È stata “pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 24 settembre n 133 contenente la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111, recante misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti”. Anief conferma la sua opposizione all’obbligo del Green pass: “è stato commesso un errore che alla lunga non limiterà i contagi. Le azioni da attuare erano altre, come il mantenimento del distanziamento minimo tra alunni, questo sì obbligatorio, il dimezzamento degli alunni per classe, l’incremento degli spazi scolastici, l’aumento sostanziale degli organici del personale docente e Ata. Il fatto che vi siano oltre mille classi già in dad significa che la strada non è quella giusta, speriamo che con i fondi del Pnrr si riesca a rimediare”
Sui pensionamenti del personale scolastico, che ogni anno coinvolgono decine di migliaia di dipendenti, il ministero dell’Istruzione non torna indietro e conforma, con Decreto e Circolare pubblicati in queste ore, il termine finale ed improrogabile del 31 ottobre prossimo per la presentazione delle domande di cessazione per dimissioni volontarie dal servizio da realizzarsi il 1° settembre 2022. Anief conferma la sua contrarietà a questo immotivato anticipo, perché bisognava attendere la conferma legislativa delle novità sulla integrazione della lista dei lavori usuranti e gravosi, ma anche l'eventuale proroga al 2022 di “Quota 100” o le probabili novità legislative che il Governo vorrà introdurre ma sulle quali al momento vige un silenzio assordante.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “chi lavora all’interno di un istituto scolastico va incontro ad uno stress e ad un’usura psico-fisica che ha riscontro in poche altre professioni. Gli strascichi psicologici e fisici che comporta l’opera professionale in un istituto scolastico sono un dato di fatto, confermato dalle alte percentuali di patologie riscontrate nella categoria, ad iniziare dai docenti: dati che però l’amministrazione, benché più volte sollecitata, continua a tenere secretati. Per questo abbiamo chiesto nel nuovo contratto di lavoro la diaria da rischio biologico assegnata invece ad altri comparti. Come sindacato e anche come Confederazione, siamo sempre più convinti che anziché cambiare la tempistica sulla presentazione delle domane, bisognava legiferare, anche per decreto legge, sull’accesso alla pensione per chi lavora a scuola a 62 anni e senza penalizzazioni considerando anche che gli stipendi dei docenti e Ata sono tra i più bassi della PA italiana e nell’area Ocse. Allargare l’Ape Sociale a tutti i dipendenti della scuola e non solo ai colleghi della primaria è il minimo che si possa fare”.
Anief, in convenzione con Cedan, conferma anche per quest’anno l’assistenza ed il supporto specializzato per l’invio delle domande di pensionamento: è possibile contattare via web la sede Anief più vicina.
Diverse sono le proposte di legge per evitare il ritorno alla Legge Fornero integrale, con l’accesso alla pensione non prima dei 70 anni o di 42 anni di contributi versati. Nessun ddl, però, sembra volere essere recepito dal Governo. Si tratta di una evidente contraddizione. Perché a fornire idee sulle modalità di anticipo pensionistici, durante l’attuale legislatura, sono stati praticamente tutti i maggiori partiti politici: gli stessi che, tranne Fratelli d’Italia, fanno parte dell’attuale maggioranza. Dunque, a dire no a una modifica sulle inaccettabili sulle soglie d’accesso alla pensione, dopo tre anni di “Quota 100”, che ha permesso di lasciare il lavoro ai lavoratori con almeno 38 anni di contributi e 62 anni di età, sono gli stessi raggruppamenti politici che hanno promosso azioni di modifica.
Secondo il sindacato Anief, che chiede di introdurre almeno per i dipendenti della scuola “Quota 96”, si sta giocando sulla pelle di tantissimi dipendenti che dopo decenni di servizio chiedono di lasciare e fare largo ai giovani: “Non si può obbligare a rimanere fino a 67 anni anche chi è sfinito e chiede solo di vedere materializzarsi un suo diritto – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale del sindacato autonomo -, stiamo assistendo ad una evidente ingiustizia. Che si somma a quella del mancato riconoscimento della sindrome di burnout, al non adeguamento stipendiale ai rischi biologici che comporta la professione. Negare delle forme di pre-pensionamento alla categoria scolastica significa poi caricare il sistema sanitario nazionale, perché risulta alta la percentuale di docenti e Ata attorno ai 60 anni con patologie per motivi legati allo stress da lavoro correlato. E nemmeno le leggi si applicano, perché il decreto legislativo n. 81, del 2008 prevede che chi ha alle dipendenze dei lavoratori è tenuto a controllare e prevenire le malattie professionali: una norma che al massimo ha prodotto la somministrazione di questionari per registrare lo stato di fatto. Nel frattempo, il personale scolastico si ammala. Noi, attraverso la Confederazione, continuiamo a chiedere al ministro del Lavoro e delle politiche sociali di introdurre “Quota 96” e di estendere l’Ape Sociale a tutto il personale e non solo ai colleghi della primaria, oltre a quelli dell’infanzia che già ne beneficiano”, conclude Pacifico.
Scende il numero di studenti italiani iscritti nelle nostre scuole (- 115 mila), mentre sale quello degli alunni stranieri (+ 19 mila) facendo registrare un incremento annuale del 2,2% e di circa il 25% nell’ultimo decennio: sono circa 877 mila (10,3% della popolazione scolastica) su un totale di 8.484.000 allievi che lo scorso anno hanno frequentato le scuole del Paese, con un incremento importante degli alunni appartenenti alle cosiddette “seconde generazioni”. La presenza di giovani stranieri sui banchi – di cui quasi la metà è di origine europea - si registra soprattutto nel Settentrione: il 65,3% delle studentesse e degli studenti con cittadinanza non italiana è infatti concentrato nelle Regioni del Nord; il 22,2% è nel Centro; solo il 12,5% nel Sud. La Lombardia si conferma la Regione con il maggior numero di studenti di cittadinanza non italiana (224.089), che corrisponde ad oltre un quarto del totale presente in Italia (25,6%). I dati relativi all’anno scolastico 2019/2020 sono stati resi oggi dal ministero dell’Istruzione.
Secondo il sindacato Anief, la presenza sempre maggiore di alunni di origine non italiana è un ulteriore conferma di come nelle classi vi siano discenti che necessitano di una didattica personalizzata. “Se ai quasi 900mila alunni stranieri sommiamo i 300mila disabili, altrettanti Dsa e un numero probabilmente ancora più alto di studenti con Bisogni educativi speciali – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - ci rendiamo conto che i nostri insegnanti si trovano quotidianamente a svolgere le lezioni a giovani con capacità di fruizione dei contenuti molto diversi se presi singolarmente. La scuola dell’autonomia nasce proprio per fare fronte a tali contesti, ma non è mai decollata, perché l’amministrazione centrale ha continuato ad imporre numeri e norme: avere un gruppo nutrito di alunni stranieri, come avviene in alcuni centri urbani del Centro-Nord, con il picco in territori come la Toscana e la Lombardia, non è compatibile con la loro presenza in un gruppo-classe complessivo di 25 e oltre di iscritti. Anche perché spesso vi sono anche disabili, Dsa e Bes. In queste condizioni, abbattere i numeri di composizione delle classi, eliminando così pure quelle sopra le 15-20 iscrizioni, non è più una scelta, ma un dovere. Non averlo fatto, ancora di più in tempo di Covid19, rappresenta – conclude Pacifico – un vero smacco al diritto all’istruzione. Con i miliardi del Pnrr si potrebbe certamente intervenire, a patto che lo si voglia”.
La Nota di aggiornamento del Documento di Economia a Finanza 2021 è in linea con quella dello scorso anno: dall’attuale 3,9% di spesa, rispetto al Pil, dedicata all’Istruzione si scenderà progressivamente, nei prossimi due decenni, ad un misero 3,2%. E su quella stima si rimarrà fino al 2070! Per Anief è una previsione scandalosa: secondo il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico, “anziché allinearci con i Paesi europei e mondiali più avanzati, dove si spende per l’istruzione dei cittadini anche il doppio di quanto investiamo noi, si decide di fare l’esatto contrario. Confermando dunque l’italico assioma istruzione uguale spesa. Non ci siamo, pensavamo e lo speriamo ancora, che con i miliardi del Pnrr le cose cambiassero mentre il Def 2021 menziona il Recovery Fund solo per la riforma del reclutamento: i numeri e le percentuali emesse dal Mef ci dicono che la scuola e la formazione possono ancora una volta attendere, così manterremo le classi con numeri altissimi di alunni, le aule microscopiche, le sedi scolastiche autonome insufficienti, gli organici non all’altezza, il tempo scuola inadeguato. Con tutto quello che comporta sul fronte dell’apprendimento ridotto. Questa programmazione pluriennale, se confermata, costituisce un errore politico imperdonabile”.
Nel documento, inoltre, prima si sostiene che le risorse di bilancio serviranno per potenziare l’Istruzione e la Ricerca pubblica, ma poi le previsioni della spesa comportano un incremento dei costi di una serie di “voci” prioritarie, come le cure a lungo termine per i cittadini anziani, sarà compensato da riduzione dei fondi destinati proprio all’Istruzione. All’interno del paragrafo sull’Istruzione si citano solo le lauree abilitanti e l’alta formazione.