Ancora una volta quando a fotografare la scuola sono gli analisti fuori i nostri confini, scevri da condizionamenti e giustificazioni partigiane, la verità esce fuori. Ed è, purtroppo, una realtà amara. Perché secondo l’Ocse siamo gli unici, nel periodo 2005-2014, ad aver fatto perdere ai nostri docenti il 7%. Nello stesso decennio, in Finlandia le buste paga di chi fa formazione pubblica sono cresciute di 6 punti percentuali, in Norvegia del 9%, in Germania del 10%, in Irlanda del 13%. Si conferma quello che l’Anief sostiene da tempo: il trattamento economico dei nostri insegnanti – fermo a 29mila euro lordi annui – rappresenta un affronto rispetto al prezioso lavoro che continuano a svolgere con serietà e senso del dovere. Inoltre, considerano gli ultimi tre anni, invece esclusi dallo studio Ocse, l’arretramento di potere degli stipendi dei nostri docenti si attesta addirittura a -14%. In queste ore, in tanti sono accorsi a sostegno dei nostri bistrattati docenti. Proponendo consigli e soluzioni. Come quella della sen. Maria Mussini, vicepresidente del Gruppo Misto al Senato, che ha chiesto alla Ministra dell’Istruzione di ‘cominciare almeno col dimezzare o ridurre di due terzi il numero di studenti per classe.
Proprio per recuperare il gap rispetto agli altri docenti d’Europa, Anief ha già fatto sapere, al tavolo di contrattazione sull’Atto di indirizzo, che non accetterà mai un rinnovo contrattuale con pochi spiccioli, tra l’altro pure assegnati per fasce stipendiali ispirandosi al modello Robin Hood. Per tali motivi, ha deciso di anticipare i tempi mettendo a disposizione dei lavoratori i modelli di diffida, anche per il recupero totale degli arretrati.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): i docenti sono lavoratori che, come dice l’Ocse, vanno pagati in modo proporzionale al servizio professionale prodotto. Negare questo concetto, significa creargli un danno. Di carattere morale e pratico. Molti di loro prestano servizio lontano da casa. Da due anni a questa parte, nemmeno per scelta, ma solo per aver chiesto di essere assunti in ruolo. A fine mese, questi insegnanti hanno delle spese vive, per l’affitto dell’appartamento, per i trasporti, per vivere: non si può dire ancora loro che non ci sono soldi e che si arrangino. Ecco perché la riduzione del numero di alunni, benché sia un provvedimento indispensabile per insegnare in modo proficuo e rispettando le norme sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, non ha nulla a che vedere con l’aumento stipendiale. È come se si volesse curare l’ammalato accogliendolo in una stanza d’ospedale più confortevole e con meno posti letto, però negandogli i medicinali di cui ha bisogno: l’unica cura per i nostri docenti, per rimanere in tema, è dargli più soldi a fine mese. Il resto, sono palliativi.