L’Aran si dice disposta a trasformare in aumenti i fondi del merito professionale, pari a 200 milioni di euro annui, solo se questi saranno comunque gestiti dai presidi. Pertanto, non ci sarà alcuna distribuzione a pioggia per aumentare gli stipendi. Non è applicabile, inoltre, la proposta di introdurre nella parte tabellare dello stipendio i fondi stanziati, con la Legge 107/2015, per l’aggiornamento professionale. Questo andamento della trattativa fa ancora più rabbia quando si legge che i sindacati rappresentativi delle Forze armate, di sicurezza e di polizia hanno sottoscritto con l’Aran un rinnovo contrattuale che porterà tra i 125 e i 132 euro medi a lavoratore. Per non parlare del tentativo della parte pubblica di inserire delle norme peggiorative con sanzioni disciplinari e i “campi di divieto” che andrebbero incrementati.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Quando abbiamo parlato di proposta irricevibile dell’Aran avevamo i nostri motivi. Perché uno stipendio inadeguato va aumentato con risorse adeguate. E pensare di coprire i vuoti con delle ‘partite di giro’ è un’operazione di difficile realizzazione. Ancora di più se queste si possono rivelare delle ‘polpette avvelenate’. Perché in cambio di pochi spiccioli, l’amministrazione arriva a chiedere più mansioni e pure di applicare sanzioni pesanti nei casi di eventuali inadempienze. Quella presa, lo ripetiamo, è una piega che non ci piace. È per questo motivo che abbiamo organizzato una serie di scioperi e manifestazioni che si concluderanno con l’inizio della nuova legislatura: il 23 marzo a Roma, davanti al Parlamento, nel giorno dell’insediamento delle nuove Camere. Una data importante, su cui stanno confluendo anche altre associazioni e sindacati.
Oggi sono dunque state annunciate le materie della seconda prova degli Esami di Stato delle scuole superiori: nelle prossime settimane si conosceranno anche i nominativi dei commissari esterni e dei presidenti di Commissione. Tra questi ultimi però non ci saranno i dirigenti scolastici che operano negli istituti del primo ciclo. E non si comprende il motivo di tale esclusione, visto che si tratta di capi d’istituto selezionati allo stesso modo, con i medesimi titoli d’accesso e la stessa formazione dei colleghi che operano nella scuola secondaria. Pertanto, il giovane sindacato dei presidi si appella alla titolare del Miur perché cancelli questa discriminazione.
Marcello Pacifico (presidente Udir): Bisogna salvaguardare il diritto dei dirigenti scolastici ad accedere alla carica di presidente degli Esami di Stato conclusivi del secondo ciclo d’istruzione, perché non è possibile vedere minato l’ennesimo diritto acquisito. Ancora di più perché si tratta di dirigenti provenienti dal ruolo di docenti, regolarmente abilitati all’insegnamento alle scuole superiori, che gestiscono un alto numero di plessi e situazioni organizzative complesse. Tanto da essere ormai etichettati come dei ‘super presidi’. Stiamo parlando di presidi sempre più schiacciati da continue molestie burocratiche, decisamente malpagati, con aumenti insignificanti in arrivo e ora pure beffati dalle istituzioni. La beffa consiste nel fatto che da docenti potrebbero accedere al ruolo di presidenti degli Esami di Stato. Ma da dirigenti non possono. In questo modo verrebbe negato loro così non solo la valorizzazione della professionalità acquisita negli anni, ma anche il diritto ad un compenso utile a concorrere alla formazione della base contributiva e pensionabile dello stipendio. Ma possono delle semplici circolari ministeriali sulla formazione delle commissioni per gli Esami di Stato porre il divieto di nomina a presidente del “personale utilizzato” negli Esami del primo ciclo?
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del relativo decreto è attesa ormai a breve, anche perché sta tardando rispetto ai tempi annunciati. Ogni aspirante sarà graduato secondo una tabella titoli (60% del punteggio) e il risultato di una prova orale “di natura didattico-metodologica” (40% del punteggio) valutata da una commissione”. Per la valutazione della prova orale e dei titoli la Commissione avrà a disposizione un punteggio massimo pari a 40 punti per la prima e a 60 punti per i secondi. La prova orale non prevede un punteggio minimo e “non è selettiva”. Gli aspiranti al ruolo saranno “ammessi ad un percorso costituito da un unico anno disciplinato al pari del terzo anno del percorso FIT su un posto vacante e disponibile e con un contratto di supplenza annuale.
L’Anief ha rilevato sin dalla pubblicazione del D.lgs. 59/2017 una serie di incongruenze, tra cui l’illegittimità dell’esclusione di numerose categorie. Tra gli esclusi, ci sono gli insegnanti tecnico-pratici (ITP) non inseriti nelle GaE o nella seconda fascia delle GI entro il 31 maggio 2017 (data di entrata in vigore del d.lgs. 59/2017) ma che sono stati inseriti solo successivamente in tali graduatorie in virtù dell’accoglimento di specifici ricorsi. Risultano esclusi pure i docenti in possesso di diploma di Conservatorio o di Belle Arti, come anche gli abilitati all’estero ancora in attesa di riconoscimento del titolo e gli abilitati con diploma Isef. Risulterebbero fuori gioco anche gli abilitati con diploma magistrale o laurea in Scienze della Formazione Primaria: per loro non è stato nemmeno preso in considerazione l’avvio di un concorso riservato per i posti della scuola dell’infanzia e primaria. Infine, come già avvenuto per il concorso docenti 2016, è probabile che il servizio prestato su sostegno sia valutato solo per la specifica procedura concorsuale (quella riservata agli specializzati) e non verrà preso in considerazione per chi concorre per una o più classi di concorso.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Il Ministero dell’Istruzione ha ancora una volta fatto di testa sua, non tutelando i diritti di diverse categorie di precari. Il ricorso ai giudici sarà inevitabile, per porre rimedio all’illegittima esclusione di coloro che hanno diritto a partecipare al concorso previsto dalla cosiddetta ‘Fase transitoria’ per abilitati e consentire la valutazione corretta di tutto il servizio prestato, anche quello su sostegno.
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Secondo uno studio nazionale, realizzato dalla rivista Tuttoscuola, il numero di abbandoni si è ridotto, ma rimane comunque molto alto. Ben oltre la soglia del 10% indicata oltre 15 anni fa dall’UE. Tutta la questione, oltre a provocare un danno indelebile nella formazione e nel futuro dei giovani che lasciano i banchi di scuola, si ripercuote anche sulle casse dello Stato che perde sotto tutti i punti di vista, sia economici che culturali. Preoccupa anche la crescente problematica dei “Neet”, ragazzi che né studiano né lavorano. Anief torna a proporre la strada da intraprendere, nella speranza che stavolta il nuovo Governo vi dia seguito.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Per quale motivo non si è dato seguito alla nostra proposta, motivata anche a livello pedagogico, di anticipare di un anno l’inizio della scuola dell’obbligo, introducendo un’annualità ‘ponte’? La sua introduzione avrebbe anche sopperito al problema dell’assorbimento dei maestri della scuola dell’infanzia non inglobati nel potenziamento degli organici che ha invece toccato tutti gli altri ordini. Perché non si porta l’obbligo formativo a 18 anni, come suggerì lucidamente quasi vent’anni fa l’allora Ministro Luigi Berlinguer? È ovvio che in questo modo in nostri giovani, che oggi lasciano in alto numero alle superiori, sarebbero più coinvolti nei progetti formativi. Non guasterebbe, infine, rivedere i contenuti dei cicli scolastici, rendendoli anche più stimolanti per le nuove generazioni.
Il REI è la misura economica destinata a famiglie e soggetti in difficoltà economica e di lavoro che garantisce un aiuto economico ed un progetto al fine del ricollocamento sociale e lavorativo dei soggetti beneficiari e delle loro famiglie. Tale misura ha previsto la cancellazione del SIA e dell’ASDI; ad oggi il Rei rimane l’unico sostegno per disagiati previsto dall’ordinamento italiano. L’Inps con una nota ha comunicato la messa in pagamento delle prime richieste avanzate dalle prime famiglie beneficiarie del REI; la novità la variazione del modello di domanda che recepisce le variazioni contenute all’interno dell’ultima Legge di Bilancio.
La notizia è di oggi: nel trevigiano, un dirigente scolastico per rintracciare un maestro ha inviato centinaia di messaggi di posta elettronica per riuscire a trovare un supplente della scuola primaria e dell’infanzia. Per coprire i “buchi” in organico, i presidi sono costretti a scorrere le liste dei docenti che danno la loro disponibilità, di scuole vicine e a rivolgersi alle Facoltà di Scienze della formazione primaria alla disperata ricerca di laureati o laureandi. La situazione non riguarda solo il Veneto, ma molte altre province sparse per l’Italia.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): È paradossale che in questa situazione, fatta di tante realtà come quella del trevigiano, si debba ricorrere collettivamente al parere di Bruxelles, come abbiamo fatto noi solo pochi giorni fa, per chiedere il parere al Consiglio d’Europa sulle incomprensibili esclusioni dalle graduatorie pre-ruolo di decine di migliaia di docenti abilitati, ad iniziare dai diplomati magistrale, passando per i laureati in Scienze della formazione primaria e per tutti coloro che hanno conseguito l’abilitazione tramite corsi Tfa, Pas e all’estero. Perché invece di fare finalmente incontrare ‘domanda e offerta’, come chiede l’Anief da mesi, approvando un decreto legge ad hoc che inserisca una volta per tutte gli abilitati nelle GaE, al Miur continuano a tenere la testa sotto la sabbia? Ecco perché chiediamo di aderire allo sciopero orario dei primi due giorni di scrutini, in programma in questi giorni in occasione delle valutazioni del primo quadrimestre, e allo stop con manifestazione a Roma del 23 marzo, quando si insedieranno le nuove Camere dei deputati.
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