La commissione Affari Costituzionali della Camera approva un emendamento che, nei concorsi pubblici, darebbe peso non solo al voto di laurea ma anche all'università frequentata: per accedere alla PA non basta più il "superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l'accesso", ma si fa largo la "possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all'istituzione che lo ha assegnato". In pratica, i 100/100 conseguiti da un laureato potrebbero valere molto meno in un ateneo piuttosto che un altro. Presupponendo che la preparazione e il merito del laureato dipendano dal tipo di università a cui si è iscritto.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir-Cisal): se questa norma diventa definitiva, si violenteranno diversi principi costituzionalmente protetti, come la parità di accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Con il risultato che le università italiane, già in crisi di iscrizioni, diventeranno terreno per soli ricchi. E checi saranno laureati di serie A e laureati con titoli di carta straccia. Tornando indietro di 900 anni, quando nel Medioevo si seguiva il magister itinerante.