musicali (grazie all’operato dell’Anief che ha fatto reinserire la seconda ora d’insegnamento nei licei specifici). Si è però anche ridotto il numero di docenti negli istituti professionali, dove il calo di iscritti è conclamato, di 361 unità. Dal calcolo è comunque escluso il sostegno, che è in controtendenza, perché si viaggia con un incremento annuo di circa 10 mila alunni con certificato di disabilità, ma a fronte del quale si continua a mantenere la vergogna dei posti in “deroga”, assegnati solo ai precari.

 

Il commento del presidente Anief

“Il futuro non è roseo, perché – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief - invece di cogliere l’occasione per creare delle classi finalmente con numeri decenti, è stata di recente approvata, con l’ultimo DEF, la riduzione progressive di spesa pubblica relativa al comparto Scuola, con impegni finanziari sempre più ridotti fino al 2040. E sapete come è stato giustificato tutto questo? Proprio con il calo delle nascite e degli iscritti. Perché i nostri governanti hanno calcolato che in dieci anni si perderanno circa 800 mila alunni. La speranza è allora nel nuovo Governo: è auspicabile che abbia la forza per riprendere in mano la fine delle classi pollaio, come il disegno di legge n. 877, che prevedeva una riduzione del rapporto alunni-classe dello 0,40 nel triennio 2019-2021, con al massimo 23 alunni per gruppo-classe e tassativamente non oltre 20 nel caso vi siano alunni con disabilità”.

 

Cosa serve

È inoltre fondamentale che la politica si adoperi per introdurre organici differenziati, che tangano conto dell’incidenza di variabili locali, come la dispersione e il tasso di alunni di stranieri. Occorre assolutamente uscire dalla logica delle norme nazionali che fanno scattare i posti solo in presenza di un numero minimo di alunni e di classi. Quando l’asse sociale e familiare non è in grado di sostenere l’alunno, devono scattare organici potenziati, anche di personale Ata. Come Anief, poi, sempre a seguito della denatalità, su deve procedere ad una revisione dei percorsi formativi, prevedendo l’anticipo della scuola a 5 anni di età e non più a 6, con il primo anno da considerare come ‘ponte’ e quindi con la compresenza di maestri d’infanzia e della primaria. Ma anche posticipando l’obbligo formativo dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età”.

“Rimane anche indispensabile – continua Pacifico – reintrodurre le ore di scuola tagliate con la riforma Tremonti-Gelmini: sarebbe la risposta migliore anche laddove, soprattutto al Meridione, l’introduzione del tempo pieno risulta difficile. Va anche reinserito il ‘modulo’ alla primaria: un modello, basato sulle compresenze, che aveva portato la nostra scuola primaria tra i primissimi posti al mondo, prima di scendere nelle classifiche fino agli scoraggianti risultati Invalsi sulle competenze acquisite. In assoluto, vanno poi cancellati gli organici di fatto, a partire dalle deroghe su sostegno, attraverso le quali si assegnano ogni anno, solo a supplenze, oltre 50 mila posti vacanti e disponibili, pur di risparmiare sui mesi estivi dei precari e sulle loro ricostruzioni di carriera”.

 

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27 Agosto 2019
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Tags: MIUR, Pacifico, Classi pollaio, Dimensionamento

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