Precariato

Il 4 febbraio 2014 il sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, a nome del Governo, ha risposto all'interrogazione parlamentare n. 564 sulla materia presentata dal portavoce M5S al Senato, Fabrizio Bocchino, ribadendo la posizione formale quanto erronea del MEF: la deroga introdotta dalla legge n. 228 viene applicata solo dal 1° gennaio 2013, pertanto nel periodo compreso tra il 7 luglio 2012 e il 31 dicembre dello stesso anno rimane vigente il divieto di monetizzazione di cui al decreto-legge n. 95. Il risultato di questa manovra si è avuto in questi giorni, con la corresponsione di pagamenti esigui.

Tuttavia, la giurisprudenza europea e nazionale dà ragione ai precari. Con Anief hanno presentato ricorso già 600 dipendenti: chi non volesse soccombere a questa palese ingiustizia fa ancora in tempo.

Sulla monetizzazione delle ferie del personale precario della scuola, il Ministero dell’Economia e l’amministrazione scolastica continuano rendersi artefici di una “farsa” senza fine. L’ultimo atto è l’interpretazione formale, quasi filologica, della deroga contenuta nell’art. 54 Legge di Stabilità n. 228 del 2012: secondo il MEF, l’eccezione da adottare a favore dei dipendenti della scuola va applicata solo a partire dal 1° gennaio 2013. E non tra il 7 luglio e il 31 dicembre 2012, come previsto dalla Spending review, il decreto legge n. 95, che ha introdotto il divieto di monetizzazione. In questo periodo, in pratica, l’amministrazione per quantificare le ferie da pagare al supplente dovrà prima detrarre i giorni di sospensione delle lezioni (dalle vacanze di Natale a quelle di Pasqua, ma anche le sospensioni delle lezioni per l'organizzazione di attività non prettamente scolastico-formative, come l’attivazione dei seggi elettorali o lo svolgimento dei pubblici concorsi): con il risultato di procedere a un pagamento delle ferie ridotto, in molti casi risibile.

L’intera vicenda – con l’amministrazione che continua a fare di tutto per fare “cassa” ai danni dei suoi dipendenti – è stata ripercorsa dal sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi. Il quale lo scorso 4 febbraio, a nome del Governo, ha risposto all'interrogazione parlamentare n. 564 sulla materia presentata dal portavoce M5S al Senato, Fabrizio Bocchino: come riportato dallo stesso esponente del Movimento 5 Stelle, ad imporre questa linea formalistica è stato il “Ministro dell'economia e delle finanze con la nota del 4 settembre 2013, secondo cui la deroga introdotta dalla legge n. 228 viene applicata dal 1° gennaio 2013 e che, pertanto, nel periodo compreso tra il 7 luglio 2012 e il 31 dicembre dello stesso anno, rimane vigente il divieto di monetizzazione di cui al decreto-legge n. 95”. Durante la controreplica il Sen. Bocchino si è dichiarato “insoddisfatto di tale interpretazione, viepiù penalizzante per i lavoratori precari, che sta determinando in questi giorni la liquidazione di cifre ridicole nella busta paga dei docenti”.

Dello stesso parere del senatore del M5S è l’Anief. Che ha sempre giudicato la negazione al pagamento delle ferie dei precari, anche di una parte, palesemente in contrasto con le indicazioni comunitarie e con la giurisprudenza nazionale: il giovane sindacato, a tal proposito, ha già presentato al giudice del lavoro circa 600 ricorsi. E invita tutta i precari danneggiati ad impugnare la posizione dell’amministrazione attraverso una e-mail da inviare a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Anief ribadisce che quella del MEF è un’interpretazione assolutamente parziale dell'art. 54 della Legge n. 228/12. In evidente contrasto con la Direttiva Comunitaria n. 88/2003. Ma anche con i pareri espressi in merito dalla Cassazione. Oltre che di un preciso articolo della Costituzione, il 36, e di diverse parti della giurisprudenza nazionale. Tra queste citiamo l’articolo 2109 c.c., il quale dispone che il diritto alle ferie si concretizza attraverso una fruizione il più possibile continuativa, al fine di soddisfare la finalità specifica “del recupero energetico e della salutare distensione e ricreazione psicologica”. E le leggi sono fatte per essere rispettate.

Per approfondimenti:

Sulle ferie dei precari il Miur sbaglia: invece di fare un passo indietro, segue la posizione sbagliata di Via XX Settembre

 

Dopo le direttive dell’Europa, a sostenerlo sono i conti della Ragioneria dello Stato: dove si stabilizza il personale, come per sanità e regioni, si arriva a risparmiare il 33% in cinque anni (285 milioni). Mentre dove si mantengono in vita 140mila supplenti annuali, come nella scuola, si va incontro ad un aggravio per il comparto, e per l’erario, di 350 milioni di euro. Anief-Confedir: una “perfetta” operazione di risparmio al contrario, che produce disservizi e fa lievitare il debito statale.

Tenere precarizzato il rapporto di lavoro di centinaia di migliaia di dipendenti può costare molto caro. Lo sa bene lo Stato italiano, che tra il 2007 e il 2012 ha stabilizzato quasi 25mila lavoratori del servizio sanitario nazionale e circa 28mila appartenenti alle regioni ed alle autonomie locali. Ciò ha comportato un risparmio immediato sui costi sostenuti dall’amministrazione, rispettivamente, di 80 e 285 milioni di euro. Offrendo un esempio positivo su come sia possibile adottare una buona politica di spending review, visto che si è arrivati a ridurre di un terzo le spese sostenute appena cinque anni prima. E, nel contempo, si è dato seguito a quanto previsto dalla normativa europea vigente (in particolare dalla direttiva 1999/70/CE) sul fronte della stabilizzazione del personale dipendente precario con almeno tre anni di servizio alle spalle.

Purtroppo, però, il buon esempio adottato per i dipendenti di sanità e regioni non trova riscontro nella scuola. Deve nello stesso arco temporale il numero di dipendenti stabilizzati si è fermato a poche centinaia. Ciò ha comportato che la “Spesa per il tempo determinato” del comparto Scuola – si legge nel rapporto annuale del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato - è passata dai 512,69 milioni di euro del 2007 agli 861,10 del 2012. Facendo quindi registrare – unico caso in controtendenza nella PA - un incremento del 68%, pari a circa 350 milioni di euro, rispetto alla spesa per le supplenze sostenuta cinque anni prima.

Ma sempre nel quinquennio 2007-2012 tutta la spesa totale del settore scolastico ha fatto registrare un sostanzioso incremento. Il sempre più rallentato turn-over ha infatti lasciato in servizio un sempre numero maggiore di docenti over 50. Tanto è vero che oggi oltre il 60 per cento degli insegnanti italiani è in questa fascia di età. Aggravando ulteriormente le “casse” dello Stato, visto che grazie ai gradoni stipendiali, coloro che detengono un numero maggiore di anni di servizio percepiscono uno stipendio maggiorato rispetto ai colleghi neo-assunti. E ciò comporta, oltre che un pericoloso ‘appesantimento’ anagrafico del corpo docente italiano per il sempre maggior gap rispetto agli alunni, anche un aggravio per i conti dello Stato.

Eppure la possibilità per svecchiare in poco tempo la categoria ci sarebbe: nel 2012 sono infatti stati 140mila, quasi la metà di tutti quelli della pubblica amministrazione, i dipendenti della scuola assunti a termine. Mentre la Ragioneria Generale dello Stato ha conteggiato “solo” altri 167mila precari in forza ad altri comparti (con presenze maggiori nelle Regioni ed autonomie locali, quasi 53mila posti, e nelle forze armate, oltre 39mila). La consistenza dei docenti sul totale dei precari della PA sfiora quindi la metà del contingente complessivo. E rimane sempre alta la percentuale di comparto Scuola rispetto al personale di ruolo: attorno al 14%.

“Dunque quasi la metà dei lavoratori non a tempo indeterminato del pubblico impiego (circa il 46%) – spiega il Dipartimento della Ragioneria generale - è costituito da personale legato al mondo dell’istruzione in cui una quota di personale non stabile è necessaria a coprire le fisiologiche oscillazioni nel numero di cattedre che si formano ogni anno o per coprire le cattedre che restano scoperte, come nel caso delle sostituzioni per maternità, evento tutt’altro che raro vista la composizione di genere del comparto”.

Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, non ha dubbi: “oltre che disattendere le richieste dell’Europa sugli obblighi di stabilizzazione del personale con almeno 36 mesi di servizio svolto, lo Stato italiano dà dimostrazione di come sia possibile attuare una politica di spending review alla rovescia. Prima la politica dei tagli all’istruzione e alla formazione, iniziata con l’articolo 64 della Legge 133/2008, e successivamente quelle sull’inasprimento del rapporto a tempo determinato, come nel caso della Legge 106/2011, non hanno fatto altro che rendere più rossi i conti della pubblica amministrazione”.

“Disattendendo quindi clamorosamente i risultati auspicati dal legislatore: le spese per il personale dipendente, che si volevano ridurre attraverso i provvedimenti di calmierizzazione della spesa, hanno addirittura fatto registrare un importante incremento della spesa di comparto. Confermando che nella Scuola, dove comunque il servizio va garantito, la politica dei tagli dei posti di lavoro ad oltranza non paga: oltre a produrre disservizi ad alunni e famiglie, comportando scarsa continuità didattica e progettualità, deprime l’economia generale e – conclude Pacifico – ora la Ragioneria dello Stato ci dice che fa aumentare la spesa pubblica”.

Per approfondimenti:

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Analisi Anief-Confedir dei conti emessi dalla Ragioneria Generale dello Stato: tra il 2007 e il 2012 perse 93mila unità a tempo determinato. Eppure, pur sacrificando tanti posti di lavoro, il comparto Istruzione per garantire il servizio pubblico ha fatto comunque registrare un’impennata della “Spesa per il tempo determinato”, passata da 512 a 861 milioni di euro.

Nella scuola italiana nell’80% dei casi è il personale precario a pagare la crisi economica e gli effetti delle riforme taglia posti: tra il 2007 ed il 2012 il numero insegnanti, dirigenti e personale non docente a tempo determinato si è quasi dimezzato. E non certo per effetto delle immissioni in ruolo, visto che nello stesso periodo si è provveduto poco più che a coprire il turn over. Dei 124.292 posti tagliati nel comparto dell’istruzione pubblica, ben 93.730 hanno riguardato dipendenti non di ruolo. Tanto è vero che il numero complessivo di lavoratori con contratto annuale, sparsi per le circa cento province italiane, è passato da 233.866 a 140.136. I dati sono contenuti nel Conto annuale del periodo 2007 – 2012, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, sul quale Anief-Confedir ha realizzato un approfondimento di settore.

Per il sindacato, si tratta di indicazioni inequivocabili sul fallimento della politica avviata con i tagli draconiani Gelmini-Tremonti. Ancor di più se paragonate al decremento nello stesso periodo, decisamente più limitato, delle unità lavorative riconducibili al personale di ruolo: in questo caso, sempre nel quinquennio considerato dai tecnici del Mef, sono solo 30.562 i posti cancellati. Con i dipendenti a tempo indeterminato in forza al comparto Istruzione passati dai 903.753 del 2007 agli 873.191 del 2012.

La tendenza alla riduzione sensibile del personale si è registrata in tutta la PA. Col risultato che oggi, a fronte di circa 140mila dipendenti della scuola assunti a termine, la Ragioneria Generale dello Stato ha conteggiato altri 167mila precari in forza ad altri comparti (con presenze maggiori nelle Regioni ed autonomie locali, quasi 53mila posti, e nelle forze armate, oltre 39mila). La consistenza sul totale di precari della PA sfiora quindi la metà del contingente complessivo. Come rimane sempre alta la percentuale di comparto Scuola rispetto al personale di ruolo: attorno al 14%.

“Dunque quasi la metà dei lavoratori non a tempo indeterminato del pubblico impiego (circa il 46%) – spiega il Dipartimento della Ragioneria generale - è costituito da personale legato al mondo dell’istruzione in cui una quota di personale non stabile è necessaria a coprire le fisiologiche oscillazioni nel numero di cattedre che si formano ogni anno o per coprire le cattedre che restano scoperte, come nel caso delle sostituzioni per maternità, evento tutt’altro che raro vista la composizione di genere del comparto”.

Ma quanto ha guadagnato lo Stato da questa operazione? Nulla. Anzi ha incrementato la spesa per coprire le supplenze di oltre il 50%. Scorrendo sempre il documento prodotto dai tecnici di Viale XX Settembre, infatti, emerge che la “Spesa per il tempo determinato” nella Scuola italiana è passata dai 512,69 milioni di euro del 2007 agli 861,10 del 2012. Facendo quindi registrare – unico caso in controtendenza nella PA – un incremento del 68%, superiore ai 350 milioni di euro, rispetto alla spesa per le supplenze sostenuta cinque anni prima.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “questi numeri confermano che la politica dei tagli all’istruzione e alla formazione delle nuove generazioni, iniziata con l’articolo 64 della Legge 133 del 2008, si è scagliata contro il personale precario. Con l’aggravante che non ha condotto ai risultati auspicati dal legislatore: quella spesa per il personale, che si voleva ridurre copiosamente, ha addirittura fatto registrare un importante incremento. Confermando che nella Scuola, dove comunque il servizio va garantito, la politica dei tagli dei posti di lavoro ad oltranza non paga: comporta disservizi ad alunni e famiglie, incrementa la disoccupazione e deprime l’economia generale. E ora si scopre anche inefficace per la riduzione dei costi. L’unica soluzione - conclude Pacifico – è quella di stabilizzarli”.

SCUOLA
2007
2012
Variazione
Dipendenti a tempo determinato
233.866
140.136
-40%
Spesa in milioni di euro per il TD
512,69
861,10
+68%

 

Fonte: Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (dicembre 2013)

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Anief-Confedir: invece di dare il via libera ai 12mila abilitati con Tfa ordinario, per inserirsi nelle graduatorie pre-ruolo, come previsto dal nuovo Regolamento sulla formazione iniziale al fine di migliorare lo standard qualitativo del servizio nazionale di istruzione, si decide di lasciare tutto come prima. Facendo passare per concessione quel che da sempre è un loro diritto.

L'annuncio di oggi del Ministero dell'Istruzione di modificare "in parte l’attuale Regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti", per "valorizzare il titolo abilitante"  facendolo "valere da subito nelle graduatorie di istituto, in attesa del loro consueto aggiornamento triennale", rappresenta una decisione illusoria: il mancato inserimento nelle graduatorie che più contano, quelle ad esaurimento, lascia infatti a bocca asciutta circa 12mila neo abilitati tramite Tfa ordinario. In prospettiva, prepara allo stesso destino i prossimi 70mila abilitati attraverso i Pas. E continua ad ignorare gli idonei al concorso a cattedra non assunti, che tra un paio d'anni si ritroveranno per strada. 

Si tratta di una scelta incoerente e irragionevole, perché non lascia speranze di stabilizzazione a giovani e meritevoli, che l’università statale ha selezionato, formato e abilitato su richiesta del legislatore. Ora, invece di dare loro il via libera per inserirsi nelle graduatorie pre-ruolo, come anche previsto dal nuovo Regolamento sulla formazione iniziale al fine di migliorare lo standard qualitativo del servizio nazionale di istruzione, si decide di lasciare tutto come prima. Concedendo agli abilitati quel che è da sempre un loro diritto.

Tutto questo rasenta la truffa, soprattutto se si pensa che chi si abilita all’estero, senza selezione, può insegnare in Italia, mentre chi è chiamato ad abilitarsi nel nostro Paese continua ad essere lasciato ai margini. Le uniche buone notizie arrivano dal fatto che la laurea continuerà ad essere titolo di studio valido per l’inserimento nelle graduatorie di istituto in terza fascia e che entro febbraio verrà emanato il bando per la partenza del secondo ciclo dei Tirocini formativi attivi.

"Riteniamo particolarmente grave - dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - che dei lavoratori dello Stato per far valere un loro diritto siano costretti ancora una volta a ricorrere al tribunale. È assurdo che si continui a fare ostruzione nei confronti di tanti docenti che per abilitarsi hanno speso fino a 4mila euro. E che i vincitori di un concorso pubblico nazionale vengano lasciati fuori dell'insegnamento dopo aver superato preselezioni, prove scritte e orali. Quella assunta dal Ministro – conclude Pacifico – è una scelta in spregio al buon senso, ai diritti dei cittadini e alle leggi comunitarie. Contro cui non staremo di certo a guardare”.

 

Le nomine con contratti in attesa dell’avente diritto ex art. 40 Legge 449/97 sono sempre state considerate supplenze brevi secondo il regime giuridico previsto dall’art. 19 comma 10 del CCNL 2006-2009, dove a riguardo si legge che per le assenze dal servizio per malattia del personale della scuola, assunto con contratto di lavoro a t.d. stipulato dal dirigente scolastico, nei limiti della durata del contratto, spetta la conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali, con retribuzione al 50%.

Quanto appena detto ha però negli anni prodotto delle palesi violazioni del diritto nei confronti del supplente che, pur in presenza di nomina fino all’avente titolo ex art. 40, ha occupato un posto che nella sua natura giuridica era fino al 30 giugno o al 31 agosto.

A tal proposito è intervenuto durante lo scorso anno scolastico l’USR Veneto che, dopo aver chiesto il parere dell'avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, ha emanato la nota prot. n. 2957 del 12 marzo 2013 con la quale chiarisce che: “nel caso in cui il contratto stipulato “fino all'avente diritto” si riferisca a posto vacante (31 agosto) o disponibile (30 giugno) e pertanto la liquidazione delle competenze sia a carico degli Uffici del Tesoro, il contratto è equiparabile alla supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche.”

Importante anche la nota MIUR 6677/12 che recita: “quando al medesimo docente o ata e sul medesimo posto sia attribuita prima una supplenza temporanea in attesa dell’avente titolo e poi una supplenza annuale o temporanea sino al termine delle attività didattiche, l’intero periodo assume il regime giuridico del provvedimento attribuito a titolo definitivo”.

Ora, considerato che anche quest’anno molti docenti e personale ATA hanno un contratto ex art. 40 fino all’avente titolo e viste le diverse segnalazioni che ci giungono, che denunciano posizioni opposte nell’individuazione della normativa da applicare - malattia al 50% o malattia al 100% - l’ANIEF chiede al MIUR di voler intervenire con una nota, indirizzata a tutte le istituzioni scolastiche, che chiarisca in maniera inequivocabile quale sia la disciplina da applicare al contratto stipulato.

Pertanto, il personale docente e ATA nominato in attesa dell’avente diritto che si è visto decurtare la retribuzione per assenza di malattia a seguito di diversa applicazione del CCNL, è invitato a rivolgersi alle nostre sedi territoriali o scrivere (anche se docenti) a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per attivare le procedure per il recupero di quanto indebitamente detratto.