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Non nascondono la soddisfazione i sindacati per il Protocollo di intesa sul lavoro pubblico sottoscritto ieri sulla base dell'accordo già definito il 3 maggio dalle stesse organizzazioni sindacali, governo, regioni, province e comuni.

"Quello sottoscritto - dichiara Marcello Pacifico, membro ConfedirMit-Pa e presidente Anief - è un documento che condividiamo pienamente. Prima di tutto perché rimette in discussione i tanti danni introdotti dalla riforma Brunetta. Ad iniziare dall'introduzione di un nuovo modello di relazioni sindacali, con al centro la contrattazione collettiva nazionale di lavoro per la determinazione degli aumenti di stipendio del personale".

"L'accordo raggiunto - continua sindacalista - porrà anche un freno ai tagli orizzontali al comparto pubblico, valorizzando specifiche competenze che, in particolare nella scuola, non possono essere misurate da livelli di prestazione nazionale (come i test Invalsi). Inoltre il protocollo permetterà l'approvazione, attraverso i conseguenti provvedimenti legislativi, di nuove regole sul mercato del lavoro, anche in riferimento alla flessibilità in uscita".

L'approvazione del Protocollo comporterà benefici pure in campi non strettamente professionali: secondo Marcello Pacifico, infatti, "l'accordo tiene conto delle direttive europee che favoriscono la mobilità dei cittadini all'interno dell'Ue. Andando quindi a determinare maggiori spostamenti anche all'interno delle province italiane".

Fonte: Italpress

L’Anief, dopo aver plaudito all’apertura del Ministro per l’accesso senza selezione ai corsi TFA e aver richiesto, però, un Decreto Legge d’urgenza che metta fine a tante incertezze, perché, in caso contrario, l’Amministrazione si ritroverà ancora una volta a soccombere nelle aule dei tribunali, sostiene una nuova tesi sulla portata effettiva dell’abilitazione conseguita.

Secondo l’Anief “le abilitazioni all’insegnamento equivalgono per legge al superamento di un concorso. Mentre il Ministero dell’Istruzione sembra non seguire questa norma”.

Si tratta di una tesi del tutto nuova e interessante per la quale il generico riferimento normativo dovrebbe forse essere meglio approfondito.

L’Anief ricorda al Miur come da sempre ogni procedura abilitante sia stata ritenuta concorsuale e quindi utile ai fini dell’immissione nei ruoli della scuola. È allora davvero sconcertante quanto ha dichiarato oggi, attraverso cui si fa finta di non sapere che il titolo conseguito al termine dei corsi di formazione primaria consente l’inserimento nelle graduatorie dai cui si attinge il 50 per cento delle immissioni in ruolo”.

A onor del vero va detto, però, che l’abilitazione conseguita con la laurea in scienze della formazione primaria non riguarda i prof. della secondaria e, comunque come si sa, ha dato luogo agli inserimenti in graduatoria ad esaurimento soltanto in un determinato in periodo, tanto è vero che quest’estate vi è stata una pressante richiesta, non accolta dal Parlamento, per aprire le graduatorie ad esaurimento ai nuovi abilitati della scuola primaria.  

Dopo aver dichiarato che il ministero inadempiente “dovrà confrontarsi necessariamente ancora una volta con il nostro sindacato nelle aule del Tribunale”, il presidente Marcello Pacifico conclude affermando che, a suo parere, “il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento deve sempre necessariamente garantire l’accesso ai ruoli della Pubblica Amministrazione”.

Fonte: Tuttoscuola

Il punto della situazione pubblicato l'8 maggio lascia inalterati diversi dubbi. Ad iniziare da quelli sui servizi utili per l’accesso: servono 36 mesi, 1.080 giorni o tre anni di servizio? E come verrà considerato quello svolto nelle paritarie? Fa pensare, poi, che si continui ad ignorare primaria e infanzia.

Le precisazioni del ministero dell’Istruzione sui Tfa sembrano aver prodotto l’effetto opposto: anziché fare chiarezza e sgomberare finalmente dubbi e incertezze su un percorso formativo ancora “acerbo” e ricco di punti oscuri, sembra aver alimentato ulteriori tensioni e contraddizioni. Ad iniziare dal versante che riguarda la soglia minima di accesso riservata ai docenti precari che verranno accolti nel “diverso percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il possesso della prescritta abilitazione”. Ma 36 mesi equivalgono a 1.080 giorni. Allora perché fonti attendibili del Miur, ma anche ieri la stessa Uil Scuola, hanno indicato come soglia solo 540 giorni di servizio? E ancora, perché nella stessa nota di chiarimenti il Ministero tira in ballo, per giustificare la procedura formativa con il “doppio binario”,  il “D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, prevede il “riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea?”.

Insomma, più di qualcosa non torna: chi opera nella scuola sa bene che 36 mesi, 1.080 giorni o tre anni di servizio possono rappresentare delle situazioni lavorative pregresse ben diverse. Valgono, ad esempio, solo i canonici 180 giorni di supplenza considerati come limite massimo nel caso delle supplenze annuali? Oppure possono essere annoverati nel computo tutti i servizi svolti (anche quelli estivi, ad esempio, quindi ad attività didattiche concluse). Inoltre, il Miur farebbe bene a chiarire se il servizio svolto presso istituti privati o parificati (a condizioni spesso molto diverse rispetto a quelle della scuola pubblica) abbia la stessa valenza e considerazione numerica. L’equiparazione di servizi, in casi limite addirittura mai svolti, non verrebbe di certo bene accolta da coloro che hanno svolto la “gavetta” interamente nello Stato.

Ancora una volta, poi, viale Trastevere continua ad ignorare due dei tre “tronconi” sulla formazione del DM 149/2010, dando esecuzione solo all’art. 15 dello stesso decreto. Sinora, le altre parti riguardanti la nuova formazione (in particolare quella relativa ai docenti che devono operare nel primo ciclo) non solo non sono state mai avviate. Ma neanche citate, se non altro per dare indicazioni o lumi ai diretti interessati. E l’amministrazione, francamente, non può continuare a rimandare la formazione specialistica di una fetta così grande di candidati. Che continuano incredibilmente a rimanere al palo. L’unico riferimento, nella nota dell’8 maggio, è questo: “l’abilitazione che si consegue a seguito della frequenza del TFA o dei corsi di laurea in Scienza della formazione primaria rappresenta solo la conclusione del percorso di formazione iniziale dell’insegnante e costituisce il presupposto per la partecipazione alle procedure concorsuali”. E, a detta dei sindacati, sarebbe anche sbagliato.

Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacificoin particolare “da sempre ogni procedura abilitante è stata ritenuta concorsuale e quindi utile ai fini dell’immissione nei ruoli della scuola. È allora davvero sconcertante” il fatto che “si fa finta di non sapere che il titolo conseguito al termine dei corsi dalla formazione primaria consente l’inserimento diretto nelle graduatorie, dai cui si attinge il 50 per cento delle immissioni in ruolo”. La sensazione è che la matassa sia davvero ingarbugliata. E per scioglierla il Ministero dovrebbe mettere la formazione dei docenti tra le priorità del suo operato. Il tempo delle soluzioni affrettate o provvisorie è ormai scaduto.

Fonte: Tecnica della Scuola

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XXIV2012

 

 

 

In questo numero:

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I RICORSI

Dimensionamento: per evitare il licenziamento i Dsga costretti a cambiare regione

Ricorso contro il blocco quinquennale della mobilità per il personale docente neo immesso in ruolo 

Scheda di rilevazione dati Ricorso Mobilità - Trasferimenti