Tutto il periodo di supplenza, non un giorno di meno, è da considerare utile per l’anzianità della carriera: il riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, va attuato nella ricostruzione del servizio svolto, una volta una volta entrati in ruolo. A ribadirlo è stato il Tribunale di Modena, sezione Lavoro, che ha accolto il ricorso di una assistente amministrativa assunta a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero il 1° settembre 2014, ma che in precedenza aveva svolto 6 anni, 6 mesi e 3 giorni di supplenze. Secondo il giudice, per non cadere in “una irragionevole discriminazione rispetto ai pubblici dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a parità di mansioni” è inevitabile considerare tutto il periodo pre-ruolo. Il giudice, pertanto, ha condannato il ministero dell’Istruzione, ordinandogli di valutare tutti i periodi di supplenza dell’assistente amministrativo, quantificato in oltre 2mila euro di “differenze retributive”. Inoltre, tale considerazione ha permesso alla lavoratrice di passare nello scaglione successivo, usufruendo quindi di uno stipendio più alto.
Marcello Pacifico, presidente Anief, ricorda che “il sindacato sul terreno dei diritti del personale non arretra un millimetro e i fatti ci danno ragione. Recuperare migliaia di euro e passare di livello stipendiale è un risultato di cui andiamo fieri, ma soprattutto lo sono i ricorrenti, che dopo avere presentato ricorso, grazie al Tribunale riescono finalmente ad avere giustizia”.
La lavoratrice aveva “prestato servizio, prima dell’immissione in ruolo, alle dipendenze del MIUR in virtù di reiterati contratti a tempo determinato, dall’a.s. 2005/2006, nonché lamentando che, in sede di ricostruzione di carriera, l’amministrazione non abbia riconosciuto integralmente il servizio non di ruolo prestato”, pari ad oltre 6 anni e mezzo, “e non abbia fatto applicazione della clausola di salvaguardia prevista dallo stesso accordo del 19 luglio 2011”.
Il giudice ha appurato la fondatezza della tesi difensiva dei legali che hanno operato per Anief, che nel richiamare “il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato” hanno fatto riferimento all'ordinamento “comunitario, dalla clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, al quale ha dato attuazione la Direttiva comunitaria 1999/70/CE. Secondo tale disposizione, "per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive".
Il giudice ha quindi escluso “che possa configurare una ragione oggettiva il mero richiamo alla natura temporanea del rapporto, in quanto ciò”, secondo la Corte di Giustizia Europea, "svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della direttiva e dell'accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato".
Ciò ha comportato “la ricostruzione di carriera mediante il riconoscimento integrale – a decorrere dall’assunzione in ruolo - del servizio prestato con contratti di lavoro a tempo determinato nonché a percepire incrementi stipendiali di cui al CCNL applicato con applicazione della clausola di salvaguardia di cui al CCNL del 4 agosto del 2011; condanna l’Amministrazione convenuta a provvedere in conformità, nonché al pagamento in favore della predetta parte ricorrente differenze retributive conseguenti alla disposta ricostruzione della carriera, quantificate in € 2.043,94, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo; condanna il Miur al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 3.513,00, oltre rimb. forf., IVA e CPA”.
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